“La vita di un malato di Sla è talmente difficile che non so da dove cominciare”.
Poche parole che descrivono le difficoltà quotidiane che Valeria Firpo affronta da quando ha ricevuto la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Firpo, quarantotto anni, da undici è affetta dalla malattia neurodegenerativa che ha conseguenze devastanti sul corpo. Ma oggi la donna si trova a lanciare una raccolta fondi su GoFundMe che la aiuti a pagare le cure, sempre più costose.
L’obiettivo di Firpo è quello di raggiungere i cinquantamila euro, una cifra che le consentirebbe di proseguire le terapie.
Valeria, dopo aver progressivamente perso forza negli arti, ha una tracheostomia e da cinque anni è costretta a letto, assistita da due badanti. Non riesce più a parlare, ma nella lettera racconta la sua storia e le difficoltà a cui deve far fronte: “Mi sono ammalata nel 2013, quando le mie figlie avevano dieci e sette anni. Non so spiegare il panico di quel momento, sapevo a cosa andavo incontro e già sapevo di non avere accanto a me le persone adatte a gestire una malattia grave come questa che mi ha colpito, la SLA”.
Prima la perdita di forza nella mano sinistra, iniziata dalle dita fino a raggiungere il braccio, poi la voce che cambia, le prime difficoltà nel parlare, “ma avevo le bambine a cui pensare, sorridevo e allo stesso tempo morivo ogni volta che non riuscivo ad allacciare loro le scarpe, a pettinarle e mille altre piccole cose che una madre sa che dovrebbe fare per amore dei figli”.
La diagnosi definitiva arriva nel 2015, Valeria festeggia i suoi quaranta anni pensando che sarebbe stato l’ultimo compleanno. “Perdevo anche il braccio destro - scrive ancora - la voce era compromessa, intanto continuavo a riempire la vita delle mie figlie di ricordi, facevo sviluppare ogni singola foto, anche le più banali. Quando erano a scuola piangevo, non riuscivo neppur a tirare su le mutande. Mi aiutavo aggrappandole agli spigoli dei mobili. Poi non sono più riuscita a mangiare da sola: un giorno che mio marito era arrabbiato ho digiunato”.
Sono arrivate le cure, i trattamenti fisioterapici, i farmaci e gli integratori ma nulla ha fatto effetto e Firpo, ogni giorno, perdeva le funzionalità del proprio corpo: “Cadevo, il giorno della Prima Comunione della piccola, mi sono spaccata la faccia su un marciapiede mentre andavamo in chiesa. Avevo perso le gambe. Da lì la decisione più sofferta, prendere una badante. Per una persona forte e indipendente come me, solo l’idea mi faceva stare male ma la mia famiglia già cominciava a dare segni di cedimento. Ho preso urli in faccia strattoni, botte contro i muri, per non parlare die maltrattamenti psicologici, sbuffi, urla, lamentele, pressioni che per colpa mia nessuno aveva più una vita e vi lascio immaginare il resto”
“Ho rinunciato a mangiare - prosegue - e messo l’alimentazione artificiale tramite sonda nello stomaco, sia perché era molto faticoso, sia per togliere una fatica alla mia famiglia. La cosa peggiore sono state le crisi respiratorie, mesi di ospedale, dove mi sentivo una cavia, un pezzo di carne inutile, lontana dalle mie figlie. Ma il cervello funzionava a tutto spiano, rifletteva, pensava, si angosciava”.
La tracheostomia e la perdita totale della voce, le difficoltà nei gesti quotidiani sono stati devastanti per la quarantottenne che ha trovato nell’unica possibilità di comunicare con il mondo tramite un computer oculare un modo per veicolare i suoi pensieri. Ma la situazione familiare si faceva via via più tesa tanto da spingerla ad allontanarsi e a farsi seguire da una seconda badante: “erano diventate il mio mondo, pagate per stare con me ma almeno ero un aiuto per loro e non solo un peso. Avevo deciso di dare un senso alla mia malattia, dare un lavoro a chi ne avesse avuto veramente bisogno; scelta sbagliata perché una volta risollevati e con un po’ di soldi in tasca se ne andavano, tranne due che, sante donne, sono ancora con me”.
I risparmi che, via via, si esauriscono, l’unico aiuto che arriva dalla Regione e che, racconta la stessa Firpo, ha rischiato di perdere quando si sono abbassate le soglie per entrarci.
“Mi sono sentita dire che non potevo avere le cure domiciliari perché non ero anziana, materassi anti decubito usati, che ogni mese si rompono ma non ci sono i fondi per comprarne di nuovi. Ho una fisioterapista Aism una volta a settimana, un’infermiera sporadica dalla Gigi Ghirotti, che per ti garantisce cure palliative quando decidi che non ce la fai più e vuoi morire. E vi assicuro che tante volte, quando non sai più dove sbattere la testa, ho pensato ‘meglio morire’, ma poi arriva tua figlia con un bel voto o una bella notizia e ti dici ‘devo resistere ancora un po’’”.
Nella sua lettera, Firpo ricorda ancora che queste condizioni sono le stesse che vive ogni malato di Sla, costretto a fare i conti con l’abbandono soprattutto delle istituzioni.
“Con molta gratitudine, chiedo che un responsabile venta a vedere come si svolge la mia giornata, vi invito ufficialmente a casa mia, vivete con me questa ‘non vita’, perché solo vivendo la nostra condizione si può solo vagamente capire il tormentone che viviamo”.
La raccolta è attiva ma, a oggi, il traguardo appare lontano. Trenta donazioni hanno messo insieme poco più di mille euro e c’è bisogno di sostegno per la donna; soprattutto, c’è bisogno di conoscere la realtà che i malati e le loro famiglie sono costretti ad affrontare per rispondere in modo sempre più puntuale alle loro esigenze.