Al confine tra Liguria e Toscana, nella terra della Lunigiana, il mese di luglio fa rima con Premio Bancarella. Se tanti dei librai che oggi animano le vie di Genova provengono proprio da quest’area geografica c’è una ragione: una lunga tradizione, che affonda le radici nella storia, ha contribuito a rendere Pontremoli e le terre circostanti un vero e proprio punto di riferimento per la letteratura.
Per scoprire le vicende che hanno portato, tra i tanti altri, Carlo Storti e Severino Valdenassi ad avere bancarelle che nel corso degli anni hanno fatto la storia della Fiera del Libro di Genova occorre fare un lungo passo indietro, e per farlo abbiamo chiesto a Giuseppe Benelli, saggista, docente di Filosofia del linguaggio e presidente della Fondazione Città del Libro di raccontare le origini della tradizione dei librai pontremolesi e la nascita del Premio Bancarella, anche in occasione dell’avvio della BookWeek. A partire da oggi, venerdì 17 maggio, il centro storico di Genova avrà infatti come protagonista il libro: dalla collina di Castello a Pré, nei palazzi, nelle librerie, nelle piazze si svolgeranno tanti appuntamenti dedicati al mondo della letteratura, da incontri con gli autori a iniziative nelle librerie, nelle biblioteche, coinvolgendo anche circoli culturali, centri di produzione culturale, gallerie d’arte, attori e musicisti. Tra i tanti eventi in programma, sabato 18 maggio il professor Benelli terrà, alla Biblioteca Universitaria, un incontro dedicato proprio all’importanza storica della Lunigiana per il mondo letterario non solo genovese, ma di tutta Italia.
“Pontremoli nella metà dell’Ottocento fa parte del Ducato di Parma - spiega Benelli -. In questo territorio la tradizione degli ambulanti è particolarmente forte, e tra questi c’erano i librai, che portavano in giro i loro volumi e che poi hanno aperto le loro bancarelle. Si trattava di libri legati al territorio in cui si muovevano, raccontando per esempio la storia dei santuari durante i periodi di festa: se non ne trovavano, potevano anche diventare editori e dedicarsi alla pubblicazione. Già nel Quattrocento, quando i libri si chiamavano ancora incunaboli, esisteva già una tradizione libraria che si lega a Sebastiano da Pontremoli, a Jacopo da Fivizzano, stampatori locali, e a Papa Nicolò V di Sarzana, che ha creato la Biblioteca Vaticana e ha speso fortune per acquistare libri e manoscritti. Questa tradizione libraria credo che abbia contribuito al fatto che i nostri emigranti mettessero nella gerla, accanto ad altri articoli, i primi libri. Questa attività è documentata in tutto il Seicento e Settecento, ma esplode nell’Ottocento perché è Napoleone che costringe i parroci a insegnare a leggere e a scrivere e quindi si diffonde la lettura e la scrittura”.
Nel corso del tempo, dunque, i libri iniziano a essere parte importante della vita di un pubblico sempre più ampio, che porta i librai pontremolesi a lasciare le proprie terre per raggiungere altri luoghi nel mondo: “Molti bancarellari erano arrivati anche in Sud America, per poi fare ritorno in Lunigiana quando la ferrovia aveva reso più fiorente l’attività commerciale. Iniziarono a essere pubblicati libri considerati poco ortodossi, la censura ha infierito parecchio sullo spirito libertario dei venditori. Nello stesso tempo si è fatto saldo il legame con la Massoneria, anche a Genova. Alcuni librai, come i Tolozzi, vennero condannati nel secondo dopoguerra per aver venduto libri illustrati in francese che vennero ritenuti scandalosi. Intervenne anche Giovanni Ansaldo, il più grande giornalista del Novecento italiano, che scrisse un articolo per esaltare il ruolo di questi librai di cui lui era un cliente molto assiduo”.
