Faccia da bravo ragazzo, sorriso che non si spegne e non si scompone davanti ad alcuna domanda, nonostante di lanciarsi in qualche sperticata risposta in italiano per il momento preferisca evitare, con la lingua che non è del tutto un ostacolo ma al momento va ancora perfezionata.
E' un Mateo Retegui parso sereno ma al tempo stesso determinato, quello che per la prima volta parla ufficialmente alla stampa da giocatore del Genoa, dopo settimane in cui il suo nome era stato accostato al club più antico d'Italia con un'escalation di attesa che culminerà questa sera con il bagno di folla tra i tifosi rossoblù in piazza De Ferrari alle 19.
Ad accompagnarlo è la sua famiglia, su tutti il papà dal quale ha ereditato il soprannome "El Chapita", una sorta di patronimico che però l'attaccante classe '99, che ha firmato un quadriennale, preferisce lasciare da parte con un chiaro: "Chiamatemi semplicemente Mateo".
Quasi un lasciare da parte i paragoni come quelli che si sono sprecati in questi giorni con "El Principe" Diego Milito, di cui la punta proveniente dal Tigre è chiamato in un qual modo a raccogliere una sorta di eredità nell'ideale romantico dei tifosi. E proprio l'ex attaccante è stato uno dei motivi che ha spinto a vestire i panni del Vecchio Balordo: "Ho parlato con lui - spiega Mateo - mi ha detto che questa è una grandissima società con grandi tifosi. C'erano anche altri club su di me, ma ho pensato che la scelta migliore fosse questa".
Scelta che lo avvicinerà agli occhi di Roberto Mancini, che da subito ha avuto fiducia in lui convocandolo pur senza averlo mai visto giocare in Europa. Una fiducia finora ricambiata con 2 reti in 3 presenze con la maglia azzurra: "Lo ringrazio per le belle parole che lui e il suo staff hanno sempre avuto per me. La Serie A è un onore, la Nazionale un sogno che si è realizzato".
E questo grazie alle origini italiane dei nonni, non solo quelli materni ma anche paterni, col bisnonno da parte di papà genovese. Un altro tassello nel puzzle che ben si abbina alla sua provenienza dal Boca Juniors, club notoriamente fondato da genovesi emigrati: "E' il destino che io giochi qui".
Un destino che porta però anche il nome del lavoro di scouting portato avanti dagli uomini mercato genoani. "Lo seguivamo già dall'anno scorso ma non c'erano le condizioni, poi quest'anno col direttore Ricciardella ci siamo detti 'perché non provarci' ed eccoci qui" ha ammesso il diesse Ottolini, che pur nelle scorse settimane aveva gettato un po' d'acqua sul fuoco degli entusiasmi così come il presidente Zangrillo.
Quest'ultimo, oltre a dare il benvenuto, ha raccontato qualche retroscena legato alla narrazione e alle sue dichiarazioni: "Era un sogno che sembrava irrealizzabile, eppure a un certo punto è entrato nella testa di un gruppo importante e unito, con una grande proprietà alle spalle. Ci voleva però una mente molto lucida in una trattativa non facile, abbiamo anche litigato qualche volta con l'ingegner Ricciardella (ride, ndr)".
Ora non resta che vedere il nuovo bomber, che indosserà la maglia 19, all'opera dopo i primi allenamenti: "Sono in un'ottima condizione, l'ultima partita l'ho giocata giovedì scorso. Il mister? Gilardino è stato un grande attaccante, da lui cercherò di apprendere il più possibile. Modulo? Non c'è problema nel giocare a due o come unica punta. Sono a disposizione della squadra, l'importante è giocare ed essere felice poi penso a segnare perché è il mio ruolo che lo vuole".