“Ci abbiamo provato tutti insieme: la medicina da una parte, la speranza e le preghiere dall’altra. Non abbiamo ottenuto il risultato, ma i genitori non hanno da rimproverarsi nulla, perché hanno fatto tutto il possibile. E oggi siamo qui, ancora uniti come all’inizio di questa battaglia. Uniti ma non sconfitti”.
Le parole di don Corrado Franzoia, parroco di Santa Maria Immacolata di Pegli, risuonano in una chiesa stracolma, per il funerale della piccola Nora Mondini, mancata lo scorso martedì ad appena cinque anni a causa del Sarcoma di Ewing, dopo aver tentato ogni tipo di cura, anche il ricorso a un centro specializzato in Texas, assicurato alla famiglia grazie all’enorme generosità di tutta una città.
“Non sconfitti”, ripete don Corrado, ed è il senso di questa mattinata struggente, dove le bambine sono vestite di bianco e portano in mano una rosa (bianca pure questa), i bambini sono pettinati di tutto punto e le mamme invece sono in nero, nonostante il caldo, nonostante l’afa, nonostante il dolore, nonostante tutto.
“Non sconfitti”, perché l’amore vince sempre: ce lo dicevano i poeti antichi, ce lo dice ancora oggi questa piazza commossa eppur composta, quest’assemblea dentro e fuori la chiesa dove si sono uniti in un solo grande abbraccio anche le tifoserie di Genoa e Sampdoria. Un po’ come se fossimo allo stadio, alla sinistra della chiesa c’è lo striscione del Genoa: “Rossoblù è la stella più vicina. Buon viaggio Nora, piccola grifoncina”. E alla destra quello della Sampdoria: “Ciao piccolo angelo. La Sud”.
Sull’altare, una grande corona di fiori rossi e blu, con la scritta sulla coccarda: ‘I ragazzi di Marassi’. Nora entra in parrocchia per l’ultimo saluto dentro la piccola bara bianca, fasciata con una sciarpa del Genoa: basterebbe solo questo, per spaccare il cuore, mentre al momento dell’omelia don Stefano Cicciotti, aiuto pastorale dell’Immacolata e ordinato da poco sacerdote, continua a ripetere: “Ci chiediamo perché, e lo chiediamo al Signore. Ma non sappiamo darci una risposta e in questo momento l’atteggiamento migliore è il silenzio, di fronte a questo enorme mistero”.
Silenzio e tanta tristezza: la si legge nei volti dei presenti, la si scorge persino sui visi dei pompieri che portano dentro il feretro di Nora, così leggero fisicamente eppur così pesante da sopportare, così impossibile da comprendere. “Ma il mio giogo è soave e il mio peso è leggero”, ci ricorda Gesù nel Vangelo di Matteo che è stato scelto per questo ultimo saluto: significa che l’anima va in cielo, libera finalmente, come le centinaia di palloncini che bambine e bambine rilasciano in alto, quando Nora esce nuovamente dalla chiesa per essere portata via.
Un estremo saluto pieno di pathos, sulle note di ‘Guasto d’amore’ di Bresh. L’immagine più intensa la dà ancora don Corrado: “La canzone dice: ‘Sono su un altro pianeta, non ti vedo e quando mi tradisci la faccio passare, ma quando ti vedo, mi fai innamorare: questa è la fede”. E un lungo applauso accompagna questa riflessione, accompagna l’esistenza tutta di Nora, il suo coraggio e il suo orgoglio, accompagna l’amore di mamma e papà e accompagna, alla fine, un po’ tutti noi, che al lieto fine avevamo sperato, perché la fede è anche un miracolo, ogni tanto, e la storia ci racconta che ne sono successi.
C’è una vecchia canzone americana che a un certo punto fa così: “You set the world on fire, you came and gifted us, your love it lifted us higher and higher”, hai portato il fuoco nel mondo, sei venuta e ti sei donata a noi e il tuo amore ci ha sollevato più in alto e più in alto ancora. Basterebbero queste tre strofe a raccontare chi è stata Nora, che cosa ha fatto Nora. Chi cantava questa canzone portava un cappellaccio da cowboy, come Nora quand’è arrivata nel Texas. Comunque sia andata a finire, comunque andrà, a qualsiasi altra persona capiterà, tutto questo non lo potremo mai dimenticare. Mai.