Pare che il tempo si sia messo a scorrere lentamente quando ci si affaccia nel borgo del Carmine.
Viuzze e creuze dai nomi particolari, alti palazzi che “scortano” le ripide salite, il sole che filtra e illumina prepotentemente le piazze. Il fascino di questa zona del centro storico è indubbio e spesso sconosciuto anche ai genovesi stessi.
A garantire la conservazione del Carmine ci hanno pensato, nel 1869, il tracciamento di via Brignole De Ferrari, che conduce all’Albergo dei Poveri, e di via Polleri, costruite per collegare piazza della Nunziata con le alture della città.
Sul grande piazzale, fulcro del borgo, dagli anni Venti si trova la struttura in ferro e vetro in stile Liberty nato per accogliere il consueto mercato che si svolgeva davanti alla chiesa della Santissima Annunziata del Vastato.
A dare il nome al quartiere è la chiesa che insiste sull’area dal Duecento, epoca in cui venne edificata: la zona si chiamava “Terricium” e qui si erano insediati i Francescani del re francese Luigi IX fuggiti dai conventi in Terra Santa.
Con i’ingrandirsi della città, il Carmine viene a trovarsi tra la cinta muraria del 1155 a valle e quella del 1330 a monte.
Perdendosi nelle sue stradine, con nomi particolari come vico del Cioccolatte o vico dello Zucchero, per citarne alcuni, si possono incontrare slarghi e piazzette tra cui la famosa piazza della Giuggiola che deve il suo nome a un pluricentenario albero di giuggiola.
Se poi si percorre salita dell’Olivella, si arriva alla chiesa di San Bartolomeo dell’Olivella, fulcro del monastero delle monache di San Bartolomeo.
Fondato nel 1305, il monastero ospitò le monache cistercensi fino alle soppressioni Napoleoniche.
Scenografico è anche l’oratorio di San Bernardino che si trova in cima a una ripida salita. Proprio alla base di questa “monta” si nota una lastra d’ardesia dipinta, oggi purtroppo in pessimo stato di conservazione, dove era rappresentata una crocifissione tra santi.
Una curiosità: all’interno della chiesa del Carmine si trovano diverse lapidi marmoree tra cui quella sepolcrale di Niccolsus de Recco genuensis, navigatore del XIV secolo e scopritore delle isole Canarie.
E’ lui che per la prima volta viene citato da Boccaccio nel suo trattato geografico intitolato “De Canaria”.
Chissà se qualche passante ha incontrato il fantasma della donna tradita dell'Olivella.