“Quando Donato Bilancia seminava morti in giro per la Liguria, io ero caporedattore della redazione genovese de ‘Il Giornale’ e seguii il caso. Lo feci per sei mesi, senza sapere che fosse un unico assassino a fare tanti morti, d’altronde non lo sapevano neppure gli investigatori incaricati delle indagini. Poi, dopo la sua cattura, gli feci visita al carcere di Chiavari, alle Case rosse. Ricordo che stava in un angolo, fissava un crocifisso, continuava a fumare e disse solo: ‘Ma che ci faccio qui, in mezzo a tanti delinquenti?’. Perché sì, Donato Bilancia non si sentiva un criminale”.
A raccontarlo oggi, oggi che uno dei più spietati e sanguinari serial killer della storia italiana non c’è più, è lo scrittore e giornalista genovese (vive a Pegli, quando non soggiorna a Milano o altrove per motivi di lavoro) Carlo Piano, che su Donato Bilancia ha da poco pubblicato un libro, edito dai romani di e/o: s’intitola ‘Il torto’ e viene presentato domani pomeriggio, alle ore 18, presso La Feltrinelli di via Ceccardi. Altre presentazioni genovesi (tutte a ingresso libero) sono il 20 maggio alle 17,30 al Libraccio di via Cairoli e il 1° giugno alla Mondadori di Sestri Ponente.
“Quando ho saputo che è morto, poco prima del Natale del 2020, mi è tornato tutto in mente. Erano passati vent’anni e mi ero dimenticato di Donato Bilancia, ma ho sentito l’esigenza di riprendere in mano tutto e di mettermi a scrivere. Dovevo come esorcizzare Donato Bilancia”.
Carlo Piano, che per edizioni e/o è stato già autore del bel romanzo ‘Il cantiere di Berto’, ambientato sullo sfondo della costruzione del nuovo ponte San Giorgio (di cui suo papà Renzo è il progettista), lo ha fatto in 265 pagine dense, intense, piene di particolari su Donato Bilancia, sull’iter processuale, sulla persona, sul personaggio, su uno spaccato comunque particolare e mai dimenticato delle cronache nazionali, così tanto legato alla nostra terra.
Non è il primo libro che viene scritto su Donato Bilancia. Ma quello di Carlo Piano è certamente il libro meglio scritto, più appassionato, più approfondito. Tutto parte da trenta udienze, ventinove avvocati, centoquarantaquattro testimoni citati dal pubblico ministero, centoventi da difesa e parti civili e diciannove dai periti. “L’imponenza del procedimento - racconta l’autore - è racchiusa in sessantacinque faldoni, novantamila pagine, ottanta fascicoli di intercettazioni telefoniche, tabulati e video. È da tutto questo che sono partito”.
Piano ricorda come “Bilancia fu arrestato il 6 maggio di 25 anni fa, in zona San Martino a Genova. Era la fine di un incubo che aveva insanguinato la Liguria. Io ho voluto scrivere una sorta di true crime, basandomi sui fatti, sulle testimonianze, sui ricordi miei, per riproporre la storia tragica di un uomo che era al contempo fragile, feroce e contraddittorio, un personaggio che sembra uscito da una tragedia di Sofocle. E c’è sempre da dare una risposta a una domanda: che cosa ha trasformato un ladro e un balordo che non aveva mai fatto male a nessuno nel serial killer più frenetico e prolifico del panorama criminale italiano?”.
Donato Bilancia si faceva chiamare Walter e rimane un caso senza spiegazione. “Ladro e gentiluomo alla Arsenio Lupin, nottambulo della suburra genovese, giocatore incallito ma fedele all’azzardo della parola data, Walterino, il più feroce assassino che il Bel Paese ricordi dai tempi del mostro di Firenze, un bambino che andava bene a scuola e che prese una china storta”.
In questo raggelante romanzo, Carlo Piano ricostruisce nei dettagli la vita di quest’anima dannata, di questo oscuro assassino, senza mai cedere a un facile, morboso voyeurismo, indagando senza preconcetti e con tenace coinvolgimento nelle pieghe, nelle motivazioni, nei deliri di questa mente feroce. “Il cosiddetto serial killer dei treni venne catturato venticinque anni fa e nella primavera del 2000 condannato a scontare tredici ergastoli per i diciassette omicidi dei quali si dichiarò colpevole. Questa è la sua storia, articolata nei diciassette drammatici momenti che ne suggellarono il destino. Diciassette gradini per scendere precipitosamente al male, come in una bolgia. Dal furto all’omicidio con movente, dall’assassinio per vendetta all’omicidio seriale alla rinfusa, fino alla profanazione del cadavere di una ragazza della quale neppure conosceva il nome”.
Diciassette abomini che, una volta assicurato alla giustizia, gli costeranno il carcere a vita. Uscirà solo una volta, con un permesso di qualche ora, per andare a salutare i genitori sepolti a Nizza Monferrato. Dietro le sbarre prese la laurea, lui che aveva a stento finito di leggere l’abbecedario. “Infettato dal Covid, morirà poco prima di Natale del 2020, solo come un cane, in una cella infestata dalle ombre, dopo aver rifiutato le cure. Si rifugiò nella religione? Forse baluginò l’idea. Si pentì? Era folle o solo sopraffatto dal rancore? Donato Bilancia detto Walter resta un caso senza spiegazione”.
Secondo Carlo Piano, “leggendo la storia di Donato Bilancia, ci si rende conto che la distanza tra il carnefice e quelle che noi consideriamo persone normali, è molto più sottile di quanto si possa credere”. E questo un po’ ci fa paura, anche pensando a tutta la cronaca più recente. “Era un giocatore di poker, ma preferiva i dadi, perché diceva che così non doveva pensare. Alla roulette giocava sempre il 32 rosso. E rimborsava sempre tutti i suoi debiti di gioco. Li rimborsò anche dopo l’arresto”.
L’unico conto rimasto aperto, per Donato Bilancia, è quello con se stesso e con quella domanda che risuona ancora, dopo un quarto di secolo, e che Carlo Piano ha riproposto con così tanto talento e pathos: perché?