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Cultura | 02 ottobre 2019, 18:00

Rolli Days, Montanari: “Genova ha un patrimonio artistico unico al mondo, ma il capitale umano è fondamentale per farlo conoscere”

Il Curatore scientifico dei Rolli Days: "Abbiamo selezionato giovani professionisti per divulgare il patrimonio di Genova". E intanto un'app aiuterà a scoprire meglio i 43 Palazzi che fanno parte del patrimonio dell'Unesco

Rolli Days, Montanari: “Genova ha un patrimonio artistico unico al mondo, ma il capitale umano è fondamentale per farlo conoscere”

I Rolli Days sono diventati ormai un’istituzione a Genova e un appuntamento fisso, ripetuto più volte, durante l’anno. Un format ormai consolidato (nasce nel 2009), ma che si arricchisce ulteriormente. In occasione delle giornate del 12 e 13 ottobre, infatti, sarà possibile scoprire qualcosa in più dei 43 Palazzi che fanno parte del patrimonio dell’Unesco, sia grazie a un’app, Palazzi dei Rolli Genova, pensata da Barbara Grosso, assessora alla Cultura di Genova, in collaborazione con il Settore Musei del Comune, sia, soprattutto, grazie a una schiera di divulgatori scientifici altamente specializzati e selezionati da tutta Italia. Un arricchimento, insomma, per il patrimonio culturale cittadino, grazie a un sistema didattico, interno al sito Unesco, che nasce dall’esperienza dei corsi universitari di Lauro Magnani, preside Facoltà Scienze Umanistiche. A spiegarci meglio queste novità è il Curatore scientifico del format dei Rolli Day, lo Storico dell’Arte Giacomo Montanari.

 

In occasione dei Rolli Days il prossimo 12 ottobre sarà disponibile l’app Palazzi dei Rolli Genova. Quali anticipazioni possiamo dare?

Si tratta di un’applicazione non dedicata all’evento Rolli Days, ma ai 42 Palazzi dei Rolli, un patrimonio meraviglioso, in parte fruibile durante tutto l’anno, ma dalla diffusione territoriale molto estesa, da Pré a Carignano, e quindi non sempre facile da ‘leggere’; per questo si è voluta sperimentare una modalità di offerta digitale di questo tipo. Si tratta di uno strumento che ha usufruito della ricerca scientifica, in quanto le schede dei singoli palazzi, per quanto ridotte e adattate a quelli che devono essere i contenuti di un’app, sono quelle del sito dell’Unesco.

 

Si parla di realtà aumentata: tramite l’app si potrà scoprire qualcosa di nuovo, che non è visibile in modo diretto?

La realtà aumentata è uno degli aspetti sperimentali che nascono anche con l’obiettivo di poter mostrare delle porzioni di sito che spesso restano più nascoste, a partire dalle facciate: per esempio nello stretto dei vicoli alcuni palazzi non si vedono nella loro interezza, e così la realtà aumentata può essere uno degli strumenti, non l’unico, da usare in questo senso, cioè per garantire la fruibilità di prospettive che non sempre sono godibili.

 

Quanto è importante la tecnologia come mezzo per divulgare l’arte?

Molto, perché per comunicare si devono usare tutti gli strumenti a disposizione, ma penso anche che le nuove tecnologie debbano restare un mezzo e mai essere un fine, cosa che, invece, sono i contenuti. L’app per i Palazzi dei Rolli, varata dal Comune di Genova, rappresenta, infatti, il corretto dialogo e scambio tra chi i contenuti li crea, cioè chi studia e fa ricerca, e chi ha l’obiettivo di divulgarli raggiungendo un ampio pubblico, come l’Ufficio di Promozione territoriale e l’Ufficio Cultura del Comune: è una sinergia.

 

A proposito di sinergia, sono stati selezionati da Università, Comune e Fondazione di Palazzo Ducale 58 under 35 professionisti nelle Humanities.

