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Cultura | 12 novembre 2019, 18:00

‘Il superdisabile. Analisi di uno stereotipo’: il libro e l’incontro a Orientamenti

Domani, mercoledì 13 novembre alle ore 14, all’Auditorium dell'Acquario l'incontro pubblico con Marco Ferrazzoli, autore del libro "Il superdisabile". Lo abbiamo intervistato

‘Il superdisabile. Analisi di uno stereotipo’: il libro e l’incontro a Orientamenti

Sdoganata in tv, dai media e dal cinema, la disabilità, soprattutto grazie agli atleti, è vista come una condizione diversa rispetto al passato, tanto che i “superdisabili” o "supercrip" sono testimonial di molte campagne pubblicitarie e giganteggiano negli scatti di Oliviero Toscani. Ma non per tutti i disabili è così e soprattutto, al di là della notorietà, esistono ancora tante barriere: sociali, economiche e architettoniche. A parlare di questo tema, ‘Il superdisabile. Analisi di uno stereotipo diffuso’ al salone Orientamenti è Marco Ferrazzoli, autore del libro “Il superdisabile. Analisi di uno stereotipo” (Luce edizioni) insieme a Francesca Gorini (giornalista del Cnr a Genova) e Francesco Pieri (studente all’Università di Roma).

L'incontro, patrocinato dal Cnr e con la partnership della Regione Liguria, si terrà domani, mercoledì 13 novembre alle ore 14, all’Auditorium dell'Acquario, a ingresso libero, insieme agli atleti paralimpici Francesco Bocciardo e Francesca Porcellato, oltre alle assessore Ilaria Cavo e Sonia Viale, al direttore dell’Istituto per le tecnologie didattiche del Cnr Rosa Bottino, a Mario Melazzini, del consiglio di amministrazione del Cnr, a Gaetano Cuozzo, presidente del comitato italiano paralimpico – Liguria e Claudio Puppo, segretario della Consulta regionale per la tutela della persona handicappata.

Abbiamo intervistato Marco Ferrazzoli, Capo Ufficio Stampa del Cnr e docente all'Università di Roma Tor Vergata di Teoria e Tecnica per la divulgazione della conoscenza; genovese da parte di madre, per alcuni anni ha vissuto a Genova.

Perché avete deciso di scrivere un libro sulla disabilità?

Da sempre mi interesso di rappresentazione della malattia nella letteratura e nell’arte, e questo interesse è confluito nel 2018 in una mostra, al Festival della Scienza, che era piaciuta così tanto all’assessora Ilaria Cavo, da chiederci di replicare a Orientamenti; il progetto, poi, si è focalizzato sull’incontro pubblico e appunto sul libro. Inoltre avevamo materiale di ricerca molto approfondito da poter usare, dal momento che insegno Divulgazione scientifica a Tor Vergata e Francesco Pieri, che è mio studente, si stava laureando sul tema del “superdisabile”; ci è sembrato che il fato avesse deciso per questo tema.

Cosa vuol dire essere disabile oggi rispetto a ieri e come si è evoluto lo stereotipo nel tempo?

Lo stereotipo di ieri per la persona con disabilità, ma anche per la persona debole, malata o anziana, era quello del nascondimento e della vergogna. Ricordo che, anche qui a Genova, dove ho vissuto nell’infanzia, il ragazzo Down, per esempio, non era scontato che fosse presente all’arrivo a casa da parte di ospiti. I disabili, quindi, restavano chiusi nella propria stanza, magari con le migliori intenzioni dei genitori, che li nascondevano non per stigma, ma per protezione e paura del confronto con l’esterno. Oggi invece la disabilità è molto più accettata, è pubblica e visibile: accade in Italia quello che già accadeva trent’anni fa all’estero, nel nord Europa, dove tanti disabili giravano in carrozzina, il che è enormemente positivo.

E invece i “superdisabili” chi sono?

I superdisabil o “supercrip”, come li chiamano in America, hanno accentuato l’evoluzione ponendosi come modelli non solo di accettazione, integrazione e inclusione, ma anche di positività e stimolo, perché si rivolgono agli altri disabili stimolandoli a essere proattivi, a muoversi e a fare sport, perché fa bene e fa stare in relazione. Su quest’ultimo aspetto, però, bisogna essere cauti, perché non si deve pensare che qualsiasi problema di superdisabilità si superi nello stesso modo di Bebe Vio o Alex Zanardi, che sono persone che hanno avuto anche diverse fortune, come l’essere economicamente in grado di fare quello che fanno: la vita dei disabili e dei loro “care giver” è una vita infernalmente ostacolata da burocrazia e barriere fisiche e non, come ben sappiamo, e da oneri economici da sostenere.

Qual è stato nel tempo il contributo del Cnr per aiutare la disabilità fisica e psichica?

