Continua il ciclo di servizi de ‘La Voce di Genova’ che abbiamo voluto chiamare ‘Testimonial del dialetto’. Ogni giovedì vi faremo conoscere, o riscoprire, persone e personaggi che promuovono la lingua e la cultura genovese, con orgoglio, impegno, passione e tanto amore. E lo fanno sia in televisione che sui libri, che sui palchi di un teatro, sui social, alle conferenze, con la musica e le canzoni. Mirabile è l’azione di chi spende il proprio tempo per conservare una tradizione, ed ecco perché ci fa enorme piacere raccontarla. Anche attraverso video… ovviamente in genovese!
Dopo intervista a Gilberto Volpara (si può legge qui) e al professore Franco Bampi (si può leggere qui), oggi parliamo in genovese con Anto Enrico Canale, presidente emerito dell’associazione culturale O Leûdo di Sestri Levante.
L’associazione è attiva da anni nella promozione del genovese nelle scuole, dapprima con Bruno Minardi che ha insegnato il dialetto, soprattutto con poesie e recite, nelle scuole primarie del territorio: partito dalla sua zona, quella di Avegno, Uscio e Recco, per tanti anni ha portato la sua attività in Val Fontanabuona, a Sestri Levante e a Santa Margherita. Ancora oggi l’associazione O Leûdo porta avanti quell’eredità insegnando il dialetto in diversi istituti con i propri volontari.
A Sestri Levante si parla genovese?
“Il genovese genovese lo lasciamo, come diceva Bruno Minardi, nei caruggi di Genova. Noi parliamo il ‘sestrino’. Proviamo con i giovani, andando nelle scuole da circa 15 anni, a trasmettere questo linguaggio, consegnandogli anche un vocabolario (Gismondi o Bampi). Lo consegnamo alle quarte, quelli un po’ più grandi. Facciamo diverse ore alla settimana (nelle scuole). Ci sono quattro o cinque nonni che fanno il giro della Fontanabuona, a Sestri in via Lombardia e a Riva Trigoso. Devo dire che abbiamo avuto una bella sorpresa in occasione del Confuoco dove due nonne sono riuscite a preparare in tre incontri alcune canzone in genovese cantate dai alcuni ragazzi. Mi ha riempito il cuore”.
Qual è la reazione dei più giovani che si avvicinano, magari per la prima volta, a questo linguaggio?
“Mi avvicino spesso anche a qualche bambino che arriva da lontano e trovo in ognuno tanta buona volontà, però hanno più difficoltà. Ho invece trovato un ragazzo che andava a scuola con mio nipote che parlava il genovese meravigliosamente. Ho scoperto che lo parlava con la nonna”.
Tanti giovani parlano in genovese proprio per comunicare con i propri nonni. Forse questo è un limite: anche tra i giovani è una lingua parlata poco tra coetanei e tanto con i più anziani.
“Purtroppo quelli della mia età sono stati indirizzati verso l’italiano. Allora se non si parlava italiano eri escluso. Così però si è perso il genovese. Fortunatamente mi è rimasta la base del dialetto, del ‘sestrino’. Dico ‘sestrino’ perché se vai a Genova si pronuncia in un modo, se vieni a Sestri si pronuncia in un altro modo. A Riva Trigoso, a tre chilometri da Sestri, c’è un’altra cocina ancora su alcune parole. Però ci capiamo come dice Bampi”.
È capitato che qualche ragazzo a cui avete insegnato il genovese nelle scuole poi venisse nuovamente a cercarvi?
“Recentemente c’è stato un ragazzo di Casarza che vedendomi è venuto a salutarmi parlando in genovese, mi ha fatto piacere”.