Franco Taverniti è nato nel 1940. Quando è venuto al mondo la sua squadra del cuore, la Sampdoria, ancora non esisteva: è stata fondata nell’agosto del 1946, cinque anni più tardi, dalla fusione tra la Sampierdarenese e l'Andrea Doria. Come nelle più grandi storie d’amore, si sono incontrati, conosciuti, e il loro amore dura indissolubile e irriducibile ancora oggi come la prima volta. La storia del club blucerchiato si è intrecciata con la vita di ‘Nonno Franco’, come lo chiamano tutti, che non ha mai smesso di seguire, in casa e fuori, le imprese della sua amata squadra insieme alla moglie, purtroppo scomparsa sedici anni fa, e al figlio Francesco. Ultima ‘fatica’ è stata la trasferta a Bari, nel settore ospiti, per l’ultimo match giocato dai ragazzi di Pirlo: quasi duemila chilometri andata e ritorno, con il solo obiettivo di tifare, gioire, e magari sperare davvero in quei playoff che potrebbero regalare ancora un sogno ai tifosi, quello di tornare in Serie A.
“Se vado ancora in trasferta il merito va a mio figlio e a mia nuora, perché sono loro che mi spingono sempre ad andare e mi portano con loro volentieri, e a me fa molto piacere. Da solo non potrei, né in trasferta né a Marassi: prendere i mezzi alla mia età è un po’ problematico” racconta Nonno Franco, che ripercorre volentieri la storia della sua passione per i colori blucerchiati. “Sono diventato tifoso da ragazzino, appena nata la società. Prima c’era la Dominante, ma quando è nata la Sampdoria ho iniziato subito a seguirla, ho anche visto l’atto di nascita”. Da allora, ogni partita è stata seguita con passione da Taverniti: “Ho sempre avuto l’abbonamento, ma non sono mai andato in gradinata perché non mi piace tanto l’ambiente: mi piace esprimere quello che sento, se vedo giocar male mi arrabbio, se giochiamo bene sono felice. Per un periodo sono andato in tribuna, poi mi sono spostato nei distinti e sono ancora lì oggi”.
Inevitabilmente il pensiero torna ai momenti più emozionanti di tutti questi anni passati insieme alla sua squadra del cuore: “Un ricordo indelebile è il gol di Ruud Gullit sotto la Sud in Sampdoria - Milan, non ricordo l’anno esatto, ci vorrebbe mio figlio (ride) ma ricordo bene bene quel momento. E poi ovviamente il periodo dello scudetto: è stata una festa esagerata, siamo andati in processione dal Ferraris fino a via XX Settembre e poi in piazza De Ferrari: è stato un momento magnifico”. E poi ancora, le trasferte: “I viaggi più lunghi sono stati quelli fatti a Liegi, insieme a mia moglie, anche lei sampdorianissima, e a Brema con mio figlio. Lei non c’era già più purtroppo. Non sono stato alla finale a Wembley perché avevamo dei problemi a casa, ma non potevo mancare alla finale di Coppa Italia a Roma, anche se abbiamo perso indecentemente”.
In tutti questi anni tante cose sono cambiate, a cominciare dallo spirito sportivo fino ad arrivare agli orari delle partite: “Per me il tifo vero è quello che abbiamo visto sabato a Bari: A parte il gemellaggio, ci siamo incontrati con i tifosi dell’altra squadra, ci siamo fatti gli auguri e una volta finita la partita, nonostante avessero perso, ci hanno fatto un in bocca al lupo per il futuro. Per conto mio è questo che conta: andare in altre città per visitarle e condividere momenti con le altre tifoserie. Generalmente, quando vado in trasferta con gli altri doriani ci troviamo sempre negli stessi posti. Ricordo che a Modena stavamo passeggiando con mio figlio e abbiamo incontrato un gruppetto di persone che mi ha salutato urlando ‘Ciao Nonno Franco!’… perché ormai sono Nonno Franco per tutti. Oggi è cambiato un po’ tutto, lo stadio è diventato un posto dove certe reazioni, che normalmente sarebbero punite, vengono lasciate correre, ed è un peccato. Poi con l’avvento delle televisioni è cambiato tutto: non sai più il giorno che giocherai, sarà venerdì o lunedì? Bisogna accontentare anche per gli orari, ma alle 12,30 di domenica la gente vuole mangiare, non andare allo stadio. Poi sei tifoso e se hai quella malattia lì a vedere la partita ci vai lo stesso, così come le serate d’inverno. A genova ancora ancora, ma se abiti a Udine o a Bolzano magari non è facile. Ma anche per i giocatori, se prendi un colpo a sottozero cambia tutto… Quando ero giovane una cosa in Italia funzionava alla perfezione: il calcio. Alle 14,30 c’erano le partite, tu andavi in giro con la fidanzata e le ascoltavi con la radiolina”.
Un ultimo pensiero va all’attuale situazione della squadra: “Speriamo di arrivare ai playoff, per conto mio non è una cosa facile, ci sono diverse partite e bisogna avere continuità. E poi bisogna sperare che i nostri giocatori stiano bene, c’è sempre qualcosa che non va con i malanni muscolari. Speriamo di arrivarci bene”.