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Attualità | 04 giugno 2024, 08:15

Stefano Ferri, fenomenologia di un “crossdresser”: “Gli abiti da donna sono il mio guardaroba istituzionale, ecco perché”

Il giornalista e scrittore, marito e padre di famiglia, parlerà di se stesso, della sua storia e del suo libro mercoledì a Genova: “Ho sempre avuto la pulsione degli abiti femminili, ma ci ho messo ventisette anni a trovare il coraggio”

Stefano Ferri, fenomenologia di un “crossdresser”: “Gli abiti da donna sono il mio guardaroba istituzionale, ecco perché”

Ascoltando le parole di Stefano Ferri, giornalista e consulente di comunicazione milanese nonché crossdresser [ossia uomo che veste con abiti dal taglio femminile n.d.r.] è impossibile non provare un senso di coinvolgimento viscerale, quel coinvolgimento che sa abbattere il pregiudizio percorrendo la strada della conoscenza.

Marito e padre, è tra i più noti crossdresser in Italia (molto pochi per la verità come lui stesso racconta) nonché testimone della necessità di affermare sé stessi e di assecondare il proprio io più intimo. Con la sua storia, che nel 2021 è diventata un libro dal titolo ‘Crossdresser - Stefano e Stefania due parti di me’, Ferri si è fatto portavoce e manifesto vivente dell’accettazione, certo non senza fatica, e ora si prepara all’incontro con il pubblico genovese in programma per il prossimo 5 giugno alle 18,45 allo Space for Business di viale Brigata Bisagno 2/25, a ingresso libero.

Ho intitolato il libro ‘Crossdresser - racconta - perché un termine necessario per dare un appiglio alle persone che non hanno mai visto una persona come me o che non ne hanno mai sentito parlare. È un modo per rompere il ghiaccio. Le persone sono abituate a vedere un uomo vestito da donna perché sta facendo un cammino di transizione del sesso ma chi mi incontra capisce subito che non sono gay. A dirla tutta, e lo racconterò anche mercoledì, questo è un termine che uso malvolentieri perché è un termine che presuppone un deficit statistico. Per quanto risulti sorprendente, le prime crossdresser in Italia furono le donne. Perché quelle che indossano giacca e pantalone, e quasi tutte hanno nel proprio guardaroba capi d’abbigliamento così, non vengono chiamate crossdresser invece io sì? La risposta è perché le donne lo fanno tutte. Quindi è solo un fatto statistico. Ogni volta che posso, sottolinea il fatto che i miei abiti sono fatti su misura per me, quindi non sono da donna. Esattamente come le giacche e i pantaloni che indossano le donne non sono da uomo”.

Ferri prosegue: “Poiché sono da solo, o siamo in tre o quattro, quindi una cifra statisticamente irrilevante, bisogna ricorrere a questo artifizio che non dice nulla della realtà vera”. 

Una sorta di ‘punta dell’iceberg’ che nasconde una verità molto più grande e non certo facilmente analizzabile: il maschio deve darsi da fare perché è rimasto indietro.

Ha ragione l’ex presidente del Senato Pietro Grasso quando dice che il problema della violenza sulle donne, dei femminicidi, è un problema soltanto maschile, cioè sono gli uomini a doverlo affrontare, sono loro a doverlo risolvere. Io condivido questo pensiero. Il punto è che per risolvere questo problema l’uomo deve scardinare il tabù per eccellenza che è quello che fu stabilito con l’avvento della macchina a vapore”.

Le radici dell’attuale condizione sociale, per Ferri, sono da ricercarsi nella seconda metà del Settecento: “La nostra società contemporanea nasce lì, il mondo contemporaneo si dice sia nato col Congresso di Vienna nel 1815 ma in realtà è nato qualche decennio prima quando fu chiaro che la macchina a vapore avrebbe stravolto per sempre l’economia, avrebbe reso gli uomini un po’ più padroni di sé stessi di quanto non lo fossero stati fino a quel momento quando si moriva nel ceto sociale in cui si nasceva”.

Riprendendo dunque il pensiero dei politologi americani, il giornalista prosegue spiegando proprio che in quel momento gli uomini fecero la grande rinuncia e imposero alle donne, di cui avevano totale controllo ai tempi, un baratto: la bellezza in cambio del potere.