La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica costituiscono un aspetto fondamentale. I disabili fisici hanno una mobilità di tipo diverso rispetto al passato grazie alle protesi di oggi; infatti i "supercrip" sono anche sportivi e lo sport non è solo passatempo, ma rappresenta uno straordinario sistema di relazione ed evoluzione della loro condizione e la tecnologia è stata fondamentale in questo. Pistorius, infatti, ha aperto la strada, e delle tecnologie create per lui oggi si possono avvantaggiare anche gli altri. Dal punto di vista della ricerca scientifica, per l’handicap psichico si fa moltissimo, ma dobbiamo essere onesti e dire che del cervello non sappiamo ancora quasi niente. Le neuroscienze ci hanno permesso di fare progressi, ma la strada è ancora lunghissima. Nel libro una parte è dedicata a questo aspetto: i malati psichici sono più svantaggiati, non solo perché i progressi non sono avanzati quanto vorremmo, ma anche perché loro, non essendo visibili quanto gli altri, non raccolgono quell’immediata solidarietà che la disabilità fisica, invece, provoca.

Ma c’è anche la ricerca che il Cnr fa in ambito didattico a venire in aiuto ai disabili.

Certo, un’istituzione fondamentale che si è evoluta nell’includere e accogliere i disabili è la scuola. Nella scuola molto lo ha fatto la legge, per esempio con l’istituzione dell’insegnante di sostegno, ma molto può fare la tecnologia: poter inventare mondi virtuali in cui ragazzi, con particolari difficoltà nella didattica frontale, siano avvantaggiati, significa poter fare molto. Ma non risolve tutto.

Siamo al Salone Orientamenti: quale formazione e quali professioni, anche nuove, ruotano attorno alla disabilità?

Parlare di disabilità, grazie a Ilaria Cavo, in un salone in cui convergono studenti e figure professionali, è un passo decisivo. Il problema è che il "care giving" professionale ha costi sempre meno sostenibili, perché con l’allungarsi dell’età aumentano i fruitori, mentre l’intervento dello Stato e delle amministrazioni è sempre più insufficiente e a macchia di leopardo: non solo tra nord e sud, ma anche tra le Asl nella stessa. Il minimo garantito è sotto il minimo necessario, perché ci sono disabili al cento per cento che non hanno riconosciuto l’accompagno, il che significa intraprendere vie legali costose e non vedere riconosciuto il proprio diritto. Le figure professionali, quindi sono poco accessibili sia a livello pubblico sia a livello privato, per ragioni economiche.

Superdisabili, ma, per contro, barriere architettoniche, e non solo, nelle nostre città: un contrasto ancora irrisolto.

Quando al Festival di Venezia fu chiesto a 50 registi di girare un cortometraggio sulla disabilità, Bertolucci si mise una webcam sulla carrozzina e fece le riprese. Anche nella disabilità ci sono modalità di mobilitazione che sono diverse. Gli autistici, per esempio, avendo trovato nella loro battaglia soprattutto opinion maker come Gianluca Nicoletti, hanno avuto un riconoscimento pubblico enorme negli ultimi dieci anni, mentre per altre disabilità meno visibili e conosciute, che non hanno avuto una persona che se ne facesse carico, la mobilitazione è diversa. Questo perché le opinioni corrono sempre sulle gambe o le carrozzine della gente. E questo fa la differenza, che  non si può sanare nemmeno a norma di legge.

Anche il modo di comunicare la disabilità è cambiato nel tempo, come indica la mostra di Toscani “Naked” con le gigantografie dei superdisabili nudi o le pubblcità con Bebe Vio.

È cambiata moltissimo, come si vede in particolare con i supercrip, che essendo persone che fanno sport o danza, come Simona Atzori, fanno anche da testimonial a case di moda e marchi famosi. La comunicazione può moltissimo; pensiamo a quando nell’Ottocento al Circo Barnum venivano mostrate al pubblico le rarità umane: anche se oggi sembra un orrore, non è detto che fosse così sbagliato: infatti a Vienna, in epoca freudiana, si aprivano le porte de manicomi il sabato e domenica per le visite al pubblico e nei  pazienti  si notavano dei miglioramenti, perché per loro perfino il ludibrio, cui potevano essere sottoposti, era meno peggio del totale isolamento in cui erano costretti. Certo oggi non diffondiamo il modello Barnum, ma quel prototipo in qualche modo vive ancora nelle trasmissioni tv, in cui i disabili vanno in scena e la disabilità viene raccontata. Anche se la comunicazione della disabilità è inevitabilmente contraddittoria, in quanto mostriamo i disabili nel momento migliore. Ho una lunga esperienza di “care giver” e so bene che in tv non passerà mai un certo lato del disabile, che tuttavia è quello che dovrebbe essere visibile a tutti, in modo propositivo, per fare comprendere davvero come sia la loro vita e quella dei loro famigliari.

Medea Garrone

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