Introdotto dall’intervista a Gilberto Volpara (si può leggere qui), inizia un nuovo ciclo di servizi de ‘La Voce di Genova’ che abbiamo voluto chiamare ‘Testimonial del dialetto’. Ogni giovedì vi faremo conoscere, o riscoprire, persone e personaggi che promuovono la lingua e la cultura genovese, con orgoglio, impegno, passione e tanto amore. E lo fanno sia in televisione che sui libri, che sui palchi di un teatro, sui social, alle conferenze, con la musica e le canzoni. Mirabile è l’azione di chi spende il proprio tempo per conservare una tradizione, ed ecco perché ci fa enorme piacere raccontarla. Anche attraverso video… ovviamente in genovese!
Quale miglior testimonial del dialetto se non il professor Franco Bampi, figura conosciutissima in tutta la Liguria per le sue partecipazioni in qualità di esperto del genovese in numerose trasmissioni televisive di successo.
Bampi è professore di ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti ma, soprattutto, è noto e amato per la sua grande conoscenza della lingua genovese.
Come nasce l’idea di portare il dialetto in televisione?
“Pian piano si è ritenuto che questa nostra lingua non dovesse morire. Quindi bisognava sponsorizzarla in qualche modo. Abbiamo iniziato con la televisione, è stato da subito un grande successo. Abbiamo fatto alla fine una trasmissione serale, in prima serata. Ha sempre fatto tanti ascolti. Le persone che stanno qui, che hanno deciso di vivere a Genova, i genovesi si rendono conto di perdere un patrimonio enorme che è la nostra lingua, la nostra letteratura in genovese. Sono tutti preoccupati. Abbiamo saltato una generazione: a me, da piccolo, parlavano in italiano”.
Diceva che ha iniziato a parlare in italiano da piccolo. Come nasce allora il rapporto con il dialetto genovese? Chi gliel’ha insegnato?
“È vero che a me parlavano in italiano, tra coetanei giocavamo parlando in italiano ma è altrettanto vero che la nostra era una società che parlava tutta in genovese. Tutti parlavano in genovese, anche l’ultimo arrivato che magari arrivava dal sud. Se si voleva parlare con la gente si doveva parlare genovese. Quando sono diventato professore ordinario all’università, sono stato costretto ad andare a Napoli per quasi quattro anni. Lì mi sono reso conto che quasi tutti parlavano napoletano. Sono andato dai miei colleghi siciliani e anche lì parlavano in dialetto siciliano. Quando sono ritornato a Genova ho pensato: ‘Forse mi sono perso qualcosa di Genova’. Allora ho iniziato a studiare la storia. I professori universitari sono delle macchine per studiare, ho studiato per tutta la vita, quindi mi sono messo a farlo con la storia di Genova. A un certo punto riscopro questa lingua che avevo nelle orecchie. Ho iniziato a parlarla. All’inizio con numerosi strafalcioni ma l’ho fatto con sistematicità e adesso penso di parlare un genovese piuttosto buono”.
Secondo lei il dialetto genovese deve essere incastonato all’interno di una grammatica oppure è giusto preservare le varianti presenti sul territorio?
“In linea di principio è giusto mantenere tutte le diversità così come le abbiamo mantenute per mille anni. C’è un problema: riusciremo a mantenere tutte queste diversità? Ci sono delle varianti che gli stessi che la parlano giudicano popolari. Se vado nelle scuole a insegnare il genovese cosa si insegna? Io gli insegno il mio dialetto, quello che conosco ma se, ad esempio, vai tu nelle scuole gli insegni un altro dialetto. Quale bisogna insegnare? Perché tutti è impossibile. C’è difficoltà a mantenere un dialetto, figuriamoci pure le varianti. Mi sento dire ‘qui parliamo tutti genovese’ ma se a Rondanina parlano tutti genovese arriviamo a cento abitanti del paese, allo stesso modo qui a Genova (dove c’è il maggior numero di parlanti) saremo almeno 150/200 mila a parlare genovese, solo che qui non lo parliamo molto, spesso cerchiamo di parlare l’italiano o ci vergogniamo di parlarlo. Ci freghiamo da soli”.
Che rapporto c’è tra i giovani e questa lingua?
“È difficile da dirsi. Se un giovane decide di imparare il genovese non sa poi con chi parlarlo. Abbiamo avuto in trasmissione il famoso Gioele che parla genovese grazie a suo nonno ma a casa lo parla solo col nonno perché non ha amici che parlano genovese. Io dico sempre che il genovese lo dovrebbero imparare prima di tutto le ragazze così i ragazzi che si avvicinano e non parlano genovese vengono esclusi”.
C’è una canzone o un testo in genovese che consiglia per avvicinarsi alla conoscenza del genovese?
“Se ci riferiamo al genovese urbano, di Genova centro, consiglio Marzari proprio perché realizza nella sua parlata tutti quegli elementi che rimandano a un buon genovese. Io ho imparato da lì”.
C’è più speranza o rassegnazione per il mantenimento del genovese?
“Non conosco la parola rassegnazione quindi per me c’è solo speranza. È una guerra difficile ma sono disponibile a combatterla e sono disponibile sempre ogni volta che c’è da fare qualcosa col genovese. Sono sempre impegnato con qualcosa da fare perché cerco sempre di tenere vivo il genovese. Nessuna rassegnazione ma una grande speranza e una grande volontà che le cose cambino e una grande disponibilità per contribuire nella causa, per quel che posso”.