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Sanità | 06 maggio 2020, 08:00

Il medico a bordo della nave-ospedale: "Ne servono altre per isolare i pazienti"

Intervista a una dottoressa che lavora a bordo della nave per i pazienti Covid attraccata nel porto di Genova

La nave-ospedale Gnv Splendid

La nave-ospedale Gnv Splendid

Lei è una giovane dottoressa genovese, un medico di quelli in prima linea, che in questi mesi sta combattendo contro il coronavirus dopo lavorando a bordo della Gnv Splendid, la prima nave-ospedale, che opera da marzo nel porto di Genova, ormeggiata presso il terminal traghetti. E ha deciso di farlo per sentirsi più utile, in attesa di diventare medico di famiglia. Anche se non vuole farsi riconoscere, ha deciso di raccontare la propria esperienza a bordo del traghetto per malati di Covid-19.

Da quanto tempo lavora sulla nave e come ci è arrivata?

Da quando è stata aperta ai pazienti, da marzo. Ero desiderosa di essere utile e sapevo che avrebbero aperto dei reparti dedicati esclusivamente ai pazienti Covid. Per cui quando è stata chiesta la disponibilità ed è uscito il bando, ho subito risposto.

In quanti siete e per quanti pazienti attualmente?

Siamo 12 medici e il nostro referente è Paolo Cremonesi, Primario del Dipartimento d’Emergenza dell’Ospedale Galliera. Lavoriamo secondo quelli che sono i turni ospedalieri, alla mattina dalle 8 alle 14, al pomeriggio dalle 14 alle 20 e c’è il turno di12 ore notturne. Siamo divisi in due reparti che ospitano rispettivamente 31 e 25 letti. Ogni reparto naturalmente ha anche l’equipe infermieristica.

Di cosa si occupa esattamente?

Faccio il medico internista, per cui seguo, come i colleghi, i miei pazienti, mi occupo delle loro terapie, valuto i problemi eventuali che possono subentrare, come se fossimo in un reparto di medicina interna di bassa intensità. Questo vuol dire che abbiamo pazienti che non hanno grossi problemi clinici: la nave non permetterebbe di gestire patologie particolarmente gravi. Infatti si tratta di pazienti tutti positivi al Covid-19, ma che aspettano la negativizzazione per poter tornare a casa. Alcuni arrivano dall’ospedale dopo essere stati intubati o essere stati sotto ai caschi per la respirazione, e noi ci occupiamo di seguirli nella terapia, facendo fare il controllo del sangue programmiamo e i tamponi, cercando, così di farli tornare a casa nelle migliori condizioni possibili, soprattutto perché la negativizzazione del tampone avviene parecchi giorni dopo la guarigione clinica.

Che differenza c’è tra la nave-ospedale e l’ospedale vero e proprio?

Dal punto di vista strutturale la nave è diversa da un ospedale, dal momento che i posti letto si trovano nelle cabine, che hanno uno spazio limitato, e quindi non consentono la presenza di macchinari per la ventilazione. Per cui abbiamo ossigeno, ma a bassa intensità e solo con occhialini. Inoltre non c’è c’è assistenza continua: noi medici facciamo un accesso al giorno nel reparto, mentre infermieri e oss passano anche tre o quattro volte; questo per ottimizzare i dpi (dispositivi di protezione individuale ndr.), che ci arrivano dalle asl: per non sottrarli alle rianimazioni cerchiamo di usarne il meno possibile, se i nostri pazienti stanno bene. Infine non abbiamo il servizio di radiologia e nel caso di un paziente critico occorrerebbe il trasporto in ospedale.

È già successo di dover trasportare un paziente in ospedale?

Un paio di volte per dolore toracico, ma si è trattato di recrudescenze di patologie, niente di eclatante.

 

Che tipo di esperienza è questa per lei?

Sono un giovane medico con tanta voglia di imparare e lo sto facendo grazie alla realtà ospedaliera, che avevo vissuto solo durante il tirocinio, e al lavoro d’equipe. L’unica cosa che mi manca, dal momento che sono improntata a fare il medico di famiglia, è il rapporto fisico col paziente, che penso manchi a tutti, ma è il lavoro del medico che è cambiato in questo momento, e che speriamo di poter tornare a fare, come prima, al più presto. Intanto, anche grazie al direttore sanitario, il dottor Zappa, lavoriamo in assoluta sicurezza e siamo supportati in tutto.

Per la Fase 2 pensa che sia sufficiente una sola di queste navi?

Ritengo che servirebbe un numero maggiore di navi-ospedale, perché abbiamo bisogno di reparti di medicina generale in cui seguire le persone positive che non sono gravi, ma nemmeno autosufficienti. Si tratterebbe di strutture che eviterebbero l’isolamento domiciliare, che non è uguale per tutti, dal momento che ci sono persone che abitano in spazi promiscui. E servirebbe un ospedale solo per il Covid, in modo che gli altri non abbiano tutti i reparti contaminati, come invece è successo: se questo era giustificabile a marzo, ora non lo è più.

Medea Garrone

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