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Attualità | 13 marzo 2023, 18:04

Una sede per le donne iraniane, le loro voci: “Ora lavoriamo unite per i diritti”

L’iniziativa promossa da Cia Liguria e le dolorose testimonianze di Shiva e Zara, calciatrice e gionalista in una realtà dove la donna deve stare a casa

Una sede per le donne iraniane, le loro voci: “Ora lavoriamo unite per i diritti”

Da oggi la comunità iraniana a Genova ha un luogo sicuro dove potersi incontrare. Cia Liguria (Agricoltori Italiani) ha messo a disposizione la propria sede in via Colombo per tutte le donne iraniane.

“Siamo orgogliosi di questa iniziativa.  Le loro storie danno un quadro terribile di quanto sta avvenendo – sottolinea Federica Crotti, presidente Cia Liguria di Levante -. Con gli spazi che mettiamo a disposizione possiamo aiutarle a mantenere la propria identità. Donna, Vita, Libertà: il loro slogan è vicino alle attività delle agricoltrici di Cia Liguria. Per genere DONNA, per scopo VITA l’agricoltura stessa è vita, LIBERTÀ valore universale da applicare alla vita di tutti i giorni ivi compresa la possibilità di fare impresa”. 

Al teatro Tiqu oggi si sono ritrovate alcune donne e uomini iraniani per raccontare la loro esperienza con il regime per capire come iniziare ad instaurare un dialogo con le istituzioni italiane

“Avevamo bisogno di una casa che accogliesse tutti noi - dice Sharareh Moghadasi, imprenditrice con un’attività a Genova - Siamo tanti e ci stiamo conoscendo sempre di più tra noi. Avevamo bisogno di un posto per essere più uniti, per poter confrontarci e parlare dei nostri problemi.

Siamo cresciuti nel terrore e abbiamo paura l’uno dell’altro. Per questo è importante rimanere sempre uniti per poter andare avanti e per poter vincere questa battaglia”.

L’evento che ha scatenato la rivolta in Iran è stata l’uccisione qualche mese fa di Mahsa Amini, 22 anni, morta dopo esser stata arrestata e aggredita dalla polizia morale vigente in Iran. Da lì la valanga di proteste che arriva anche qui in Italia con donne fuggite dal loro paese e che ora chiedono giustizia.

È il caso Shiva Amini, ex calciatrice della Nazionale Femminile Iraniana, costretta a fuggire in Italia dal 2018. Il governo iraniano l’ha inserita nella black list a causa di una sua presunta condotta contraria alle leggi ed alla cultura del suo paese d’origine. Ora Shiva però chiede ai governi occidentali di prendere una posizione forte contro il governo iraniano. Il suo timore è che gli interessi economici possano prevale sui diritti dei cittadini e cittadine iraniane:

Non potevo fare nulla - dice Shiva - In Iran una ragazza non può andare in bicicletta, non può andare in moto, non può ballare, non può suonare, non può entrare allo stadio, non può giocare a calcio con i maschi, non può lasciare il paese senza il permesso del marito o del padre.

Fin da piccola mi sono accorta che la mia strada sarebbe stata difficile perché non potevo accettare tutto questo. Secondo il regime una ragazza deve stare a casa e dopo 10/15 anni sposarsi e fare figli. Era inaccettabile per me perché non sapevo come stare a casa, ero una bambina iperattiva, dovevo correre, dovevo andare a fare attività fisica. 

Mi hanno arrestato trenta volta, per più di sei volte mi hanno arrestata perché ero con il mio fidanzato. Tutto quello che il regime diceva di non fare io lo facevo.

Adesso sono contenta per questa rivoluzione perché per la prima volta la gente in Iran crede che questo regime deve andarsene via. Io sono scesa in strada 10 anni fa, sono stata picchiata e poi sono scappata. I miei amici avevano più speranza nel nuovo presidente e io piangevo perché non sapevo cosa fare. Ora invece sono contenta perché tutti hanno aperto gli occhi su questo regime assassino che uccide i bambini e le donne.  

Le ragazze vengono stuprate in prigione. Sono state uccise più di 600 persone, non sono solo numeri, ognuna di loro ha una famiglia e amici.

Penso alle studentesse che quando vanno a scuola devono essere pronte a finire all’ospedale da un momento all’altro. Tutto questo ci fa capire che questo è regime terrorista e criminale.

Non capiamo però il comportamento dei governi occidentali: l’anno scorso tutti noi iraniani qui in Italia ci hanno chiesto di chiudere i nostri conto corrente. Ci hanno detto che non possiamo avere un conto corrente perché il nostro Paese è nella lista nera.

Adesso siamo noi a chiedere ai governi occidentali di intervenire ma l’odore del petrolio non lascia sentire l’odore del sangue”.