Alle donne viene lasciato tutto: parrucche, che erano maschili, ciprie, anch’esse maschili, i tacchi che negli uomini esprimevano la nobiltà, i velluti sgargianti, gli abiti colorati, tutti maschili; tutto viene lasciato a patto del potere, della ricchezza, del guadagno. Su questo scambio, che implica cose ancora peggiori, la società è andata avanti tranquillamente per tutto il XIX° secolo. Solo nel XX° ci fu una donna che alzò la mano ed espresse dissenso interrogandosi sul perché non potesse fare anche lei l’avvocato, il notaio, il medico ‘non ho anche io un cervello?’. Li comincia l’emancipazione femminile, agevolata dalle tragedie del Secolo Breve e accelerando i cambiamenti della mentalità. La donna si è emancipata non dal maschio, ma dal patto di cui l’uomo è ancora totalmente succube”.

Una condizione che riguarda tutti gli uomini: “Questa cessione della bellezza implicò anche la cessione della bellezza interiore, cioè la cessione della possibilità di lasciarsi andare. L’uomo oggi soffre terribilmente la gabbia valoriale su cui si è imprigionato da solo”.

L’esempio è lampante: se si vede un uomo piangere in tanti e tante daranno a lui della ‘femminuccia’ quando in realtà sta solo esprimendo i propri sentimenti.

Purtroppo noi uomini non lo facciamo e non facciamo tantissime cose che alla lunga ci spingono a un confronto con le donne da cui usciamo a pezzi perché la donna, nel corso del XX° secolo, ha percorso un tragitto galattico. Se si fa un confronto tra una donna dei giorni d’oggi e quelle d’inizio Novecento, si vedono cambiamenti anche dal punto di vista antropologico. Lo stesso non si può dire degli uomini che sono rimasti uguali. L’uomo è rimasto lo stesso, non è cambiato, mentre la donna lo ha fatto”. 

Questo, per Ferri, identifica il problema: la donna è stata capace di prendere coscienza, ha capito come lasciarsi andare, come fare carriera, sa essere indipendente e conduce la sua vita dove vuole perché è autonoma e consapevole. Un monito che nell’uomo medio risuona come un insopportabile campanello a darsi da fare: “Quando una donna esercita sull’uomo la superiorità psicologica che la natura le ha dato, che è quella di dire di no, l’uomo esercita per reazione contro questa donna la superiorità fisica che la natura ha dato lui, cioè la violenza. È questo il cortocircuito che scatena la tragedia, che scatena il femminicidio ogni settantadue ore e innumerevoli atti di violenza non mortale ma comunque violenza che in gran parte dei casi non vedono denunciati per paura, vergogna o altro”. 

Ferri mette bene a fuoco la situazione e aggiunge: “Questo è il punto, allora io ho trovato il mio modo di lasciarmi andare. Bisognerebbe che ogni uomo facesse lo stesso percorso e capisse come lasciarsi andare lui, sarebbe il prodromo di una società finalmente felice e che torna a crescere”.

Un pensiero profondamente radicato nel giornalista che appoggia le lotte femministe schierandosi apertamente dalla parte delle donne: “Sono totalmente dalla parte delle donne. Quanta guerra abbiamo fatto noi uomini alle rivendicazioni sacrosante di carriera delle donne. Ancora oggi è un disastro. C’è ancora una guerra degli uomini nei confronti delle donne che portano via questo potere che illegittimamente il maschio si tiene”.

Scardinare il pregiudizio sembra una lotta senza fine: dalle rivendicazioni femministe a quelle della comunità LGBTIQIA+, con forza emerge l’urgenza di liberarsi, di abbracciare le differenze, unico elemento capace di arricchire e spingere la società verso la sua naturale evoluzione, fortemente frenata da un radicamento di stereotipi che tengono ancorate abitudini tossiche.

Ferri prosegue: “La società non va avanti. Già adesso non sta andando avanti. Noi stiamo parlando su uno sfondo di un’Italia che da trentadue anni non cresce ed è un dato incredibile, pazzesco, su cui non si riflette mai abbastanza. Un’Italia che attraversa una fase di crollo demografico. I bambini che nascono oggi sono meno della metà di quelli che nascevano quindici anni fa. È una cosa enorme e che certifica il fatto che alla base della nostra società ci sono molte cose che non funzionano più proprio per niente”.

