Celebri in tutto il mondo per la rinomata produzione di fiori e piante ornamentali – soprattutto a ponente, tra la Riviera dei Fiori e la piana di Albenga, sedi delle principali coltivazioni – la Liguria e il settore florovivaistico regionale hanno vissuto negli ultimi 40 anni importanti modificazioni, dettate sia dai mutamenti del mercato interno ed estero che del cambiamento climatico. Cambiamento climatico che, dagli anni Ottanta ad oggi, ha vissuto un repentino susseguirsi di gelate, fenomeni alluvionali, siccità e caldo estremo. Ma andiamo per gradi.
L’evoluzione del settore e il contesto climatico
Nel territorio compreso tra Ventimiglia a Pietra Ligure venivano e vengono coltivati fiori di qualità eccelsa, soprattutto grazie al microclima delle aree interessate, in grado di favorire produzione e qualità dei prodotti. Fino al 1985 il periodo produttivo dell'anno era concentrato soprattutto in inverno. Secondo le stime del tempo, la commercializzazione nei momenti più floridi è arrivata a toccare cifre sensazionali: si parla, in media, di centinaia di migliaia steli di garofani alla settimana, coltivati en plein air, ad esempio, sulle colline del comprensorio di Sanremo, cui vanno aggiunte altre centinaia di migliaia di steli di margherite alla settimana, moltissime varietà di altri fiori (quali bluet, calendula, algerato, bocche di leone, strelizie) coltivati in loco, sia all’aria aperta che in serre riscaldate, tonnellate di ginestra e mimosa floribunda, centinaia di migliaia di anemoni, ranuncoli, sia normali che barbaroux, oltre alle enormi quantità di rose e roselline commercializzate settimanalmente, coltivate in serre riscaldate e non. Il tutto, chiaramente, rapportato alle centinaia di esportatori esistenti in zona. Una situazione che, però, è purtroppo necessariamente cambiata dopo le gelate che hanno investito la Liguria, rispettivamente, a gennaio 1985 e a febbraio 1986. In entrambe queste annualità la maggior parte di questi prodotti è stata distrutta dalle importanti nevicate e dalle conseguenti gelate che hanno investito costa ed entroterra della nostra bella Liguria: un bilancio che si fa ancora più pesante se si pensa che gennaio è il mese di maggior produzione di fiori. A titolo esplicativo, sono celebri le fotografie d’epoca in cui le stesse spiagge liguri si sono trovate con la sabbia interamente ricoperta dalla neve. Va da sé che pochissimo, in quelle occasioni, è rimasto utilizzabile sulle piante, non solo per quel che concerne fiori e piante ornamentali: da ponente a levante, in quel periodo anche la maggior parte degli uliveti ha subito pesantemente le conseguenze del gelo, oltre una notevole riduzione della produzione di olio e olive da salamoia. E l’anno dopo, a febbraio, il problema si è riproposto tale e quale, in barba a chi, fiducioso, aveva riprovato a piantale sperando si fosse trattato di un evento eccezionale, con notevoli ripercussioni sull’indotto di un biennio intero.
In risposta a ciò, sia i produttori che le aziende esportatrici hanno dovuto tirarsi su le maniche e ripensare un’economia che in quel momento iniziava a vacillare. I produttori di garofani, ad esempio, hanno spesso abbandonato le coltivazioni, dando spazio a garofani di Spagna, Portogallo, Turchia, meno pregiati ma disponibili (anche grazie alle sovvenzioni governative concesse in quel periodo da Stati come la Spagna). Al contempo, anche i produttori di rose hanno accantonato le coltivazioni, soprattutto a causa degli importanti costi di riscaldamento delle serre, che rendevano il prezzo finale non competitivo, lasciando maggiore spazio ai fiori provenienti da Ecuador e Colombia (la cui produzione era certamente favorita dal clima che, anche in altura, ne consente la produzione tutto l'anno), dal Kenia e dal Sudafrica, dove si è investito e strutturato, anche in virtù di un minor costo del lavoro. In questo modo, il mercato si è abituato a servizi e qualità diversi, in cui costi di produzione dei prodotti autoctoni non hanno consentito il reinserimento della produzione ligure sul mercato in maniera ottimale, soprattutto nel breve periodo. Per tutte queste ragioni, svariati produttori hanno deciso di convertire le proprie coltivazioni spostandole su varie tipologie di fogliame, meno redditizio ma anche meno rischioso e deperibile, proprio perché spesso raccoglibile anche nel periodo caldo, con costi di produzione immensamente più bassi. Così facendo, il mercato locale si è assestato diversamente rispetto al passato, e qualsiasi prodotto locale ha mantenuto alti livelli di qualità, sempre beneficiando del favorevole clima tipico della zona. Ad oggi la situazione della floricoltura vede il settore vivere un momento decisamente felice della propria storia, con il 90% delle produzioni realizzate in loco destinato all’esportazione e un generale clima di positività. Accanto alle fronte, anche la produzione floricola più propriamente detta è tornata negli anni ad essere indiscussa protagonista del mercato ligure, di cui i fiori recisi continuano a essere intramontabile e rinomato simbolo nel mondo, ranuncoli in primis.
