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Attualità | 06 agosto 2022, 07:30

La finestra sul mondo di Tiler, l'artista mascherato: “Sogno le mie opere prima di realizzarle”

Le sue opere sono piastrelle che rappresentano mondi e creature fantastiche, sparse per tutta la città

La finestra sul mondo di Tiler, l'artista mascherato: “Sogno le mie opere prima di realizzarle”

Il mondo è pieno di meraviglia, a volte basta solo sapere dove guardare. Lo sa bene Tiler, l’artista che negli ultimi anni ha lasciato le sue “piastrelle” in giro per Genova, in luoghi spesso molto frequentati e altrettanto spesso non troppo ammirati: una fermata del bus dove distrattamente facciamo scorrere le dita sui nostri smartphone, un muretto un po’ laterale ma vicino alle vie principali, un luogo abbandonato che aspetta nuovamente di avere l’attenzione che merita. E forse l’obiettivo della sua opera è proprio quello di riportare l’attenzione sul momento, sul qui e ora, dove siamo e dove possiamo godere di quel che ci circonda. 

Una vita in incognito, quella di Tiler: segreta è la vera identità dell’artista, celata da una maschera da gorilla, segreto è il laboratorio dove le ceramiche prendono vita e diventano uno o l’altro personaggio della sua fantasia. Quello che invece sembra essere lampante è la voglia e la necessità dell’artista di raccontare e raccontarsi.

Sono ormai anni che la tua arte fa capolino per le strade genovesi, com’è cambiato essere Tiler dalle prime opere fino agli ultimi tempi? Continua ad avere lo stesso significato per te? 

Tiler nasce da un bisogno, il bisogno di esprimere sensazioni. Nei primi anni andavo in cerca di contatti con le persone e, visto che il mondo dell'arte è un circolo per pochi eletti, il mio personaggio mascherato trovava nel passante la persona con cui comunicare. Per questo la strada è stata da subito il giusto teatro delle mie esibizioni. Oggi essere Tiler significa dare il buon esempio, sono stati anni duri per tutti eppure la voglia di comunicare non ha mai smesso di essere una priorità. Lavoro ogni giorno per aggiornare il contatto con il pubblico anche se creare contenuti richiede tempo ed energie che spesso sono difficili da trovare. Eppure, oggi come ieri, è nei messaggi delle persone che seguono il mio lavoro che riesco ad acquisire le forze per saltare le notti creando quello che un giorno resterà del mio pensiero. 

Spesso però accade che le tue piastrelle vengano vandalizzate, rovinate, o addirittura rimosse. Pensi si tratti di semplice voglia di distruggere, a prescindere da quale sia l’oggetto, o che ci sia qualcosa che disturba in quello che “esponi”?

Al mondo esistono i Creatori e i Distruttori. Entrambi sono spinti dalla voglia di esprimersi con la differenza che, quando non si riesce a trovare i mezzi per farsi capire, si finisce per coltivare frustrazione. Chi distrugge qualcosa lo fa per un bisogno, è il suo grido, la sua disperazione. Purtroppo questa società non dà i mezzi giusti ai giovani per valorizzare i loro talenti e affida al caso la loro crescita senza stimoli. Io sono stato fortunato a trovare la strada della creazione ma da giovane sono stato un distruttore e posso comprendere. 

Parliamo di caccia al tesoro: da qualche tempo lasci indizi per trovare piastrelle in giro per la città. Come nasce questa idea e come funziona?  Quante persone partecipano per portare via con sé un tuo pezzo?

È iniziato come esperimento sociale. Si dice sempre che le persone non partecipano, che sono pigre e svogliate. Nulla di più sbagliato. Certo, alle mie cacce al tesoro non partecipano in tanti ma posso assicurare e lo si può vedere dai social, quando metto il tesoro, solitamente viene trovato nel giro di pochi minuti. A loro va il tesoro, che solitamente è una mia piastrella, e a me va la gioia di vedere il sorriso di chi ritrova quel premio - l'adrenalina per aver corso e sperato di essere i primi li trasforma per qualche istante nei bambini che sono stati e credo che sia una sensazione che tutti dovrebbero provare. Ecco perché ho scelto un gioco per interagire e stimolare il mio pubblico, vorrei ricordare che la vita è noiosa se ci dimentichiamo di giocare di tanto in tanto. 

