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Innovazione | 14 gennaio 2020, 18:00

Daniele Pucci dell’IIT di Genova: “Farò volare iRonCub per salvare vite umane. Il futuro è fatto di umanoidi in mezzo a noi”

All'IIT di Genova si studia come fare volare iRonCub, il robot umanoide che in un futuro prossimo sarà in grado di salvare vite umane. A condurre la ricerca Daniele Pucci, innovatore under 35 in Europa, premiato dal Mit Techonology Review

Daniele Pucci e iCub

Daniele Pucci e iCub

Leonardo Da Vinci sognava di mettere le ali all’uomo, mentre lui sogna di fare volare i robot umanoidi. E ci sta riuscendo, tanto che la prestigiosa rivista di tecnologia del Massachusetts Institute of Technology di Boston, MIT Technology Review, l’ha selezionato tra i 35 innovatori under 35 in Europa (unico a lavorare in Italia) per il progetto iRonCub, l’evoluzione di iCub, il robot “bambino” più famoso del mondo. Infatti Daniele Pucci, nato nel 1985 a Velletri (Roma), dal 2017 è il responsabile della linea di ricerca Dynamic Interaction Control (DIC) dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. E lì col suo gruppo di lavoro si occupa di Robotica Umanoide Aerea, un nuovo ramo della robotica che doterà gli umanoidi della capacità di volare allo scopo di salvare vite umane in caso di calamità naturali e scenari apocalittici. Ma non chiamatelo visionario, perché, citando San Francesco, vi risponderà ridendo: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”.

 

Nel 2019 è stato premiato dal Mit Technology Review come innovatore under 35 in Europa: che cosa significa?

Il processo di selezione è durato un anno circa, ma la soddisfazione maggiore non è tanto per me quanto per i ragazzi che lavorano al progetto. Si tratta di una conferma del fatto che le nostre direzioni sono promettenti, seppure futuristiche, ma anche di un modo per ringraziare chi mi sta aiutando nel raggiungere l’obiettivo.

 

Perché ha pensato di far volare iCub, trasformandolo in iRonCub?

Perché dopo eventi disastrosi quali terremoti o tsunami, troviamo edifici in fiamme o parzialmente distrutti, in cui si interpongono, solitamente, inondazioni o incendi, e dove potrebbero esserci sopravvissuti e feriti, ma in cui l’intervento dell’uomo è molto difficile. Per questo abbiamo bisogno di piattaforme che lo sostituiscano e che quindi arrivino sul luogo del disastro attraverso la locomozione aerea, cioè volando, per superare incendi e inondazioni, che atterrino e che ispezionino lo spazio grazie a gambe, utili per salire scale o scavalcare ostacoli, e mani, utili ad aprire porte o chiudere valvole. Quello che serviva a questo scopo era creare delle piattaforme robotiche che avessero queste tre capacità: locomozione aerea, ossia volo, locomozione terrestre, ossia camminata, e manipolazione, e dal momento che questa piattaforma ancora manca, per noi il passo più breve è stato quello di prendere un robot umanoide come iCub, che già cammina e manipola, e dotarlo della capacità aerea.

 

Ha parlato di “direzioni futuristiche” nelle ricerche, ma iRonCub non è quasi una realtà?

Attualmente abbiamo capito come modificare un robot umanoide e se è in grado di sostenere le sollecitazioni date dal volo: tale studio viene fatto a livello teorico e con modelli previsionali che fanno delle simulazioni indicando ciò che avverrà nella realtà. Questa fase si è conclusa sia a livello di progettazione della nuova versione di iCub, sia a livello di verifiche sulla resistenza del robot una volta in volo. Adesso, invece, stiamo affrontando la seconda fase, quella di realizzazione dei nuovi componenti che andranno a modificare il robot, cui seguiranno i test sperimentali.

 

Di quali altre piattaforme dotate di maggiori capacità rispetto a quelle umane si sta occupando?

Prima di tutto della capacità di volare, di cui IronCub, in particolare, è un asse di ricerca che conduco, oltre alla ricerca sull’interazione uomo-robot e la telesistenza, che consiste nel fare esistere un essere umano altrove, attraverso un avatar robotico. Inoltre un’altra capacità che un robot può avere e che un essere umano non possiede, è quella d’analisi di una persona attraverso i suoi parametri fisiologici: cioè un robot, attraverso opportuni sensori, è in grado, guardando un essere umano, di analizzarne il battito cardiaco e la temperatura corporea così da dedurne lo stato fisico. Si tratta, quindi, di altre capacità, che non sono di locomozione, ma la percezione. Grazie a questa un robot che trovi un sopravvissuto a un evento calamitoso, può capire come sta, esattamente come farebbe un medico con una strumentazione avanzata.

Possiamo definirla un visionario?

San Francesco ha detto: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”, ed è così che noi procediamo. Fare volare il robot è stata un’evoluzione naturale del nostro lavoro. Non mi sento un visionario, ma certamente l’immaginazione c’è! (ride n.d.r.)

 

Come prevede che saranno tra cinquant’anni i robot umanoidi?

Secondo me vivremo in una società in cui i robot umanoidi saranno protagonisti, il che non significa che avranno necessariamente tutte le caratteristiche fisiche umane - magari le ruote e un solo braccio - ma riusciranno a operare in un ambiente a misura d’uomo, in cui l’umanoide dovrà operare e interagire con le persone. Quindi sarà immersi nella società civile e avrà il compito di aiutare l’essere umano nelle attività quotidiane, dal portare la spese a fare le faccende domestiche, anche se non credo che si tratterà di una piattaforma unica in grado di fare tutto, ma di più robot, di forme anche diverse, ottimizzate per le applicazioni specifiche, che condivideranno la nostra quotidianità.

 

Quali principi etici dovranno regolare le scelte di un robot?

La sua intelligenza è costituita da due parti, che sono l’intelligenza cognitiva, che gli permette di riconoscere volti e oggetti e di articolare un piccolo discorso,  comprendendo che cosa dice un uomo, e  l’intelligenza motoria, che lo fa stare in piedi e muovere. Quello che serve sono dei principi che guidino l’intelligenza cognitiva, e la cui definizione coinvolge non solo i robot umanoidi, ma qualsiasi agente intelligente autonomo che condivide lo spazio con l’essere umano, come un’auto a guida autonoma, cui si cerca di fare applicare la scelta giusta, quella che farebbe un essere umano, nel caso in cui, per esempio, rischiasse d’investire uno o più pedoni: è il cosiddetto trolley problem, che non è semplice. Se poi le probabilità di salvare il pedone non sono certe, si procede a caso, random, ma nemmeno questo modo sarà sicuramente giusto. Quindi si tratta di aspetti che sono oggetto di ricerca multidisciplinare tra la comunità robotica e quella afferente all’ambito sociologico. Il tema è ancora aperto e perciò è difficile rispondere.

Medea Garrone

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