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Attualità | 24 dicembre 2022, 09:30

Una serie che parla di adolescenza, e di una solitudine che si può riempire, risanare

Il 23 novembre è uscita su Netflix la nuova serie di Tim Burton su Mercoledì Addams, stimolante, che scopre le ferite vive dell'adolescenza e le affronta guardandole dritte in faccia

Una serie che parla di adolescenza, e di una solitudine che si può riempire, risanare

Mi è capitato di guardare la serie TV Netflix uscita da poco su un personaggio già conosciuto sullo schermo, Mercoledì Addams. All'inizio, ammetto, ero scettica, e non ho accettato di buon grado di passare la serata su una storia del genere, a metà tra fantasia, scene cupe e dialoghi all'inizio molto semplici. Devo dire che mi sono ricreduta presto.

Tim Burton in questa ripresa della storia punta la sua lente di ingrandimento sull'adolescenza, e su cosa significhi avere quella età, passare quel momento. Mercoledì sta iniziando il liceo, questo si capisce. Ebbene, cosa succede in quel momento così intricato della vita?

Le scene del film e i personaggi fanno da guide sul mondo interno adolescenziale. Intanto ognuno dei ragazzi della scuola è potenzialmente qualcun'altro: chi diventa sirena, chi un lupo, chi un mostro terrificante, chi parla con le api. Come a dire, a mio parere, ognuno di loro, ognuno di noi, ha delle parti terrificanti, alle volte inguardabili e che si vogliono nascondere, tenere dentro. Queste però esistono e bisogna trovare il modo di integrarle  col nostro essere di tutti i giorni:  i ragazzi della scuola le utilizzano infatti in vari momenti e con diverse modalità. Potrebbe essere che innanzitutto Tim Burton abbia voluto offrire un senso costruttivo alla distruttività, alla parte rabbiosa e aggressiva che ci riguarda tutti e che soprattutto in adolescenza viene scoperta con chiarezza.

Mercoledì Addams nello specifico, poi, appare come una ragazzina che vota per la solitudine a pieno titolo, tiene a distanza gli altri o almeno così dichiara, perché non ama le persone, non le importa di loro. Ha solo una mano come amica (non esiste nulla di meno emotivo). Dichiara di gioire delle cose negative o delle tragedie e di non volere contatti con nessun umano. Ad un certo punto ho trovato le sue posizioni talmente estreme (tipiche degli adolescenti), che quasi mi faceva sorridere. E infatti credo che sia stato questo l'obiettivo del regista: farci sorridere dell'ambivalenza che caratterizza gli adolescenti, e poi tutti noi. Infatti Mercoledì durante il film, risulta molto ambivalente: inconsciamente, costruisce un gruppo al suo seguito, non solo una qualche amicizia sparsa. Costruisce dei legami, alla fine anche si innamora. Chiede aiuto, in realtà a chi ha attorno, e appena si sente accolta, come poi dice lei stessa apertamente, si lascia andare. Queste puntate sono una bellissima guida per chi avesse a che fare con ragazzi giovani contrariati e cupi. Anche se dicono di odiare il contatto e rifuggirlo, stanno dicendo che se ne trovassero uno vero vi si affiderebbero con tutto il cuore. Ed è questa l'ambivalenza difficile da capire e da tollerare per gli adulti. Sentire una cosa e immaginarsi il suo opposto. 

E poi, alla fine del film, il messaggio è davvero evolutivo: le persone insieme, un gruppo, come quello di Mercoledì e dei suoi compagni, ormai amici, tiene e affronta anche il più temibile mostro/trauma che può esistere. E soprattutto, il gruppo salva se stesso. Se si è insieme, compatti, e si collabora, si evolve ad un livello superiore e quello che sembra difficile diventa fattibile. 

Questa serie trovo che parli di solitudine, la solitudine adolescenziale e di come però, possa essere riempita ,farcita e sanata. Col legame, ma il legame sano, non solo costruito dall'attaccamento e affidamento totale  all'altro. 

Ma se mai un contatto costituito dal confronto attivo con l'altro, anche dalla lotta alle volte, dall'incomprensione, dalla messa in gioco della fiducia e dal riconoscimento quindi, di noi stessi dentro l'altro. Questo non ci farà sentire soli.

Cristina Fregara

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