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Meraviglie e leggende di Genova | 19 maggio 2024, 08:00

Meraviglie e leggende di Genova - Quell’albergo perso di vico San Raffaele che accolse i garibaldini

Molti genovesi oggi quasi ignorano l’esistenza del carruggio di poche decine di metri. Qui si trovava l’Albergo della Felicità in cui fu ospite, insieme ad altri, Giulio Cesare Abba: la sala comune venne raccontata nel suo libro ‘Da Quarto al Volturno’

Meraviglie e leggende di Genova - Quell’albergo perso di vico San Raffaele che accolse i garibaldini

Buio e angusto, chiuso di notte da due cancelli e spesso sconosciuto persino ai genovesi, vico San Raffaele è una di quelle stradine dei carruggi che sembrano passare inosservate.

Un vicoletto come altri, largo poco più di un metro, che collega via San Luca con Sottoripa.

A vederlo oggi, quasi farebbe venir voglia di girare qualche scena di una delle tanto amate serie poliziesche, come Petra, le cui riprese per la terza stagione sono iniziate qualche giorno fa.

Il set ideale per raccontare un episodio dai contorni poco chiari, chiave della trama che poi si sviluppa, per esempio, nella zona del porto.

Certo, oggi appare così ma oltre cento anni fa questa viuzza di una decina di metri, intitolata al santo per via a un oratorio di San Raffaele che qui sorgeva qualche secolo addietro, era una di quelle strade frequentate, anche grazie a un albergo, l’Albergo della Felicità o del Raschianino, un hotel che qui aveva l’ingresso e che affacciava poi in piazza Caricamento.

Così, il vicolo e l’albergo, sono rimasti nella memoria di un garibaldino che qui trovò riparo per la notte che precedette la partenza dei Mille.

Quel garibaldino era Giulio Cesare Abba che nel suo libro ‘Da Quarto al Volturno’, edito nel 1866, ricordò la notte tra il 4 e il 5 maggio.

Ho riveduto Genova - scrisse - dopo cinque anni dalla prima volta che vi cui lasciato solo. Ricorderò sempre lo sgomento che allora mi colse, all’avvicinarsi della notte. Quando vidi accendere i lampioni per le vie, mi schiantò il cuore…Ieri sera arrivammo ad ora tarda, e non ci riusciva di trovar posto negli alberghi, zeppi di gioventù venuta da fuori. Sorte che, lungo i portici bui di Sottoripa, ci si fece vicino un giovane, che indovinando, senza tanti discorsi, ci condusse in questo Alberto. La gran sala era tuta occupata. Si mangiava, si beveva, si chiacchierava in tutti i vernacoli d’Italia. Però si sentiva che quei giovani erano Lombardi. Fogge di vestire eleganti, geniale, strane: facce baldanzose; persone nate per faticare in guerra, e corpi esili di giovanetti, che si romperanno forse alle prime marce. Ecco ciò che vidi in una guardata. Eravamo in famiglia. E seppi subito che quel giovane che ci smise dentro si chiamava Cariolato, che nacque a Vicenza, che da dieci anni è esule, che ha combattuto a Roma nel quarantanove, e in Lombardia l’anno passato. Gli altri mi parvero, la maggior parte, gente provata”.

Uno spaccato di vita, fermato nelle parole di Abba alla notte che precede la partenza dei Mille. Chissà quali furono i pensieri di quella notte per gli uomini che presero il mare dallo scoglio di Quarto.

Oggi a ricordare l’albergo e quella notte in cui i Mille si incontrarono resta solo una targa sistemata sulla facciata del palazzo…

Isabella Rizzitano

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