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Attualità | 04 marzo 2024, 19:11

8 Marzo, Lucia Annibali incontra il pubblico alla Berio: “Basta con quei talk show che colpevolizzano le donne” (Video)

L’avvocatessa e ora deputata venne sfregiata con l’acido nel 2013 e, da allora, si è sottoposta a venti interventi chirurgici: “Le donne che subiscono violenza non cercano vendetta. Vogliono solamente sentirsi libere e sicure”

8 Marzo, Lucia Annibali incontra il pubblico alla Berio: “Basta con quei talk show che colpevolizzano le donne” (Video)

Dopo un po’ i ricordi sbiadiscono, la vita va avanti e si riempie di cose nuove, di persone belle da incontrare. Perché è questo che fa la violenza: ti fa perdere quello che avevi, e ti costringe a ricostruire, a ricostruirti. 

Con questa preziosa lezione si torna a casa dall’incontro con Lucia Annibali alla Biblioteca Berio di Genova, organizzato dalla consigliera comunale Arianna Viscogliosi e che ha visto la partecipazione della senatrice Raffaella Paita, del presidente del Consiglio Comunale Carmelo Cassibba e di tante attiviste, e rappresentanti dei centri antiviolenza genovesi. 

La storia di Lucia è stata al centro della cronaca per tanto tempo: il 4 luglio del 2013 l’ex fidanzato Luca Varani assoldò due criminali per gettare sul volto della donna dell’acido, che l’ha sfregiata nel viso, ma non nell’animo. Dopo undici anni e venti interventi chirurgici, ha ripreso in mano la sua vita con una forza sorprendente, proseguendo la sua carriera da avvocatessa, entrando in parlamento come deputata e ottenendo il riconoscimento di Cavaliere del lavoro. 

“Le donne che subiscono violenza non hanno desiderio di vendetta: non vogliono che le pene siano più severe, vogliono solo essere libere e sentirsi sicure. Spesso potrebbe essere necessario anche un aiuto economico, per riuscire ad avere un posto proprio da cui poter ricominciare”, spiega.

Invece di rimuginare su quanto accaduto, sul gesto di crudeltà terribile commesso da chi avrebbe dovuto amare e proteggere, Lucia è andata avanti concentrandosi su se stessa e su come poter trovare il proprio, nuovo, posto nel mondo. “Possiamo solo andare avanti” racconta con una forza e una dignità impossibile da non avvertire addosso, parlando ai tanti giovani presenti in sala, agli uomini che sono seduti in mezzo a una maggioranza di pubblico femminile e che altrettanto calorosamente applaude, annuisce, prova a contestualizzare. 

“Nel corso della vita si consolidano le proprie consapevolezze sulle risorse che si hanno a disposizione, si afferma la propria solidità mentale, e più abbiamo ben chiaro questo, più si potrà affermare la propria volontà con le persone che ci circondano”, spiega ancora Lucia Annibali, ricordando che le storie di violenza si somigliano tutte: “Chi commette atti violenti è perché non riconosce l’altro, non ha la capacità di rispettarne volontà e sentimenti. Non si può banalizzare o semplificare troppo il tema, e non si può colpevolizzare la donna come spesso accade nelle narrazioni da talk show”. 

Dare il proprio contributo sembra essere una parte fondamentale della nuova vita di Lucia Annibali, perché fermamente convinta che la repressione da sola non sia sufficiente: “Vanno chiarite le responsabilità di chi commette reati contro le donne, ma vanno investite risorse per fare passi avanti nel riconoscimento di quel che sta a monte, nel ruolo delle donne nella società”. Proprio sul tema dell’emancipazione si è concentrato l’intervento di Raffaella Paita, convinta che “chi vive in una situazione economica non autonoma rischia che si crei una forma di prevaricazione”. E ricorda: “La scuola ha una funzione fondamentale, ma la famiglia deve trasmettere una consapevolezza profonda: l’esempio di Giulia Cecchettin è forte, e dimostra che in queste dinamiche sono coinvolte generazioni che non dovrebbero”.

Lo sanno bene le tante persone che si sono avvicendate nel corso del pomeriggio, da Arturo Sica dell’associazione White Dove che si occupa di uomini maltrattanti ad Alessia Cotta Ramusino, ambasciatrice Unicef che ha dedicato la canzone “Rispetta e ama” a un’altra vittima, Melania Rea; da Debora Riccelli, che porta avanti il Progetto Iside per consentire ai bambini vittime di chi li ha messi al mondo di poter cambiare cognome anche se dopo la morte, a Parisa Pasandehpoor, scrittrice iraniana e attivista dei diritti delle donne in un paese in cui, ancora oggi, è reato non portare il velo fuori dalle mura domestiche. Il messaggio, seppure variegato, sembra essere lo stesso, in fondo: la violenza esorta a occuparsi di uguaglianza tra uomo e donna, e di discriminazione che non può e non deve continuare a invadere i confini. Perché è vero che dopo un po’ i ricordi sbiadiscono, che la vita va avanti e si riempie di cose nuove, di persone belle da incontrare. Ma è anche un po’ la chiusura di un cerchio: continuare a seminare i propri frutti, senza coltivare vendetta, è possibile se il contesto consente di poter prendersi cura del proprio campo, senza paura.

Chiara Orsetti

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