Indossare una maschera è una condizione necessaria per la tua attività, anche se in uno dei tuoi post racconti anche quella che indossi una volta dismessi i panni dell’artista: quale pesa di più e in quale però senti di riconoscerti? 

Devo dire che ormai sto vivendo una sorta di problema psichiatrico che mi vede vittima di uno sdoppiamento della personalità. Le due parti di me, quella creativa e quella obiettiva, faticano sempre più a restare in equilibrio cercando l'una di sopravvivere all'altra. La maschera è stata necessaria sin da subito per svariati motivi ma i due principali sono:

- Tengo alla mia privacy e in questo si è dimostrata utile svariate volte salvandomi da minacce e tentativi di sabotaggio 

- È servita a far giudicare al pubblico il mio lavoro senza che si facesse condizionare dalla mia persona.

Per di più resta un simbolo che indosso per ricordare alle persone che in fondo non siamo altro che scimmie che hanno imparato a vestirsi e non dobbiamo stupirci se siamo ancora spinti da istinti animaleschi. Per i pochi che lo avranno potuto notare, con il passare degli anni la mia maschera da scimmia sta evolvendo e si avvicina sempre di più al viso umano. Un giorno, se raggiungerò i miei obiettivi potrò finalmente mostrare chi sono e spero che quel giorno arrivi presto.

Parliamo un po’ della tua opera: come nasce fisicamente una tua piastrella e quali tecniche utilizzi? 

Il mio lavoro nasce dai sogni che faccio. potrà sembrare strano ma è così. Sono tutte figure create nei sogni o da pensieri fatti all'improvviso in momenti della giornata. È come se mi venissero suggeriti dei mondi da creare, i miei soggetti vogliono venire al mondo e lo fanno attraverso me. Per quanto riguarda le tecniche, non sono importanti, quello che ho dovuto fare negli anni per arrivare a questi risultati è stato studiare grafica, fotografia, chimica e tanta storia dell'arte. 

È opera tua anche il “Belin” che sicuramente tutti hanno visto almeno una volta, tra la fine di via XX Settembre, via Vernazza e piazza De Ferrari. Strappa un sorriso ogni volta che ci si passa davanti, ma l’intento originale qual è? 

L'intento originale era proprio quello di strappare un sorriso in un momento in cui si sentivano solo brutte notizie. Volevo ricordare ai genovesi che le origini sono importanti e ho scelto una parola iconica che tutti conoscono bene. Il riscontro c'è stato e ho ricevuto parecchie fotografie di persone che si erano fermate a farsi un selfie con quelle piastrelle indossando un bel sorriso al posto di una brutta mascherina.

Le tue opere, oltre a essere in giro per la città (e non solo a Genova) sono anche in vendita sul tuo sito. Come mai hai deciso di entrare nelle case dei tuoi fan?

Io sono un artista che si ispira ai tempi antichi, sono un bottegaio, un artigiano a cui richiedere servizi. Credo che l'unico modo per lasciare traccia del proprio pensiero sia riempire il mondo di ciò che si è potuto creare. Il mio lavoro finito è un oggetto che oserei definire unico, piastrelle incorniciate non se ne vedono nelle case delle persone. In queste case io creo finestre che mostrano il mio modo di vedere il mondo e questo prima di tutto è piaciuto a me e oggi sono riuscito a trasmettere questo amore ai collezionisti.  

Le opere di Tiler sono effettivamente sparse in tutta la città: un tempo esisteva una mappa per poter andare a colpo sicuro e trovarne quante più possibile, oggi è stata eliminata per evitare che alcune piastrelle venissero prese di mira dai Distruttori. Il consiglio è quello di girare con la testa all’insù, di guardarsi intorno e di fermarsi a sorridere, o a riflettere, quando di fronte ci troviamo questa o quella figura, questo o quel mondo. Potremmo davvero rimanere stupiti.

Chiara Orsetti

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