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Sanità | 06 marzo 2023, 07:29

Tra i bambini dei campi profughi con Medici Senza Frontiere, la storia di Carola Buscemi

La dottoressa Buscemi racconta la sua esperienza con Medici senza Frontiere, dalla formazione al Gaslini e il primo campo in Grecia fino alla prossima missione che la vedrà impegnata per sei mesi nel sud Sudan

Tra i bambini dei campi profughi con Medici Senza Frontiere, la storia di Carola Buscemi

Cinque missioni all’attivo, la sesta pronta a partire, che la vedrà impegnata per sei mesi nel sud del Sudan. L’esperienza della dottoressa Carola Buscemi con Medici Senza Frontiere è iniziata nel 2018, quasi per caso, e da quel momento è proseguita ininterrottamente.

Un lavoro che trova nella passione la motivazione necessaria per affrontare le difficoltà e le sfide quotidiane. 

A proposito è proprio la dottoressa Buscemi a raccontare com’è nata la sua: “Ero all’ultimo anno di specialità di Pediatria, l’Università di Novara, in particolare il CRIMEDIM, organizzava un corso di medicina dei disastri in collaborazione con MSF. Il corso era diviso in due parti con una settimana di formazione a Novara e tre mesi di pratica sul campo con Medici Senza Frontiere. Li inizia la mia esperienza. Mi iscrivo a questo corso e passiamo una bellissima settimana a Novara; finita la parte teorica, siamo passati alla parte pratica, sul campo, e si veniva assegnati a una missione in base alla disponibilità.

La mia destinazione per i tre mesi successivi è stata l’isola greca di Lesbo, dove c’è un grande campo rifugiati. Parto per quest’avventura come pediatra, mi piace da morire e mi trovo bene, soprattutto con il team. Terminati i tre mesi torno in Italia per specializzarmi e riparto immediatamente: il contratto si rinnova e comincia una serie di missioni per un totale di un anno e mezzo. Dopo la Grecia sono stata in Sierra Leone e ora mi preparo per il Sud Sudan”.

La sesta missione - prosegue la pediatra - sarà nel sul del Sudan, al Damazin, una località vicino alla regione del Blue Nile, al confine con l’Etiopia. Li abbiamo un progetto che coinvolge un centro di malnutrizione. Al momento ci sono 70 posti letto ma nel giro di pochi anni saranno raddoppiati. Questa volta partirò come MAM, Medical Activity Manager, e avrò l’occasione di imparare un po’ di più anche sulla parte manageriale, di budget e di gestione delle risorse. Saranno sei mesi in cui ci sarà coinvolta una squadra composta da otto-dieci persone”.

Tantissime sono le persone che Carola ha incontrato e aiutato nel corso delle sue missioni e ogni esperienza ha lasciato una traccia. Tra quelle più toccanti trova spazio la storia del piccolo Alì: “La prima missione, per tanti motivi, è quella che non si scorda mai. La Grecia è stata toccante perché si viveva un contesto incredibile. Nello spazio di sei chilometri si passava dalle spiagge con vip, yacht e feste all’inferno vero dei campi con condizioni difficilissime. E’ stata una missione molto impegnativa dal punto di vista psicologico e noi operatori, in cinque minuti di macchina, passavamo in due mondi paralleli, completamente diversi. Era la prima volta che vedevo problematiche di salute mentale, di disturbi psicologici e psichiatrici in bambini piccoli. Al Gaslini avevamo bambini con disturbi psicologici ma non avevo mai visto una tale gravità, soprattutto in bambini di 6, 7 anni che venivano portati negli ospedali dai genitori per tentato suicidio. Un giorno ero in consulta e arriva quest’omone, con quattro, cinque figli, che si mette a piangere davanti a me mentre mi fa vedere Alì. Lo aveva appena preso al volo mentre si stava per buttare giù da un container, aveva 7 anni.

Queste sono cose quotidiane li. Ragazzini e bambini arrivavano con i polsi tagliati, alcuni colleghi hanno anche dovuto suturare perché avevano tentato di tagliarsi le vene. Psicologicamente è stata una missione molto forte che ricorderò per sempre”.

La vita in missione non è certo facile ma è un’esperienza di grande impatto: “Se c’è la vocazione, lanciatevi, provate, partecipate, fate, perché sicuramente è un contesto difficile ma che umanamente ti cambia, ti lascia tanto, Se c’è la vocazione, e non tutti ce l’hanno, non bisogna avere paura. In missione non si è mai da soli, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarti, a supportarti, si impara tanto e si cresce. E’ difficile ma è un ambiente che ti aiuta anche nella crescita personale. La missione lascia poi un grande senso di soddisfazione, quando puoi far qualcosa, anche se spesso si è impotenti e bisogna tenerlo in considerazione, senti di dare qualcosa di bello: una parola di conforto a un genitore è già tanto ed è utile”.

Isabella Rizzitano

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