Nella doppia veste di attore e regista, Arturo Cirillo – uno degli artisti italiani più apprezzato oggi da pubblico e critica - mette la sua verve al servizio di un capolavoro che riesce a farci ridere delle nostre debolezze mescolando gioia e dolore. Tra geometrie colorate e costumi pirotecnici, la commedia ci racconta la folle passione del maturo Arnolfo per la giovane Agnese, pupilla e vittima. In scena tutte le fragili, spietate e amare contraddizioni del desiderio e dell’amore. Ma anche questa volta sarà l’intelligenza del cuore a vincere intrighi e convenzioni, perché l’istinto senza saperlo insegna più di qualsiasi scuola.
Accanto a Cirillo nel ruolo di Arnolfo (alias Signor del Ramo, come il personaggio ama farsi chiamare per darsi quel tocco di nobiltà che per nascita non possiede), e a Valentina Picello nel ruolo della bella Agnese, ci sono Rosario Del Giglio, Marta Pizzigallo e Giacomo Vigentini. Scene di Dario Gessati, costumi di Gianluca Falaschi, luci di Camilla Piccioni e musiche di Francesco De Melis.
“La scuola delle mogli è una commedia sapiente e di sorprendente maturità: vi si respira un’amarezza ed una modernità come solo negli ultimi testi Molière riuscirà a trovare – spiega l’attore e regista, che ha già diretto con successo Le Intellettuali (2005) e L’avaro (2010), sempre nelle splendide traduzioni di Cesare Garboli – . Vi è la gioia e il dolore della vita, il teatro comico e quello tragico, come in Shakespeare. Il tutto avviene in un piccolo mondo con pochi personaggi. Ho immaginato una scena che è una piazza, come in una città ideale, con la sua prospettiva, la sua geometria, ma dove dentro all’abitazione principale, vi è una lunga scala di ferro che porta ad una camera che è come una cella, una stanza delle torture, e un giardino che assomiglia anche ad una gabbia. L’azione avviene nello spazio tra questa casa ed un’altra, appartenenti entrambe al protagonista, il quale si fregia di un doppio nome e di una doppia identità, come doppia è la sua natura. Egli è uno spietato cinico ma anche un innamorato ossessivo, un indefesso fustigatore delle debolezze altrui come anche una fragilissima vittima del proprio gioco. Al centro una giovane donna cavia di un esperimento che solo una mente maschilista e misantropica poteva escogitare: è stata presa da bambina, orfana, e poi lasciata nell’ignoranza di tutto per poter essere la moglie ideale, vittima per non dire schiava, del futuro marito che la dominerà su tutti i piani, economici, culturali, psicologici. La natura, l’istinto, l’intelligenza del cuore renderanno però vano il piano penitenziale e aguzzino che si è tramato intorno a lei. È una commedia alla Plauto che nasconde uno dei testi più moderni, contraddittori ed inquieti mai scritti sul desiderio e sull’amore. Dove si dice che la natura da maggiore felicità che non le regole sociali, che gli uomini si sono dati. Dove il cuore senza saperlo insegna molto di più di qualsiasi scuola. Dove Molière riesce a guardarsi senza pietismo, senza assolversi, ma anzi rappresentandosi come il più colpevole di tutti, il più spregevole (ma forse anche il più innamorato), riuscendo ancora una volta a farci ridere di noi stessi, delle nostre debolezze ed incompiutezze, della miseria di essere uomini".