In dieci anni, dal 2012 al 2022, Genova ha perso 4020 artigiani. La Liguria nel suo insieme ne ha persi 8299. Il Nord Ovest 107.251. L’Italia in generale 324.605. Sono i dati del report giustamente intitolato ‘Fuga dall’artigianato’, realizzato da Confartigianato su cifre di Inps e pubblicato sabato scorso.
È un’analisi tutta di segno meno per quanto riguarda i numeri, che restituisce anche un interessante spaccato della società e di come si stanno evolvendo i tempi: le professioni in via di abbandono sono calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e televisori, sarti e tappezzieri; in aumento, invece, sono tatuatori, estetisti, consulenti d’immagine, specialisti in web e social media marketing. Cosa significa? Anche questo fa pensare che la società è sempre più usa e getta e sempre più dedita all’immagine e meno alla qualità e alla durata dei prodotti, oltre che alla loro conservazione. Così a farne le spese e a doversi giocoforza evolvere è il mondo del lavoro.
Secondo Confartigianato, le nuove professioni non bastano a compensare gli abbandoni, e poi “negli ultimi quarant’anni c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato ‘dipinto’ come un mondo residuale, destinato al declino, e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie B”.
Ad esprimere queste valutazioni è Luca Costi, segretario ligure dell’associazione: “Non tengono più certe professioni e un po’ questo è il risultato dell’evoluzione della società e delle sue abitudini al consumo e anche alla vita, un po’ non c’è il passaggio generazionale e va a finire che molte botteghe chiudono, lasciando una saracinesca giù e dei quartieri sempre più deserti e impoveriti. Occorre favorire un’inversione di tendenza, sia investendo di più in formazione, sia snellendo la tassazione per gli artigiani, che ha raggiunto livelli insostenibili”.
Molti artigiani, infatti, riescono a ‘salvarsi’ dalla crisi raggiungendo la pensione, ma per tutti gli altri “la strada è quella di andare a lavorare come dipendenti. In tutto il paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri”.
Più in generale, comunque, l’artigiano di domani “sarà colui - sostiene Confartigianato - che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i ‘vecchi saperi’. Alla base di tutto, rimarrà il saper fare, che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera”.
I dati della Liguria sono tra i meno peggio, guardando le altre regioni, per questo Costi osserva: “Fanno piacere i risultati della Liguria, frutto anche di una serie di azioni concertate con la Regione, come ad esempio la ‘Cassa artigiana’, ‘Match Point’ e ‘Orientamenti’ ma, lo ripeto, dobbiamo riavvicinare i giovani al nostro settore favorendo la cultura del lavoro manuale e il passaggio generazionale, nonché creare un ambiente favorevole all’impresa con la semplificazione e la diminuzione della pressione fiscale”. Le regioni con più abbandoni sono Marche e Abruzzo. Le città sono Vercelli e Teramo.