L’esempio del giornalista è stato un momento di passaggio dirompente e Ferri ha avuto la forza di assumere su di sé critiche ed esternazioni troppo spesso offensive. Nonostante ciò, è andato avanti con serenità diventando un riferimento che ha ispirato tanti a confrontarsi con questa realtà: “Chi mi scrive, soprattutto giovani, lo fa principalmente sui social via Messenger, via DM di Instagram, via anche Whatsapp perché nella mia pagina Facebook c’è il tasto che conduce direttamente ai messaggi, lascio aperti tutti i canali. Ci sono casi particolari ma a quasi tutti dico sempre una cosa: quando arriverà il vostro momento ve ne accorgerete da soli perché troverete il coraggio di fare il primo step fuori dalla vostra porta. Pochi come me sanno quanto è difficile. Ci ho messo ventisette anni, lo scrivo anche nel libro. La prima pulsione che ho avuto verso questi abiti, quelli che oggi sono il mio guardaroba istituzionale, la ebbi quando avevo nove anni. Era il 1975. Una società completamente diversa da quella di oggi in cui, tra l’altro, il crossdressing maschile aveva cessato di essere reato penale da un anno appena: fino al ’74 se uno usciva vestito come me veniva arrestato immediatamente. Era un mondo diverso. Mi tenni questa cosa dentro, rovinandomi la vita perché uno non può spergiurare se stesso, per ventisette anni. Ho cominciato a vestirmi così che ne avevo trentasei. Quando vedo uno che non ha il coraggio, lo capisco, eccome. Non auguro a nessuno ventisette anni di autocensura, va detto che i tempi oggi sono diversi quindi confido che soprattutto in certe zone d’Italia come certamente Milano, ma come altre città naturalmente, non sia più così difficile anche perché comunque si va verso una società che sarà così perché se si vuole rimettere in moto tutto, deve avvenire un’emancipazione maschile e fra le varie conseguenze contempla anche il cosiddetto crossdressing.

Come quando gli ortopedici tolgono il gesso a un arto e consigliano libertà di movimento compatibilmente con il dolore, anche io dico ‘fai quello che ti pare compatibilmente con quello che ti senti di fare, tanto il momento arriva’. Lo ripeto sempre, prima o poi uscirete tutti allo scoperto, vi incontrerò sempre più spesso di quanto non possa fare oggi. In ventidue anni ho incontrato solo tre crossdresser. Un domani saranno tre all’anno, poi tre ogni sei mesi, poi tre al mese, e così via”.

E se il sogno è quello di una società capace di accogliere le singolarità di tutti e tutte nella più totale libertà di identificazione, ancora una volta ribadire l’importanza della testimonianza di Ferri vuol dire gettare una luce in un luogo che, troppo spesso, appare ancora oscuro: “Dico sempre ‘siate voi stessi a qualunque costo’, ‘non abbiate paura’. Una svolta nella mia vita l’ho avuta quando attraverso la psicoterapia sono arrivato ad avere perfetta autocoscienza di me, mi sono rasserenato. Sbattere fuori qualcuno, trattarlo a pesci in faccia è un conto se questo qualcuno ti si presenta un po’ come Fracchia, totalmente tuo schiavo, che palesemente si autoconfigura in posizione di inferiorità, fa emergere il razzismo se c’è già dalla controparte. Ben altro conto è farlo nel momento in cui hai di fronte qualcuno che si configura come tuo pari: ti viene incontro con il viso sereno, ti stringe la mano cordiale. Non si riesce a pensare di lasciare fuori qualcuno per questo”

Un messaggio importante che arriva nella settimana di avvicinamento al Pride di Genova, il prossimo 8 giugno: "Shakespeare, in ‘Sogno di una notte di mezza estate’ fa dire a uno dei personaggi ‘Rinuncia al tuo potere di attrarmi e io rinuncerò alla mia volontà di seguirti’. Questa cosa vale per tutti e vorrei dirla anche a tutti gli amici che faranno il Pride a Genova come la dirò agli amici che faranno il Pride a Milano, a cui parteciperò. Questa dovrebbe essere la cartina di tornasole di tutti, a maggior ragione di chi rivendica dei diritti”.

Isabella Rizzitano

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