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Cultura | 22 giugno 2023, 11:09

Incontro con Fabio Giovinazzo, il poliedrico artista genovese decostruttore di messaggi confortevoli

Cinema, scrittura e fotografia: le diverse forme del soggettivismo e l’arte del raccontarle

Incontro con Fabio Giovinazzo, il poliedrico artista genovese decostruttore di messaggi confortevoli

Prima di incontrare Fabio Giovinazzo, autore e regista cinematografico, artista e scrittore, occorre un’anticamera, curata nelle suppellettili e negli appoggi, dove spogliarsi di accessori votati alla protezione dalle intemperie, perché il viaggio sarà tutto meno che confortevole, e, anzi, con buona probabilità, porterà a nuove interpretazioni delle stesse vie di ragionamento praticate da anni.

Cosa è la sensualità dopo aver visto il suo dramma fantasy "Veleno Biondo"? Avremmo mai avuto un vero sguardo laterale sulla strage del crollo del ponte Morandi, se non avesse toccato delle corde ermeneutiche diverse nel suo documentario “Il Ponte della Vergogna”? E quegli scritti e quelle fotografie che cogliendo la natura non lineare della realtà ci rendono più raminghi nelle ricerche del senso?

Il suo cinema, per esempio, l’ambito per cui è più conosciuto. E' stato membro della Giuria al Milan Gold Awards, importante festival cinematografico di livello internazionale. Da qualche anno fa parte di Fuorinorma, il progetto ideato dal decano dei critici cinematografici Adriano Aprà e aperto a valorizzare la via neo-sperimentale del cinema italiano. La sua idea di cinema è provocatoria, da lui stesso definita “egoista”: “Quando curo la regia di un'opera cinematografica o scatto una fotografia divento il miglior psichiatra di me stesso - ci racconta Giovinazzo - mi piace ragionare sulla mia interiorità, poi consegnarla alle immagini, quindi darla in pasto al pubblico: lo trovo parecchio eccitante e terapeutico al tempo stesso. Il mio cinema è simile a un sogno o a una fiaba. Non mi interessa far arrivare al pubblico un messaggio. Non mi interessa insegnare niente a nessuno. Sono un grande egoista in questo senso. E le riprese che sviluppano il mio cinema devono per forza essere sottomesse a questa regola. Mi piace analizzare il mio pensiero, in uno stile complicato. Diciamo che attraverso le immagini, non da meno quelle fotografiche, cerco di curare il mio animo. Detesto i momenti in cui questa possibilità mi sfugge. Si tratta di una ricerca continua, c'è sempre tanto da fare”.

Chi ha lavorato con lui sul set, sa che è molto esigente, maniacale e può cambiare idea da un momento all’altro. “Pianifico e cerco di anticipare tutto prima di girare una scena - ne racconta consapevole lo stesso Giovinazzo - anzi una singola inquadratura, ma quando arriva il momento dell'azione può capitare che la mia interiorità stravolga tutto, anche se stessa. L'ambiente può comunicarmi nuove idee o suggerirmi stati d'animo fino a qualche attimo prima sconosciuti. Allora è come la fenice che si getta in un rogo e rinasce dalle proprie ceneri".

Celebrato con preziosi riconoscimenti all'interno di molti festival, soprattutto internazionali, il suo cinema rappresenta figure e condizioni marginali, paradossi artistici quindi mondi fuori dall'ordinario, ma non banalmente provocatori. La sua ultima fatica è un dramma che sposa un forte senso di alienazione, l'enigmatico ritratto di una donna (interpretata dall'attrice Nicoletta Tanghèri) che cade senza respiro nell'abisso della solitudine. Affari sporchi, colpi di pistola e vendetta sullo sfondo di un paesaggio storico che apre al fumetto con soffio ancestrale. Un film che è, come sempre, un pezzo del mondo di dentro di Giovinazzo. Ma quando lo raccogliamo - e ci brucia, e ci penetra, e ci prende a schiaffi, e ci accarezza - ecco che scopriamo che nel suo molteplice dimenarsi è anche un pezzo di noi, magari tra quelli che usavamo calpestare. 

Sara Tagliente

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