Attualità - 29 gennaio 2023, 07:20

Meraviglie e leggende di Genova - Riccardo Pacifici e la deportazione genovese

Le truppe tedesche riuscirono con l'inganno a ottenere i registri della comunità ebraica di Genova. Il rabbino capo scelse di rimanere in città finendo con l'essere arrestato e deportato. Non fece mai più ritorno da Auschwitz.

2 novembre 1943, martedì.

A due settimane dal terribile rastrellamento di Roma, anche la comunità ebraica genovese viene investita dalla furia delle guardie tedesche, decise a portare avanti il piano di sterminio di Hitler. 

Inizia una vera e propria caccia all’uomo: i militari tedeschi, fanno irruzione negli archivi della Sinagoga e strappano letteralmente di mano ai custodi, Linda e Bruno Polacco, i registri della comunità. 

Inutile negare che, con quell’elenco, i tedeschi si sentono un passo più vicini all’obiettivo.

Con l’inganno, catturano un primo gruppo di ebrei.

Qualcuno tenta di mettersi in salvo, di scappare per provare a sopravvivere. Non è la scelta di  Reuven Riccardo Pacifici, il rabbino di Genova a capo della comunità dal 1936 al ’43.

Pacifici sceglie di rimanere e viene catturato il giorno seguente: si trova in Galleria Mazzini quando gli si avvicinano i tedeschi e lo arrestano.

Il rabbino, insieme alla moglie, Wanda Abenaim, e ad altri 259 ebrei genovesi, viene prima trasferito nel carcere di Marassi, poi passa per San Vittore prima di essere deportato, il 6 novembre, nel campo di concentramento di Auschwitz. Pacifici scende dal treno l'11 novembre e viene subito mandato a morire dalle guardie del lager.

Proprio dove è stato arrestato il rabbino, il 29 gennaio del 2012, è stata sistemata una pietra d’inciampo che ricorda le gesta di Pacifici.

Di blocchi di pietra ricoperti di ottone a Genova se ne trovano diversi, il loro compito è quello di ricordare ogni giorno dei 261 ebrei genovesi deportati e dei soli 20 che fecero ritorno a casa, perché il pensiero di quanto accaduto non sia limitato solamente al 27 gennaio, il Giorno della Memoria, ma diventi un gesto quotidiano che faccia in modo che non si ripetano mai più simili tragedie.