Meraviglie e leggende di Genova - 07 aprile 2024, 08:00

Meraviglie e leggende di Genova - Quel fazzoletto con il volto di Cristo

Il Santo Mandillo, custodito nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, ha una storia particolare e, dopo una serie di vicende, è arrivato a Genova portato da Leonardo Montaldo, futuro doge, che con sé aveva anche una pianta aromatica detta ‘Erba del re’

Un campanile svetta tra le case, segnalando la presenza di una chiesa che oggi è nascosta da un palazzo costruito nell’Ottocento.

A ben guardare, sulla facciata un indizio lascia presagire a un qualcosa di non immediatamente visibile. È la scritta sul l’architrave che recita “Hic Sacra Christi Facies”, ossia ‘qui c’è il sacro volto di Cristo’.

Così, varcando la soglia, ecco che si entra nella splendida e suggestiva chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, fondata nel Trecento da due monaci provenienti dalla Montagna Nera, nell’Armenia del sud, su un terreno donato da Oberto Purpureio, un tintore di panni che aveva concesso l’appezzamento in cambio di una Messa perpetua.

La chiesa, un tempo suddivisa in tre navate e in stile gotico, venne pesantemente modificata, addirittura mutilata alla fine dell’Ottocento per lasciar posto all’edificio che oggi la nasconde in parte. Della sua primaria costruzione rimangono la zona absidale con la cupola e la cappella sinistra mentre quel piccolo campanile che rimane come ‘lanterna’ a indicare la presenza della chiesa venne fatto costruire nel 1516 dal Consorzio del Santo Sudario, la congregazione fondata nel 1390 in devozione al Mandylion, un piccolo fazzoletto di lino che, secondo la devozione popolare, avrebbe impresso il volto di Cristo.

Questa preziosa reliquia, chiamata anche Santo Mandillo, che in dialetto genovese vuol dire fazzoletto, ha una storia particolare che, nemmeno a dirlo, parte dall’Armenia.

Secondo la leggenda che iniziò a diffondersi nel III secolo dopo Cristo, Abgar, re pagano di Edessa, si era ammalato di lebbra e aveva sentito parlare di Gesù e della sua capacità di guarire i malati.

Decise quindi di inviare in Palestina, proprio dove Cristo stava predicando, Anania, il pittore di corte.

Quando l’uomo si trovò faccia a faccia col Messia, non riuscì a ritrarlo così Gesù prese il telo e se lo appoggiò sul volto lasciando l’impronta del suo sudore.

Tornato in patria, Anania porse il telo al suo re e, miracolosamente, la lebbra sparì. Così nacque l’adorazione per l’effigie.

Ma come fece il Mandylion ad arrivare a Genova?

L’imperatore Giovanni V Paleologo, nel Quattordicesimo secolo, lo donò a Leonardo Montaldo, futuro doge, che la portò in città nel 1362.

Qualche anno più tardi, nel 1384, Montaldo, divenuto doge, la lasciò in eredità ai monaci di San Bartolomeo.

Il lino, ridipinto in epoca bizantina ma tradizionalmente chiamato ‘acheropita’, ossia non dipinto da mano umana, fissato su una tavoletta di cedro del Libano, è circondato da una cornice dorata detta ‘paleologa’, preziosa testimonianza dell’alta oreficeria bizantina. Proprio nella cornice sono raccontate dieci scene a sbalzo sull’origine della Sacra Effige.

Pare però che Montaldo non portò con sé a Genova solo il Mandylion. Catturato da questa singolare pianta che ornava i balconi e le finestre della città, il capitano e mercante decise di caricare sulla nave qualche profumata piantina chiamata ‘Erba del re’…era il basilico.