Classe 1998, un trascorso nel mondo del Metal, tanto studio e la voglia di scrivere per raccontare il proprio mondo.
Kiddo, nella sua musica, è capace di coniugare diversi stili recuperando le sonorità dell’Indie ispirato ad artisti come Calcutta o Carl Brave, lasciando che le rime richiamino il rap, un’infilata di parole e melodie dove tutto si muove su beat e produzioni sempre uniche.
Kiddo, com’è nata la tua carriera musicale?
Ho cominciato a far musica praticamente subito dopo aver cominciato a giocare con gli strumenti. Ho iniziato a studiare un po’ di chitarra poi ho proseguito come autodidatta, anche perché la situazione economica non era delle migliori.
Per sei o sette anni poi ho fatto Metal con i Burning Flag, una band Metafore dove cantavo. Ma chi fa questo genere, soprattutto in Italia, sa che è difficile e complicato arrivare da qualsiasi parte. A Genova anche solo strappare due date è stato difficilissimo.
Dopo un periodo di frustrazione dove ho pensato di smettere proprio con la musica, sono tornato sui miei passi e ho ampliato il mio panorama musicale. Questo è coinciso con il periodo in cui è esploso l’Indie con Calcutta, Gazzelle, Franco 126, Carl Brave, tutti questi nomi che mi hanno fatto venire voglia di scrivere in Italiano.
Ho fondato gli Hansel e abbiamo fatto un paio di date in giro per la città poi è scoppiato il Covid e ci siamo dovuti fermare. Proprio durante il periodo di pandemia ho deciso di tentare una produzione totalmente solista iniziando a scrivere canzoni, registrare, organizzare serate. Così è iniziata l’esperienza Kiddo. Dal 2020 a oggi ho cercato di evolvermi soprattutto in senso di sonorità e spunti. Sono partito dal pensare di fare prettamente rap ma l’idea di mischiare vari stili e non stare fermo solo dentro a uno è un qualcosa che ho dentro. Non riesco a stare in un genere solo e ho iniziato a incrociare tutto quello che è il mio patrimonio genetico musicale. Sono tornato agli strumenti suonati misti ai beat e pian piano sto cercando di formare un ‘pacchetto completo’ come musicista e come persona.
A proposito di scrittura, sei passato dall’inglese all’italiano, quali sono state le tue fonti d’ispirazione?
È difficile trovarne una perché ascolto tantissimi generi e diventa poi difficile collegare quello che ascolto a quello che poi scelgo di mettere a livello di scrittura e strumentale. In questo periodo sto ascoltando un sacco di rock giapponese, nei pezzi che scrivo però non c’è traccia di tutto questo anche perché è complicato trasporre in italiano o trovare una giusta chiave della concezione musicale e culturale che abbiamo.
Tra i capisaldi, però, ci sono Calcutta e Franco 126 ma sono sempre portato a non fissarmi su un artista e glorificarlo ma mi piace scovare, prendere poco, pochissimo. Magari capita di ascoltare il disco di un artista e sentire qualcosa che mi piace per poi metterla in qualche pezzo. Ci sono anche momento dove non ascolto nulla per mesi e mi concentro solo sui podcast; capita così che quando mi trovo a scrivere mi chiedo da dove venga l’ispirazione, che ritrovo poi nel bagaglio che ho messo da parte in tanti anni di ascolti vari.
Nel recente passato ci sono stati diversi singoli che sono andati bene, c’è aria di album per il 2024?
L’intenzione è quella anche perché negli ultimi mesi ho scritto parecchio, complici anche le vicissitudini personali che servono per far esplodere quello che hai dentro a livello artistico.
Ricordo che una volta, mentre stavo intervistando Fulvio dei Banana Joe, mi aveva detto ‘quando sto bene vado a prendermi un gelato a Boccadasse, non mi metto a scrivere’ [ricordando la celebre risposta di Luigi Tenco che, alla domanda sul perché scrivesse sempre cose tristi, rispose ‘perché quando sono felice esco n.d.r.].
Non per tutti è così ma personalmente per me è vero: se va tutto bene non mi viene voglia di fare musica o di scrivere soprattutto di cose personali. Penso che a tutti piaccia un po’ il ‘drama’ e sentire parlare di uno che sta benissimo può far viene voglia di dire ‘seh, vai a fare in culo! Io non sto così. Ora sto cercando di confezionare un prodotto che avrà al suo interno anche pezzi vecchi. Sarà un viaggio si quanto si sta bene nello star male; in quella sorta di zona di comfort che abbiamo e quella paura che ci prende di star bene.
Indizi sul titolo?
Molto probabilmente si chiamerà ‘ Casa mia è bella solo quando piove’, che è un po’ la raffigurazione di questo concetto. Per me il titolo è simbolico di questo stato d’animo.
Prossimi appuntamenti live?
Al momento non ho niente in programma e sono aperto a qualsiasi offerta. Genova non è una città facile; hai mesi in cui magari fai sei date una dietro l’altra e momento in cui fai fatica per mesi. Poi ora è inverno e tutto è chiuso in sé stesso.