Il libro diventa sempre più diffuso e importante, e lo confermano i tanti librai pontremolesi che diventano ‘bouquinistes’ a Parigi, sulla Rive Gauche della Senna. Tutti questi elementi hanno portato alla decisione di istituire il Premio Bancarella: “Questo riconoscimento è nato proprio dalla consapevolezza dello spirito anarchico della tradizione dei librai. L’idea fu partorita da molti, tra cui Don Marco Mori e Manfredo Giuliani: fu proprio quest’ultimo a indire il primo raduno dei librai pontremolesi, che arrivarono in treno da tutta Italia nel 1952. Molti non si vedevano da anni, tanti non si erano mai conosciuti. Dell’evento parlò anche Oriana Fallaci: in un articolo bellissimo racconta di questi grandi cavalieri del libro che si incontrano, si riconoscono, e decidono di ritrovarsi l’anno successivo nel 1953 nel periodo delle ferie, per decretare il libro che hanno venduto con più soddisfazione”.
Non è il libro più venduto, quindi, a essere al centro dell’attenzione, bensì quello che ha generato maggior compiacimento ai librai. “La prima vittoria fu di Hemingway con ‘Il vecchio e il mare’ nell’edizione ‘Medusa’ di Mondadori e tradotta da Fernanda Pivano. Qui i librai pontremolesi anticiparono il Nobel alla letteratura, come accadde in altre occasioni successive. Hemingway venne a ritirare il premio solo successivamente, si incontrò in un albergo a Nervi per la consegna ed era compiaciuto perché questo riconoscimento aveva aumentato notevolmente le vendite del libro”.
Fu proprio Arnoldo Mondadori a intuire l’importanza di un premio scelto esclusivamente dai librai: “Si usciva dallo schema degli addetti ai lavori, come lo Strega e il Viareggio. Dopo il debutto eccezionale, l’anno successivo fu ancora più clamoroso: venne votato un autore molto criticato, Giovannino Guareschi, per il suo ‘Don Camillo e il suo gregge’ edito da Rizzoli. Il libro aveva avuto notevole successo, ma non erano ancora usciti i film: in quel momento i librai scelgono di votare questo autore che si trovava in prigione in quel momento”.
La vicenda di Guareschi è passata alla storia: arrestato per aver accusato l’allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, venne condannato a un anno di reclusione e centomila lire di multa per diffamazione. Lo scrittore scelse di non fare ricorso e di scontare la pena, senza chiedere la grazia e impedendo alla famiglia di farlo. Quando vinse il premio, fu molto soddisfatto, anche perché la critica lo accusava di essere un pessimo scrittore.
“Altre due volte i librai anticiparono il Nobel - continua a spiegare Benelli -: con il ‘Dottor Zivago’ di Pasternak e ‘La famiglia Moskat’ di Isaac Bashevis Singer. Ricordo ancora il giorno in cui, da bambino in piazza insieme a mio padre, Gian Giacomo Feltrinelli lesse la lettera di ringraziamento ai librai pontremolesi che Pasternak aveva scritto. Fu una grande emozione, tutti si alzarono in piedi in una piazza che solitamente è gremita di gente e rumorosa era rimasta in silenzio”.
E si arriva, pian piano, pagina dopo pagina, ai giorni nostri. L’ultima clamorosa vittoria è stata assegnata a ‘La Portalettere’ di Francesca Giannone “un libro che rientra pienamente nello spirito del Bancarella, che premia i libri che si possono vender bene, e che riescono a entrare nella case degli italiani, un’impresa che oggi è difficile, quasi disperata”. Prima di salutarci, il professore ricorda ancora, se ce ne fosse ulteriore bisogno, l’importanza della lettura: “Ci sono lettori forti, quelli che leggono un libro a settimana; ci sono lettori che riescono in un anno a leggere qualche libro; ma la verità è che la stragrande maggioranza degli italiani non entra in una libreria, e neanche si avvicina a una bancarella, non sanno cos’è il gusto e il piacere della lettura. Questa è una tragedia, che in parte sta aumentando perché l’uso dei telefonini sottrae un sacco di tempo.
Leggere un libro cartaceo, farsi pervadere dal profumo della carta, sentire le pagine con il tatto, prendere appunti, lasciare un segnale di un passaggio importante è qualcosa che ti accompagna per tutta la vita, perché quando il libro lo riprendi vai a vedere quello che ti aveva colpito e aveva suscitato in te un’emozione”.
Tanti sono gli aneddoti che Giuseppe Benelli ha da raccontare. Per ascoltare questa storia, e tante altre, l’appuntamento è alla Biblioteca Universitaria, sabato 18 maggio, in occasione della Book Week. Lo abbiamo già detto, ma è giusto ripeterlo: perché leggere è importante, ma lo è anche ascoltare.