Genova, dicembre 1746
Appena qualche giorno prima, al grido di ‘Che l’inse’, il Balilla aveva innescato la rivolta contro l’invasore austriaco.
Non c’è strada di Genova in cui non si senta l’aria di rivalsa nei confronti dell’esercito che occupava la città.
I soldati austriaci continuano a cercare di aver ragione della popolazione ma i genovesi sono determinati a non indietreggiare.
Un gruppo di militari di stanza in Val Bisagno, circa trecento, tenta di raggiungere il generale Botta a Sampierdarena, ma la gente li fronteggia, li ferma tanto che alcuni sono costretti a riparare in una trattoria vicino al ponte di Sant’Agata.
Alle porte dell’osteria, decine di persone sono in attesa che gli austriaci escano, ma i soldati all’interno non ne hanno la minima intenzione.
Il tumulto sale, la folla cresce ma nessuno sembra riuscire a smuovere le sorti di quella strana battaglia combattuta a poca distanza dal Bisagno.
Si fa largo allora un ragazzino, potrà avere dieci o undici anni (fonti Accinelli, Quinto). È Pittamuli e in mano ha una pistola mentre nell’altra ha una torcia. Raggiunto l’ingresso del locale, dà fuoco ad alcune masserizie che i soldati avevano posizionato a difesa. Gli invasori devono per forza uscire e sono costretti ad arrendersi ai genovesi.
Il giovane Pittamuli diventa un eroe, come il piccolo Balilla, tanto che gli sarà dedicata una strada nel quartiere che lo ha visto ‘catturare’ i soldati austriaci, l’attuale corso Montegrappa.
Ancora oggi, tra via San Vincenzo e piazza Colombo, si trova vico Chiuso Pittamuli, in onore di quel giovane, protagonista non troppo ricordato della rivolta contro gli austriaci.
Pittamuli è citato anche da Giosuè Carducci ne ‘Sicilia e la rivoluzione’, poesia scritta all’indomani della partenza di Garibaldi con i Mille. In un passaggio del componimento, ritenuto a buon titolo un inno alla patria e alle rivoluzioni del passato che hanno cacciato gli invasori, Carducci scrive: “Pittamuli, Carbone, Balilla / Scalzi corran da Pre a Portoria / Sotto il nobile segno de i Doria / Dietro il sasso che i mille cacciò”.