A voler immaginare l’uomo del futuro, di un futuro nemmeno troppo lontano, potremmo pensare a un novello Frankenstein, ma bionico, frutto della ricerca scientifica, e i cui neuroni si interfacciano agli “smart materials” grazie al connubio tra neuroscienze e nanotecnologie. Sarà così che col pensiero potremo muovere un arto artificiale, oppure guarderemo grazie a una retina artificiale o guariremo dal Parkinson con un’iniezione di nuovi neuroni o ricaveremo gli organi di ricambio dalle nostre stesse cellule.
Di questo si parlerà oggi a Palazzo Ducale, dalle 17.45, durante l’incontro “Il futuro Frankenstein”, secondo appuntamento della rassegna, coordinata da Alberto Diaspro, “Scienza Condivisa. Fantascienza contemporanea”. A raccontare al pubblico i progressi scientifici il professor Fabio Benfenati, ordinario di Neurofisiologia all’Università di Genova e Direttore di ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dove attualmente dirige il Center for Synaptic Neuroscience and Technology. Esperto riconosciuto nel campo della trasmissione sinaptica e delle interfacce neurali, Benfenati, con il professor Guglielmo Lanzani, Coordinatore del CNST dell’IIT di Milano, sta sviluppando un dispositivo fotovoltaico in grado di attivare la comunicazione tra neuroni in risposta alla luce, per restituire la vista a chi è affetto da malattie come retinite pigmentosa o degenerazione maculare.
A che punto è arrivata la ricerca nel connubio tra neuroscienze e tecnologia?
Con l’appuntamento di oggi si cerca di fare capire fin dove si possono spingere le nuove tecnologie per il miglioramento della salute dell’uomo, non per creare mostri, come il Frankenstein letterario, ma per riparare i danni arrecati da gravi patologie. In particolare questo riguarda le tecniche di riprogrammazione cellulare, che permettono di ricreare neuroni da cellule cutanee che si possono auto-trapiantare nello stesso individuo. Si tratta di cellule che sono riprogrammate in laboratorio per diventare neuroni differenziati.
Con quali conseguenze?
Le cellule somatiche si possono convertire in laboratorio in cellule staminali multipotenti che, in particolari condizioni, sono in grado di autoorganizzarsi, formando un simil-tessuto (organoide) dalle grandi potenzialità: in futuro potrebbero essere “pezzi di ricambio” per patologie degenerative.
Di quali organi si tratta?
Fegato, rene e cervello. La ricerca nel campo degli organoidi è ancora agli inizi; anche se queste cellule multipotenti cominciano a formare un mini-cervello o una retina, non possono ancora crescere e formare un organo vero e proprio a causa dell’assenza di vascolarizzazione. Il campo, comunque, è in grande sviluppo sia per chiarire i meccanismi del loro differenziamento e organizzazione e sia per indurre lo sviluppo di un sistema microvascolare che ne permetta la crescita. Nel caso del sistema nervoso, mentre il trapianto di un organoide cerebrale presenta problemi di connessioni al resto del sistema nervoso, vedo più possibile il trapianto di singole neuroni riprogrammati, che possano prendere contatto con i neuroni dell’ospite ed essere integrati nel suo sistema nervoso. In ogni caso la ricerca negli ultimi cinque anni ha fatto progressi enormi e sono sicuro che darà molte soddisfazioni nel futuro.
La ricerca renderà l’uomo bionico: in che modo?
Attraverso le interfacce neuronali: riuscendo a leggere l’attività neuronale, a decodificarla e usarla per muovere un braccio robotico, un esoscheletro o altri tipi di attuatori anche semplici, come il mouse di un computer. Si tratta di qualcosa che ovviamente è ancora agli inizi, ma che rappresenta una prospettiva molto interessante per gravi patologie del sistema motorio come la tetraplegia. Infatti, se a causa di un trauma cervicale una persona perde la motilità dei quattro arti, queste tecnologie, grazie all’impianto di un chip nella corteccia motoria, possono registrare e decodificare i segnali elettrici dei neuroni corticali deputati al controllo , trasformarli in istruzioni digitali che sono, a loro volta, inviati verso un attuatore, come l’esoscheletro, che permette alla persona di camminare. La prospettiva è quella di riuscire a carpire l’intenzione dell’uomo a fare un’azione e da lì indirizzare il comando verso un componente meccanico che lo esegua, permettendo alle persone di interagire e muoversi. Inoltre, dalle tecniche di neurostimolazione elettrica, ma anche ottica utilizzando materiali fotosensibili o la tecnica dell’optogenetica, si sono sviluppate rivoluzionarie neuroprotesi, come quella cocleare, già in uso, e quelle retiniche, che hanno un compito molto più arduo, a causa dell’estrema sofisticazione del nostro sistema visivo.
Infatti sta studiando all’Istituto Italiano di Tecnologia una retina artificiale con sistema fotovoltaico: in che cosa consiste?
Diversi gruppi di ricerca lavorano a protesi retiniche usando l’elettronica classica basata sulla tecnologia del silicio, che carpiscano la luce e stimolino i neuroni retinici residui. Noi, invece, abbiamo preso un’altra strada, quella dell’elettronica organica, formata da polimeri molto simili a quelli biologici, che hanno una grande biocompatibilità e che, in risposta alla luce, riescono a stimolare elettricamente i neuroni retinici senza bisogno di essere alimentati o di altri componenti elettronici. Pensiamo a quelli affetti da malattie degenerative dei fotorecettori, perché occorre una parte ancora funzionante della retina. Stiamo parlando di retinite pigmentosa e degenerazione maculare, in cui il sistema di trasmissione di informazione al cervello è intatto, mentre manca la sensibilità alla luce a causa della degenerazione selettiva di coni e bastoncelli. L’unico problema è che le attuali protesi retiniche hanno una risoluzione spaziale inferiore a quella dei nostri fotorecettori, per cui sono in grado di restituire la sensibilità alla luce, ma non permettono il recupero della vista ad alta risoluzione. Per questa ragione stiamo pensando a miniaturizzare questi dispositivi, utilizzando nanoparticelle polimeriche che possano aumentare la risoluzione spaziale avvicinandosi a quella nativa.
In futuro si può pensare a un uomo completamente bionico?
Non direi, soprattutto per quanto riguarda il sistema nervoso, che resta depositario della nostra individualità e del nostro essere. Possono essere sostituite parti del corpo, ma un futuribile “trapianto di cervello” stile Frankenstein non è possibile.