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Cultura | 20 giugno 2023, 07:20

Cultura e precariato: la storia di Corinna, vicepresidente di 'The Genoeser', "Due lauree e per vivere faccio la bidella"

"La mia generazione si scontra con un'altra che dopo essersi presa il proprio spazio non lo lascia, siamo impigliati in una rete, come i pesci"

Cultura e precariato: la storia di Corinna, vicepresidente di 'The Genoeser', "Due lauree e per vivere faccio la bidella"

Chissà quante delle tante persone che apprezzano le illustrazioni di 'The Genoeser', il fortunato format che riprende le copertine del New Yorker, sanno che dietro al lavoro degli illustratori c'è un'associazione, la cui vicepresidente, laureata in storia dell'arte, per vivere è costretta a fare la bidella, per di più annaspando nel precariato. Lo ha raccontato la diretta interessata, Corinna Trucco all'incontro che si è tenuto alcuni giorni fa in piazza Don Gallo 'E ringrazia che lavori', organizzato dall'associazione 'Generazione P', nata dopo la denuncia virale di Ornela Casassa, l'ingegnera costretta a rifiutare un lavoro perché lo stipendio offerto, 750 euro, non le avrebbe permesso di sopravvivere.

Credo che questi incontri siano indispensabili, poter raccontare la propria esperienza è stato il motivo alla base della mia partecipazione. - racconta Corinnna Trucco a La Voce di Genova – E' un riconoscersi all'interno di un problema che ha per tutti le stesse dinamiche, l'essere tutti insieme evita la parcellizzazione e consente di fare rete”.

Non è semplice citare uno solo dei fattori che determinano il precariato.

Le motivazioni sono tante e stratificate. Credo che alla base ci sia un enorme problema culturale di accessibilità. La mia generazione, quella dei nati negli anni '80, si scontra con una più grande che, dopo essersi presa il proprio spazio non lo lascia. Il problema riguarda anche i sindacati che tutelano chi è già dentro, ma non fanno niente per chi il lavoro lo sta cercando. Penso per esempio al contratto nazionale sottoscritto dalle maggiori sigle che nasce per fare uscire dal precariato i vigilanti nei musei, ma che poi viene applicato in impieghi che non c'entrano niente con la vigilanza, come servizi di accoglienza, guide e altri lavori, pagati per di più 5 euro l'ora. Ci troviamo impigliati in questa rete, come pesci che provano a respirare”.

Respirare significa trovare rifugio in un altro impiego, per Corinna quello pubblico, da bidella, ma precaria, con contratti rinnovati ogni tre mesi.

Sono stato assunta come personale aggiuntivo covid, il mio contratto era quindi legato all'esistenza dell'emergenza sanitaria. Fino all'ultimo non sapevo se avrei avuto ancora un impiego. Inoltre, non avendo il Ministero allocato i fondi, personalmente sto ancora aspettando gli stipendi di aprile e maggio, e so che anche tanti docenti sono nella mia stessa situazione”.  

Anni fa Corinna aveva pensato di trasferirsi, ma passato quel treno non se la sente di fare ulteriori passi nel vuoto. “Se faccio la precaria in un'altra città, dove non ho né la mia famiglia né la mia rete sociale, cosa ottengo?”, si chiede.

Qualcosa si è mosso durante la pandemia, quando sono nate le associazioni 'AWI-Art', 'Workers Italia' e 'MI Riconosci?'. “In quel periodo i lavoratori del mondo dell'arte erano a terra, alcune categorie non potevano chiedere i sussidi perché non avevano i codici Ateco. Quello è stato il momento in cui si sono svegliate le coscienze. Queste associazioni si occupano di redigere i contratti e i tariffari nazionali. 'Mi Riconosci?' ha promosso il primo sciopero del personale museale a cui è seguito un tavolo di confronto, grazie al quale sono stati raggiunti dei risultati. La forza di queste esperienze aiuta a capire di non essere soli, dal confronto e da genovese aggiungo dal mugugno, nasce la voglia di dire basta, altrimenti il rischio è di non riuscire ad avere le energie per la lotta. Chi pensa ad azioni collettive se crede di essere il solo a non riuscire a fare la spesa?”.

Sovvertendo il proverbio, Corinna l'arte non l'ha mai messa da parte, anzi ha arricchito l'offerta culturale in città, prima con il 'Cotonfioc', il primo festival dedicato all'illustrazione, andato avanti per diverse edizioni praticamente senza il sostegno delle istituzioni, eccetto quello del Municio Levante nell'anno in cui la manifestazione si tenne all'ex manicomio di Quarto. Dalle ceneri di quel progetto tramontato durante il covid, è nato The Genoeser

Si muove creando una rete di illustratori professionisti, l'idea è quella di omaggiare le copertine del New Yorker”, spiega Corinna. Il progetto esiste in altre città italiane ed europee. “A Genova stiamo ricevendo un seguito e una affetto che non immaginavamo, a dimostrazione che c'è un mercato, ma se vuoi lavorare in questo ambito devi metterti in testa di farlo da solo, senza un supporto istituzionale”.

Gli illustratori sono tutti professionisti, “a cui facciamo veri contratti”, sottolinea. Tra le copertine, giusto per citarne due molto popolari, la cremagliera illustrata da Matilde Martinelli e la Sopraelevata di Elisa Murgia. “Quest'ultima l'abbiamo presentata durante la Bedesign Week, tra il pubblico si è creato subito un dibattito tra chi la ritiene un obbrobrio e chi sostiene sia parte della storia di Genova. Il successo delle copertine suscita sempre commenti e questo per rende la nostra un'esperienza positiva”.

Francesco Li Noce

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