205 a.C.; i Romani e i Cartaginesi continuano la loro lotta: la Seconda Guerra Punica imperversa.
Genova, fedele a Roma, è circondata da insediamenti e popolazioni che appoggiano Cartagine.
I due eserciti si scontrano più e più volte. Annibale impressiona gli avversari valicando le Alpi con gli elefanti ma i Romani non demordono e lottano strenuamente nelle battaglie che infuriano su tutto il territorio.
Cartagine sembra destinata a trionfare sul nemico ma Roma rialza la testa. Quando sembra che sia proprio quest’ultima ad avere la meglio (l’esercito sconfigge Asdrubale, fratello di Annibale, e ne invia la testa al cartaginese), Genova si ritrova suo malgrado protagonista di un attacco cartaginese.
Magone, fratello minore di Annibale e Asdrubale, dopo aver dato prova di saper governare un esercito, viene inviato a Genova a supporto della campagna del fratello.
Una flotta lascia le Baleari e punta dritto verso il mar Ligure.
Le navi si affacciano all’orizzonte e non promettono niente di buono: a Savona sbarcano in oltre dodicimila, armati, tirano verso Genova e mettono a ferro e fuoco la città lasciando dietro di sé poco più che macerie.
Fanti, cavalieri ed elefanti distruggono tuto mentre Magone arraffa ogni ricchezza e la porta in trionfo verso Savona.
È una carneficina: civili uccisi a bordo strada, edifici distrutti, roghi che ardono sotto le macerie, l’odore acre che si diffonde per le strade.
Genova non esiste più.
Case, luoghi di culto, palazzi del potere, dopo essere stati spogliati delle proprie ricchezze, sono stati demoliti dall’ira dell’esercito cartaginese.
Chi si salva dalla furia della battaglia, attorno a sé trova solo desolazione, paura, rabbia e angoscia.
Un nodo alla gola che blocca il fiato: ha il magone.
Magone Barca, imbarcatosi nuovamente da Savona per andare fronteggiare Scipione l’Africano, muore per le ferite riportate in battaglia ma il ricordo della sua incursione, ancora oggi, rimane nella lingua italiana.
Secondo alcuni, infatti, proprio da lui e dalla distruzione seminata a Genova, deriverebbe il modo di dire ‘avere il magone’, che in genovese è ‘avei o magon’.
A diffondere l’espressione e, assieme, la storia di Magone, fu Francesco Petrarca nel suo poema ‘Africa’. Raccontando proprio la morte del condottiero avvenuta sulla strada del ritorno a casa dopo una battaglia alle porte di Milano (allora Mediolanum), Petrarca fa pronunciare a Magone l’estremo discorso:
“Ahi! Quale termine è dato a un’altra fortuna!
Come s’acceca la mente nei lieti successi!
Una pazzia dei potenti è questa, godere di un’altezza vertiginosa. Ma quello stato è soggetto a innumeri procelle, e chi s’è levato in alto è destinato a cadere.
Ahi, sommità vacillante dei grandi onori, speranza fallace degli uomini, gloria vana rivestita di falsi allettamenti. Ahimè, come incerta è la vita, dedica a una fatica perpetua, come certo è il giorno di morte, né mai previsto abbastanza. Con che iniqua sorte è nato l’uomo sulla terra! Gli animali tutti riposano; l’uomo non ha mai quiete e per tutti gli anni affretta ansioso il cammino verso la morte.
E tu sola, o morte, ottima tra le cose, scopri gli errori, disperdi i sogni della vita trascorsa.
Ora vedo quante cose mi procacciai, oh! Misero, invano, quante fatiche mi addossai di mia scelta, che avrei potuto tralasciare. Destinato a morire, l’uomo cerca di ascendere agli astri, ma la morte c’insegna quale sia il posto di tutte le nostre cose.
A che giovò portare le armi contro il Lazio potente,
distruggere con fiamme le case,
turbare i patti del vivere umano,
sconvolgere le città con triste tumulto?
A che mi serve aver costruito alti palazzi adorni
d’oro su mura di marmo,
se io dovevo per sinistro destino
morire così sotto il cielo?
Carissimo fratello,
quali imprese prepari nell’animo,
ahi, e ignaro dell’acerbo fato, ignaro
di me? – disse,
lo spirito s’alzò, libero nell’aere
tanto da poter rimirare dall’alto a pari distanza
e Roma e Cartagine,
fortunato di partire anzitempo,
prima di vedere l’estrema rovina e il disonore
che attendeva le armi famose
e i dolori del fratello e i suoi insieme
e della patria”.
Secondo l’origine più letterale, la parola magone deriverebbe dal tedesco ‘Magen’, il ‘ventriglio dei polli’ o ‘stomaco dei bovini’. Durante il processo di digestione, dunque, potrebbe crearsi il ‘peso sullo stomaco’ che ricorderebbe il senso di nodo in gola.