Negli ultimi anni, dalla modernizzazione dei mezzi di comunicazione, e dal momento in cui possiamo sapere qualunque cosa ci venga in mente tramite un click, i ragazzi sono una categoria sottoposta ad ancora maggiore fatica rispetto alle generazioni precedenti.
La loro adolescenza inizia ormai con le scuole medie, devono scegliere, ma ancora in modo semplice. Non ci sono indirizzi, materie preferibili o altro.
Alla fine delle scuole medie, a circa quattordici anni, ognuno deve scegliere la scuola superiore. Alcuni hanno le idee più chiare, altri un po' meno, ma l'intervento dei riferimenti quali insegnanti e genitori è ancora molto influente e offre loro la possibilità di riuscire anche qui a scegliere bene o male, l'indirizzo che fa per loro.
I problemi arrivano successivamente al diploma, di solito. Non si manifestano come problemi gravi o evidenti, sono piuttosto disorientamenti, svogliatezza, pigrizia. Alle volte noia. Superata la fase in cui i ragazzi hanno una struttura come la scuola, solida e forte che li tiene e li indirizza, rimangono spaesati e spaventati, senza sapere spesso che fare del loro futuro. Insomma, si trovano con le spalle scoperte e a dover scegliere da soli e soprattutto darsi un ordine da soli, per riuscire a superare gli esami all'università, oppure per riuscire ad alzarsi in tempo e andare a lavorare. Certo, molti hanno le idee chiare e questo aiuta, ma non dimentichiamo che nonostante questo, hanno comunque diciannove o vent'anni.
Perché succede che molti ragazzi si bloccano nell'estate della maturità, dopo l'uscita dalla scuola e si perdono?
Torniamo all'inizio. La colpa non è completamente dei social, come sempre esistono una serie di cause, ovvero diversi aspetti da considerare. In quei momenti anche i genitori possono essere spiazzati: possono non capire se sia meglio suggerire qualcosa oppure non dire niente, e nel primo caso, fondamentale diventa scegliere bene il modo in cui farlo. Insomma, la situazione si fa delicata.
Come prima cosa bisogna dire che molti adolescenti subiscono fin da tempi insospettabili, cioè dalle medie e poi dalle scuole superiori, il bombardamento del:" hai già pensato a cosa vuoi fare da grande? Perché bisogna pensarci per tempo". Questo non lo dice nessuno (auspicabilmente), ma il sistema lo fa arrivare forte e chiaro. Se al secondo massimo terzo anno di scuola superiore non sai ancora chi vuoi essere, beh, sei un perdente. E per te è già tardi. Questo per dire che l'ansia e la velocità (e la perdita) che pervadono sempre di più la nostra società, allagano anche la mente dei ragazzini più giovani, molto più di quanto pensiamo. Questo porta di solito ad accrescere la confusione interna, l'indecisione, e quindi a sgretolare la personalità, nei casi più gravi. Immaginiamoci di fare da mangiare una pizza ad uno stomaco che ingerisce ancora omogeneizzati. Sarà un sistema che collasserà per forza. Questo succede quando si velocizzano i tempi interni, emotivi.
Altro fattore importante: sembra, dai social, che si possa di fatto fare quello che si vuole per guadagnare, e anche bene. C'è gente che indossa solo vestiti, fa video parlando della sua vita, o fa imitazioni di parenti e amici: così si guadagna da vivere. Questo esempi non aiutano la fantasia e il desiderio reali a crescere e farsi strada, ma lasciano spazio a pensieri semplici di causa-effetto estremamente fatui che fanno presupporre una buona riuscita di una qualunque carriera anche improvvisata. I social sono utili per alcuni aspetti, ma purtroppo vendono immagini della vita e delle persone estremamente parziali, se non alle volte proprio erronee. E a diciannove anni, con tutta la paura che si ha del mondo, ci si può aggrappare anche a questo pur di non sforzarsi.
Altro discorso, lo sforzo. La fatica oggi in alcuni casi rischia di essere mistificata, è quasi una maledizione. Quasi non viene nemmeno tollerata nelle cose più semplici. La fatica non esiste più perché con i telefoni, le cuffie wifi, lo smartwatch è tutto semplice, figuriamoci se si può pensare di fare sforzo o fatica. Intendiamoci, non credo che i ragazzi non la facciano questa fatica, io penso che in realtà si sforzino enormemente, più per trovare strategie per semplificare ogni cosa (che è uno sforzo enorme appunto), piuttosto che accettare la fatica del fermarsi a pensare (ormai superato) e quindi delle possibili frustrazioni conseguenti a questo. Deve essere tutto immediato, se no c'è qualcosa che non va. E molti pensano che sia in loro ciò che non va, trasformando quello che sarebbe un normale percorso di apprendimento e di sperimentazione (con cadute e rialzate fisiologiche), in un pensiero depressivo su di sé.
In questo mondo così veloce dove tutto è facilmente raggiungibile, il punto è che, secondo me, si rischia di concentrarsi sempre fuori, all'esterno da noi. E così fanno loro. Guardano gli altri, si confrontano, imitano, "seguono". Ma questo è molto più faticoso che non fermarsi un attimo e piantarsi davanti a uno specchio.
"Chi sono io?", "Come mi sento?", "Che cosa vorrei per me, cosa vorrei costruire?". Ma anche solo " Quali sono le mie caratteristiche? Ok, trovo un modo per esprimerle".
Sembrano domande impossibili? No, basta fermarsi, e rifiutare la velocità che ci viene instillata ovunque. Basta, cioè, pensare a sé, e se nessuno ci ha mai insegnato a chiederci queste cose, iniziare oggi, farlo noi. Perché il tempo scorre per tutti, anche a diciannove anni, ma sapere cosa o chi essere è ciò che ci rende più solidi in assoluto. Abbiamo bisogno solo di uno specchio.