La situazione è cambiata ulteriormente dopo il periodo del Covid, quando la richiesta è drasticamente aumentata perché i prodotti locali sono risultati i più facilmente raggiungibili per il mercato Olandese tramite trasporto su gomma quando i costi aerei sono risultati troppo alti a causa della riduzione dei voli, cosa che ha messo in difficoltà altre zone del mondo. In questo periodo, tutti i prodotti coltivati in Liguria, specialmente a ponente, sono notevolmente aumentati di prezzo e i produttori hanno vissuto un periodo molto favorevole dal punto di vista economico. A causa della recente siccità, innescata dal cambiamento climatico in atto e dalla conseguente tendenza alla tropicalizzazione dell’intero Paese, la questione è nuovamente mutata. Il caldo di questi ultimi mesi ha ridotto qualsiasi produzione, con raccolti anticipati e piante che hanno lavorato meno, fisiologicamente. Anche in presenza di prezzi alti, infatti, i coltivatori avranno meno prodotti da vendere, e così gli esportatori, i trasportatori e tutto l'indotto.
L’analisi della Coldiretti e la situazione attuale
“A lasciare l’Italia a secco – spiegano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale – è anche un inverno che, dal punto di vista climatologico, fa segnare una temperatura superiore di 2,09° rispetto alla media storica stagionale”. Questo quanto emerso da un’analisi della Coldiretti sulla banca dati aggiornata Isac CNR che rileva le temperature dal 1800 e che classifica il 2022 come l’anno più bollente degli ultimi 200 anni, con una temperatura media superiore di 1,15°i e la caduta di -30% delle precipitazioni rispetto alla media storica del periodo 1991-2020.
“La pioggia e la neve – sottolineano il Presidente ligure e il Delegato Confederale – sono importanti, nei limiti del disastro metereologico, per dissetare i campi, oggi resi aridi dalla siccità, e ripristinare le scorte idriche nei terreni, negli invasi, nei laghi e nei fiumi. Oggi, però, si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell`arco alpino e appenninico come evidenziato dall’ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche, Irrigazioni e Miglioramenti Fondiari). Ma a preoccupare è anche il caldo anomalo, con le coltivazioni ingannate da una finta primavera che si stanno predisponendo alla ripresa vegetativa, dove iniziano ad aprirsi le gemme a fiore fuori stagione. Il rischio concreto è che nelle prossime settimane le repentine ondate di gelo notturno brucino fiori e gemme di piante e alberi, con pesanti effetti sui prossimi raccolti e sul carrello della spesa”.
In Italia, così come nella nostra Liguria, si sta accentuando la tendenza al surriscaldamento. Qui, infatti, la classifica degli anni più roventi degli ultimi due secoli si concentra nell’ultimo decennio e comprende, nell’ordine, dopo il 2022, il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020. “Il cambiamento climatico – concludono Boeri e Rivarossa – è oggi accompagnato da un’evidente tendenza alla tropicalizzazione, che si manifesta con una più elevata frequenza di eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense e il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. L’agricoltura, in questo scenario, è l’attività economica che, in tutte le sue declinazioni, più di tutte vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici, con i danni provocati dalla siccità e dal maltempo che nel solo 2022 hanno superato i 6 miliardi di euro”.