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Videogallery | 02 maggio 2024, 08:00

Testimonial del dialetto - Cesare, il nonno maestro di musica: “Vi racconto delle bande musicali, presidi sociali e culturali nei paesi e nelle città liguri” (Video)

Sul nipotino appena nato: “Gli parlerò in dialetto. Genovese in via d’estinzione? Io direi che è in via d’espansione”

Testimonial del dialetto - Cesare, il nonno maestro di musica: “Vi racconto delle bande musicali, presidi sociali e culturali nei paesi e nelle città liguri” (Video)

Continua il ciclo di servizi de ‘La Voce di Genova’ che abbiamo voluto chiamare ‘Testimonial del dialetto’. Ogni giovedì vi faremo conoscere, o riscoprire, persone e personaggi che promuovono la lingua e la cultura genovese, con orgoglio, impegno, passione e tanto amore. E lo fanno sia in televisione che sui libri, che sui palchi di un teatro, sui social, alle conferenze, con la musica e le canzoni. Mirabile è l’azione di chi spende il proprio tempo per conservare una tradizione, ed ecco perché ci fa enorme piacere raccontarla. Anche attraverso video… ovviamente in genovese! 

Dopo l'intervista a Gilberto Volpara (si può leggere qui), al professore Franco Bampi (si può leggere qui), ad Anto Enrico Canale (si può leggere qui), a ‘Cito’ Opisso (si può leggere qui), a Francesco Pittaluga, (si può leggere qui), ai Buio Pesto: Massimo Morini e Nino Cancilla (si può leggere qui), al rapper genovese Mike fC (si può leggere qui), a Rita Bruzzone (si può leggere qui), ad Andrea Di Marco (si può leggere qui), a Giampiero Cella (si può legge qui), a Paolo Regati (si può leggere qui) e a Marco Carbone, in arte “U Carbun” (si può leggere qui), allo storico e archeologo Ennio Cirnigliaro (si può leggere qui), oggi abbiamo incontrato Cesare Garibaldi, musicista e direttore di bande musicali.

Questa è una puntata che potremmo definire “homemade” per darci un tono internazionale. Tu ti chiami Cesare Garibaldi, io sono Marco Garibaldi, scopriamo subito le carte: siamo padre e figlio. Grazie per disponibilità. Tu sei un direttore di bande musicali e maestro di musica. Ti chiedo da dove nasce questa tua passione che in seguito è diventata un lavoro e anche il punto sulla situazione e la storia delle bande in Liguria.
“Dal punto di vista personale ho iniziato a studiare il clarinetto a otto anni. Da lì è nata questa passione. Anche mio padre suonava nella banda. Da lì poi ho iniziato a studiare la musica seriamente e a diventare prima insegnante dei corsi di orientamento musicale e, successivamente, direttore”.

Ci sono ancora tante bande in Liguria? È una realtà ancora frequentata da giovani e meno giovani?
“È una realtà ancora ben presente sul territorio ligure e nazionale. È una realtà frequentata da persone di tutte le età: ci sono gli anziani, ci sono i giovani e i bambini. C’è anche una funzione sociale di queste società che fanno convivere in armonia persone di età e generazioni diverse”.

Oltre a essere direttore di bande sei il presidente di un’associazione che raggruppa diverse realtà in Liguria e non solo. Di che cosa si occupa nello specifico?
“Sono il presidente ligure dell’Anbima (Associazione Nazionale Bande Musicali Autonome) che raggruppa bande su tutto il territorio nazionale: conta 65 mila iscritti in Italia e qui in Liguria sono circa 1700/1800. Rappresentiamo circa 35 bande e ci occupiamo prima di tutto di dare una mano a sbrigare la burocrazia che oggi, con l’inserimento nel terzo settore, crea non pochi problemi. Ma, soprattutto, abbiamo indirizzato la nostra attività alla formazione dei giovani. Abbiamo organizzato numerosi master con maestri qualificati e abbiamo dato vita a una banda regionale giovanile che raggruppa giovani da tutta la Liguria. Ad oggi sono circa sessanta elementi che hanno avuto un percorso formativo. Circa l’80% di questi giovani è in conservatorio e hanno ottenuto bei risultati”.

Quindi dalla banda c’è la possibilità di arrivare poi al conservatorio e fare di questa passione un lavoro, un po’ come hai fatto tu.
“Esatto. Il nostro scopo era quello di elevare la qualità della musica bandistica. La banda fino agli anni ’65/’70 aveva principalmente una funzione sociale piuttosto che soffermarsi sulla tecnica musicale. Abbiamo cercato di invertire questa tendenza e di far convivere le due cose. Senza rinviare alla funzione sociale, che è importantissima, abbiamo cercato di elevare culturalmente e musicalmente la gioventù che è venuta nella ‘junior band’ e poi è tornata nelle sua banda d’origine portando un tocco di qualità in più”.

Questa banda giovanile sta attraversando la Liguria? Che cosa fa?
“Sta girando parecchio non solo in Liguria: siamo stati a Milano, abbiamo suonato insieme alla banda giovanile lombarda e piemontese, siamo stati a Verbania. Una chicca: lo scorso anno siamo stati a Torre del Lago dove abbiamo fatto un concerto, inserito ufficialmente nel cartellone della stagione del festival pucciniano”.

Sicuramente una bella soddisfazione. Chiedo a tutti i miei ospiti di questa rubrica del loro rapporto con il dialetto genovese: tu quando hai iniziato a parlare genovese? Hai iniziato da piccolo oppure l’hai riscoperto da più grande?
“Io sono nato genovese e la mia lingua madre è genovese e ho imparato l’italiano in un secondo momento. Mi ricordo all’asilo quando la suora mi faceva vedere i ‘pomodori’ e io disgustato le facevo notare che erano ‘pumate’”.

Quindi hai sempre parlato il genovese. Ora che sei nonno da poco tempo, come parlerai a tuo nipote? In italiano?
“Assolutamente no. Manteniamo la nostra tradizione che è tanto bella. È un marchio d’origine controllata. Noi siamo genovesi, abbiamo un dialetto un po’ strano perché sono di Varese Ligure, una terra di confine quindi ci sono influenze dall’Emilia e da altre zone vicine. Però ci tengo tanto alla nostra lingua”.

Ci sono ancora tante persone che parlano in dialetto oppure sono in via d’estinzione?
“Io direi che sono in via d’espansione. Quando ero piccolo a scuola la maestra ci additava sempre ad esempio un ragazzo che veniva dalle Marche e parlava in italiano. Da lì tutti hanno iniziato a parlare in italiano. Eravamo mosche rare. Ora invece vedo che c’è un grosso ritorno di persone che parlano in dialetto”.

Marco Garibaldi

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