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Attualità | 07 marzo 2024, 18:00

8 marzo, Martina Carpi, da calciatrice ad allenatrice: “Così ho sconfitto i pregiudizi, una parata dopo l’altra”

È la più giovane coach italiana di calcio femminile in una società professionistica: “È bellissimo mettersi a disposizione delle piccole, lottiamo insieme contro chi ci guarda ancora storto”

8 marzo, Martina Carpi, da calciatrice ad allenatrice: “Così ho sconfitto i pregiudizi, una parata dopo l’altra”

“Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare”. 

Quando ho salvato il contatto di Martina Carpi sul cellulare, sono rimasta colpita dallo stato di Whatsapp della più giovane allenatrice di calcio in una società professionistica in Italia. Una frase motivazionale, come tante se ne leggono, ma che allo stesso tempo assume contorni e intenzioni ben diverse, se pensiamo alla persona che l’ha scelta: perché Martina compirà tra pochi giorni venticinque anni, gioca a calcio da quando ne aveva sette, allena l’under 12 femminile del Genoa e non ha mai pensato che seguire la sua passione fosse un errore. Nonostante tutto e nonostante tutti. 

Come è nata la tua passione per lo sport, e per il calcio in particolare? 

“Ogni tanto me lo chiedo anche io ancora oggi, è una bella domanda. Secondo me è una passione innata, sicuramente da bambina vedevo tante partite alla televisione, mia mamma e mio papà sono genoani e andavamo spesso allo stadio e questo indubbiamente ha contribuito alla nascita del mio amore per il calcio. Abitare a pochi passi dal campo sportivo Signorini ha fatto il resto… sono tanti tasselli che uniti insieme hanno portato al risultato di oggi”.  

Quando hai deciso di smettere di guardare gli altri giocare a calcio e di scendere in campo in prima persona?

“Da bambina ho provato diversi sport, un po’ perché trascinata dai miei compagni di classe delle elementari. La scintilla che è scoccata con il calcio, però, l’ho portata avanti fino a oggi. Ho iniziato a giocare proprio con i miei amichetti e da lì è nata questa grande passione. Ho sempre giocato nel ruolo di portiere sin da quando avevo sette anni”.

I bambini con cui giocavi come vivevano questa tua passione?  

“Io ho avuto la fortuna che, avendo iniziato con un gruppo di compagni, bene o male mi conoscevano già e quindi non mi guardavano male. Al tempo stesso non nego però che, nei primi due o tre anni in cui ho giocato con altri maschi, ce ne sono stati alcuni che non accettavano di buon grado l’idea di avere una femmina in squadra. A volte è capitato che anche i genitori non fossero proprio a loro agio nel vedermi: mi è capitato di sentire commenti come ‘Ma può giocare una femmina?’ o ‘Tirate forte che tanto non la para’ quando andavo a giocare contro altre squadre. Devo dire che, in linea di massima, ho ricevuto più commenti negativi dagli adulti che dagli altri bambini”.

E le bambine invece? Ti consideravano diversa da loro?

“Dal campo sentivo tutto quello che veniva detto. Mi consideravano diversa da loro, ma non mi sono mai scoraggiata né ho mai pensato di aver sbagliato strada: per carattere lascio scivolare quel che sento dall’esterno, e me ne sono sempre fregata. Io pensavo solo a divertirmi, a stare insieme ai miei compagni”. 

Poi è iniziata l’avventura come allenatrice… 

“Ho preso il patentino per allenare i bambini nel 2019 in seguito a un infortunio che mi ha impedito di giocare per un po’. Poi quattro anni fa ho iniziato ad allenare oltre all’attività di giocatrice, e ora mi sto dedicando solo all’allenamento. Sto studiando scienze motorie e per questo e altre situazioni ho deciso di allenare e basta, di mettere a disposizione tutto alle piccole giocatrici: è bellissimo”. 

C’è qualche portiere che ti ha particolarmente ispirato nel suo modo di giocare, al punto di desiderare di avere una carriera come la sua? 

“Avendo iniziato a giocare dopo il Mondiale del 2006 posso solo dire un nome: Gigi Buffon. Però c’è anche un altro portiere, che guardavo in tv quando tornavo da scuola mentre gli altri guardavano i cartoni animati. È il portiere olandese Edwin van der Sar che giocava nel Manchester United”. 

Se potessi consigliare a qualche ragazza che vuole cimentarsi nella tua attività, o in una in cui ci sono ancora pregiudizi e preconcetti, che cosa le diresti?

“Non è facile, ma se una cosa piace veramente consiglio di tapparsi le orecchie e godersi la passione. I pregiudizi ci sono sempre e purtroppo sempre ci saranno, non riusciamo a venirne a capo, ma se qualcosa fa star bene perché negarsela per colpa di qualcuno? Pensare a se stesse senza paura di essere giudicate è la cosa migliore da fare”.

Le ragazzine che alleni oggi ti sembra che abbiano una percezione di come funziona il mondo? Si devono già difendere da compagni e adulti che magari le considerano strane perché giocano a calcio? O è una condizione che nelle nuove generazioni un po’ sta scemando?

“Rispetto a quando ho iniziato io sicuramente le cose stanno migliorando, anche se siamo ancora lontano anni luce dalla soluzione. Le piccole che alleno hanno tra i dieci e i dodici anni e iniziano inconsciamente una lotta contro i pregiudizi: anche solo dire che vanno a giocare a calcio le rende strane agli occhi degli altri, ma al tempo stesso trovano compagni e parenti che accettano di più la loro scelta. Oggi facciamo un campionato anche contro i maschietti, e troviamo a volte allenatori e genitori che si stupiscono di giocare contro una squadra femminile”. 

E i tuoi genitori come hanno preso la tua decisione di iniziare a giocare a suo tempo?

“Mi ritengo fortunata, perché loro mi hanno sempre lasciata libera di fare quello che mi piaceva. Mi rendo conto che è una cosa più unica che rara, perché ancora oggi alcuni genitori negano ai figli delle passioni. Ho detto che volevo giocare a calcio e mi hanno risposto che dovevo essere pronta a impegnarmi in questo sport, ma erano contenti”.  

Le frasi motivazionali, dicevamo all’inizio, spesso lasciano il tempo che trovano se non trovano poi applicazione nella realtà. Martina Carpi ha, per anni, lasciato il campo dopo una partita senza fare la doccia perché non esisteva uno spogliatoio separato da quello dei compagni maschi. È anche capitato che qualche genitore dei compagni di squadra abbia chiesto che potesse essere sostituita prima della fine del match per poterla far andare a cambiarsi prima e poi non far tardare i figli. Quindi sì, ci sono persone che possono fare cose inimmaginabili: in questo caso, ‘solo’ perché è riuscita a guardare più lontano.

Chiara Orsetti

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