Un Paese, l’Iran, dove in queste settimane arrivano notizie sempre più drammatiche: studentesse avvelenate perché non degne di andare a scuola, donne picchiate perché non indossano il velo. Uno dei punti più bassi: secondo la legge iraniana non si può arrestare una donna vergine perché pura. Così uomini e polizia morale si sentono legittimati a stuprare le donne per poi trascinarle in prigione.

Zara Jalilian, giornalista e attivista dei diritti delle donne, ha dovuto stravolgere la sua vita prima abbandonando la sua professione e poi lasciando il suo Paese. Troppi gli obblighi e le pressioni da sopportare. La sua attività d’inchiesta ha permesso negli anni di salvare diverse persone dalla prigionia e dalla quasi inevitabile e successiva morte. Ora Zara, insieme ad altri suoi colleghi, conduce un podcast per far conoscere le ingiustizie del regime e per fare rete tra le iraniane che sono riuscite a fuggire:

“Ho 38 anni - dice Zara - Sono curda e vengo dall’ovest dell’Iran e non ho mai accettato di vestirmi come mi imponeva la mia famiglia.

A scuola, in casa e fuori casa le bambine già da piccole devono indossare l’hijab, il velo. A18 anni ho iniziato a studiare all’università informatica e ho iniziato a lavorare subito perché pensavo che l’indipendenza economica potesse aiutare ad avere una maggior indipendenza. Ho pubblicato due libri sul patrimonio mondiale dell’Iran.

Successivamente ho fatto il concorso per stare in tv e in radio come giornalista. Mi hanno chiesto di indossare l’hijab chador, un velo ancor più integrale. In questi anni ho accettato contro la mia volontà di indossare questo tipo di velo perché volevo avere una voce in tv e in radio. 

Durante la mia attività lavorativa ho subito numerose critiche e pressioni ma sono molto orgogliosa di un’inchiesta che ho fatto e che ha permesso di salvare quattro persone dalla prigione. 

Nel mio lavoro come giornalista e reporter ho avuto tanti problemi perché ero sotto controllo. Non potevo avere nessun tipo di relazione con nessun maschio, non potevo viaggiare all’estero tranne in quei Paesi vicini all’Iran come Iraq o Arabia Saudita. Dopo tutto questo ho deciso di rinunciare al mio sogno di diventare una giornalista e ho iniziato a lavorare dentro una fabbrica di auto. In quel periodo ho iniziato ad andare nelle parti più povere delle città nei fine settimana per insegnare a scrivere a donne e bambini in difficoltà.

Due anni fa mi hanno impedito di fare anche questa attività di volontariato, hanno iniziato ad arrestare alcuni miei amici e allora ho iniziato a pensare ad un modo per scappare. Sono riuscita a vincere una borsa di studio a Genova e ora sto qui come studentessa”.

Una delle sfide dei prossimi mesi e anni sarà quella di costituire una rete organica di iraniane all’estero. Molte persone fuggite dal regime infatti sono diffidenti, chiuse nella loro disperazione. Sohrab Najafi, attivista e portavoce di un gruppo di studenti, sta iniziando a lavorare su questo binario con la costituzione di una fondazione:

“Molti studenti sono qui da poco tempo, io invece sono cresciuto qui e quindi, grazie al mio privilegio, posso mettere a disposizione la mia conoscenza della lingua e della cultura italiana per portare avanti le lotte. 

Quanto è bello che le donne facciano sentire la loro voce. Quanto è bello che ci siano tantissimi uomini al fianco di queste donne a difenderle e a cercare insieme una soluzione condivisa. 

Io volevo però porre l’attenzione su alcune problematiche. Nella sua storia l’Iran non ha mai avuto una democrazia, un sistema politico che partisse dal basso. Parliamo di migliaia di anni. Con l’avvento di questo regime sono state tolte libertà già conquistate nel tempo quindi oltre alla libertà politica è venuta a mancare anche la libertà sociale e culturale. Ci sono generazione cresciute traumatizzate, in un contesto tossico. Queste persone, per la loro sopravvivenza, hanno dovuto creare dei sistemi e dei meccanismi. Oggi quei meccanismi creano una difficoltà nel compattarsi, nell’essere uniti. Questo sistema marcio ha creato un’enorme diffidenza all’interno di ogni persona iraniana. Questa difficoltà la vedo anche qui a Genova e in tutte le città italiane dove ogni tentativo di trovare una soluzione politica è osteggiata dagli stessi iraniani. Questo mi rattrista molto perché abbiamo la possibilità di fare la storia ma la storia stessa che abbiamo subito ce lo sta impedendo.

Da qualche settimana stiamo lavorando per dare vita ad una fondazione iraniana in Italia che nega il regime islamico ed è al servizio del popolo. Vogliamo entrare in relazione, anche in maniera istituzionale, con un governo legittimo e democratico iraniano. Speriamo che questo tipo di iniziativa possa essere un tentativo di solcare una strada istituzionale in maniera compatta e ordinata”.

Marco Garibaldi


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