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Meraviglie e leggende di Genova | 31 dicembre 2023, 08:00

Meraviglie e leggende di Genova - Quando in via Prè scorrazzavano i maiali

Nella zona, dal 1184, si erano insediati i monaci dell’Abbazia di Sant’Antonio. A loro era concesso allevare i suini, che potevano girare liberamente per strada

Meraviglie e leggende di Genova - Quando in via Prè scorrazzavano i maiali

Delimitata da alte file di palazzi che scorrono intervallati da vicoli più o meno ripidi, via Prè è senza dubbio una delle strade più affascinanti del Centro Storico.

Asse viario fondamentale da e per la città, secondo alcuni storici deve il suo nome alla parola “proei”, ossia prati in genovese, mentre la zona su alcune carte dell’anno Mille veniva indicata come “ad praedia”, cioè verso i poderi: insomma, qui si estendevano prati, una grande macchia verde che si trovava a ridosso delle mura.

Nel corso del tempo qui hanno trovato spazio numerosi conventi e complessi monastici, alcuni dei quali purtroppo non sono giunti fino a noi.

Uno di questi è l’Abbazia di Sant’Antonio di cui oggi rimangono tracce architettoniche proprio tra via Prè, vico Sant’Antonio, via Balbi e vico Inferiore del Roso.

L’abbazia venne fondata nel 1184 e qui i monaci vivevano con il privilegio, concesso all’ordine, di poter allevare maiali, concessione contenuta in una bolla papale emanata da Bonifacio IX nel 1398.

I suini scorrazzavano per le strade divorando tutti i rifiuti che la gente lanciava dalle finestre come fossero ‘spazzini’ ante litteram, ma la loro presenza certo non era di facile gestione per i commercianti e per la gente che si ritrovava a fare i conti con la presenza degli animali.

I maiali dei monaci erano riconoscibili per un campanello all’orecchio e che, di fatto, vietava alla popolazione di poterli uccidere o ferire.

La Repubblica di Genova tutelava gli animali ma il proliferare degli stessi, attorno al XVI secolo, iniziò a creare non pochi problemi, tanto che si intervenne limitando il numero di capi che poteva girare per strada.

Una decisione che ai monaci non andò giù, al punto che decisero di rivolgersi a papa Leone X. Ascoltate le rimostranze degli Antoniani, il pontefice fece annullare il provvedimento della Repubblica e gli animali tornarono a scorrazzare e grufolare in strada.

Un episodio in particolare, però, suscitò l’ira del Senato quando, nel Settecento, alcuni maiali caricarono un corteo di senatori, imbrattandone le vesti. A

In pochi giorni venne emanato un editto che consentiva di appropriarsi dei maiali che si trovavano fuori dall’Abbazia, sia vivi che morti, elemento che segnò la fine delle passeggiate ‘in libertà’ dei suini.

Oggi dell’Abbazia di Sant’Antonio restano tracce del portale d’ingresso affacciato sull’omonimo vicolo.

Una cornice medievale con conci bianchi e neri inquadra il portone del monastero oggi visibile solo in alcune parti. Le grandi modifiche avvennero nell’Ottocento quando Edilio Raggio, per l’ampliamento del suo palazzo, fece demolire diverse parti della struttura.

Oggi, in un piccolo supermercato all’angolo tra via Prè e vico inferiore del Roso, ancora si possono vedere le colonne dell’antico ospedale dove i monaci curavano il Fuoco di Sant’Antonio, l’herpes zoster; mentre a poca distanza dal portale si conserva ancora un bassorilievo del Santo circondato dai maialini che ricorda una storia oggi quasi perduta.

Isabella Rizzitano

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