Quello su cu bisogna investire, infatti, è l’elemento umano, dando ai giovani che escono dai corsi di Humanities – come da tutti i corsi che hanno a che fare col nostro patrimonio culturale - l’occasione, anche lavorativa, di essere i primi interlocutori del pubblico. Se aspettiamo rischiamo di perdere il capitale più interessante che esce dai nostri atenei e che, infatti, trova spazio all’estero. L’Italia spende moltissimo in formazione, anche più di altri Paesi europei, ma diversamente da altri, non si preoccupa del dopo, e tende a lasciare soli i professionisti che ha formato e che, per esigenze anche comprensibili, si trasferiscono altrove. Il progetto portato avanti da Università di Genova e Comune sui divulgatori scientifici dei Palazzi dei Rolli, invece, è un primo passo in questa direzione: abbiamo indetto un grande bando internazionale cui hanno risposto oltre mille giovani qualificati, e tra questi ne abbiamo scelti cento, che lavoreranno per promuovere e divulgare il patrimonio di Genova. Si è trattato di una selezione d’alto livello, che fa di loro delle eccellenze per la città, che, in questo momento, dimostra di essere attrattiva. Infatti, nonostante per ora la retribuzione non sia alta, ci sono giovani disponibili a venire, perché Genova ha ricchezze monumentali e culturali uniche al mondo. Per questo si deve pensare che, se la cultura può dare qualcosa a questo Paese, è creare lavoro altamente specializzato per i professionisti nei beni culturali. Questo è il suo ruolo, non fare botteghino, non fare solo marketing, ma promuovere il capitale umano d’Italia. L’Università forma i professionisti e i Comuni e le Regioni devono lavorare per dare loro l’occasione di valorizzare il territorio, come si sta cercando di fare qui. Questi giovani professionisti sono degli ‘ambasciatori’ strepitosi, che spero avranno in futuro  una retribuzione più consona al loro lavoro.

 

Oggi quanto l’arte è libera di usare la tecnologia?

C’è massima libertà, nel senso che esistono linee di ricerca e di didattica che hanno a che fare con le nuove tecnologie. E, facendo un esempio molto banale, oggi nelle Università, grazie a un livello tecnologico di base, come le immagini in Power Point, si può presentare agli studenti una serie di casistiche che vent’anni fa avevano bisogno delle diapositive. Oppure la realizzazione di scatti fotografici ad alta risoluzione con strumenti basici ha permesso di documentare molto meglio il patrimonio artistico, controllarne il degrado, renderlo fruibile anche in spazi che in genere, per loro caratteristiche, non sono aperti al pubblico. Quindi gli istrumenti digitali sono una ricchezza strepitosa che va usata sempre meglio, ma sapendo distinguere quando ci aiutano e quando, invece, ci impoveriscono, perché credo che si debba rivendicare con forza l’autenticità dell’esperienza nei confronti dell’opera d’arte: laddove l’opera è fruibile, la tecnologia non è necessaria.

 

Per esempio in quale caso?

Un esempio sono le operazioni immersive, che hanno avuto anche molto successo, fatte riproducendo i quadri di Van Gogh e Caravaggio: credo che l’emozione che si prova davanti a un dipinto di Caravaggio, sia che si abbiano gli strumenti giusti per poterlo leggere, sia che lo si abbia davanti senza aver fatto un percorso preparatorio, sia un’esperienza in cui l’opera comunica da sola, senza bisogno d’altro. Se invece la prendo e la trasformo in una specie di performance che segue una strategia di marketing, allora sto sbagliando, perché in questo caso la tecnologia sovrasta l’oggetto, cioè il quadro, che, invece, è fruibile in un museo. La tendenza, infatti, è quella di portare le opere dalle persone e non viceversa; dovremmo invertirla e trasformare i luoghi di cultura in luoghi vissuti, aperti, e in molti casi anche gratuiti: lo scopo dell’arte non è quello di fare business.

 

 

 

Medea Garrone

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