Ha tenuto un workshop aperto al pubblico all'Università di Genova sull'impatto futuro che la tecnologia avrà sulla società. È Cristina Pozzi, unica italiana selezionata dal World Economic Forum come Young Global Leader 2019 (sono circa 100 le persone scelte da 70 Paesi in tutto il mondo su migliaia di segnalazioni e da 5 anni non era indicato un nostro connazionale).
Veronese di 37 anni, imprenditrice sociale laureata in Economia alla Bocconi e, a breve, seconda laurea in Filosofia, si definisce “Future Maker”, divulgatrice esperta in scenari futuri, e soprattutto è attenta all’uso etico della tecnologia (ma non solo). Tanto che nel 2017 fonda, con Andrea Dusi, Impactscool, impresa sociale per la quale insegna gratuitamente agli studenti nelle scuole e nelle università a conoscere e a decifrare il futuro in modo consapevole. Insomma, fa parte della "meglio gioventù" italiana (presente e futura) e l'abbiamo intervistata.
Che cosa significa essere “Future Maker” nella quarta rivoluzione industriale?
Per me significa creare le condizioni che servano a influenzare gli scenari futuri che, in parte, abbiamo già davanti. E comprende tutto quello che è il processo che noi, come Impactscool, insegniamo nelle scuole, nelle università e nelle aziende, e che inizia dall’osservazione del presente, per esaminare i possibili cambiamenti che possiamo aspettarci, anche a partire dai più piccoli segnali, utili a capire in anticipo come il futuro si potrebbe evolvere e come noi potremmo intervenire per modificarlo.
Facciamo un esempio?
Nell’ambito delle intelligenze artificiali, per esempio, ci sono assistenti virtuali che interagiscono con noi e alcuni sono a contatto con bambini anche molti piccoli, specialmente nei Paesi anglosassoni: ci siamo chiesti che affetto abbiano su di loro e abbiamo visto che fin da subito li influenzano nel modo di interagire con le persone, per esempio rivolgendosi agli altri usando l’imperativo, quindi dando ordini, come si fa con l’assistente vocale. Comprendiamo, quindi, come, in generale, questo tipo di tecnologia influenzerà le interazioni umane, ma siamo ancora in tempo per poter intervenire. Le società che creano gli assistenti virtuali, infatti, stanno inserendo una funzione per cui prima di dare il comando bisogna chiedere ‘per favore’. Rappresenta un segnale del fatto che le tecnologie ci influenzeranno, ma che, capendone le possibili evoluzioni, si può interagire e aprire nuovi scenari futuri scegliendo quello che noi vogliamo per il nostro futuro. Questa à la metodologia di ragionamento che adottiamo anche nella nostra scuola.
A proposito della Impactscool, lì insegnate gratuitamente ad affrontare il domani con un metodo etico: come?
Ogni riflessione sul futuro non può che essere anche etica. Immaginando le possibili evoluzioni, sono responsabile di una scelta e in questo, quindi, entra automaticamente in gioco l’etica. E quando si tratta di nuove tecnologie ci si pone il problema sul loro uso, non solo perché possono influenzare i cambiamenti per il futuro, ma possono farlo anche in diversi modi, positivi e negativi. L’etica è umana, quindi quando parliamo di etica della tecnologia intendiamo sempre che ne fa l’uomo, non le macchine. E uno degli usi peggiori che possiamo farne è quello per deresponsabilizzare noi stessi. Quindi alla Impactscool, come nel workshop a Genova, parliamo di intelligenza artificiale, ne esaminiamo le applicazioni presenti e future, ma lavoriamo anche insieme in gruppi, facciamo dibattiti: si fa una discussione etica sugli strumenti di cui disponiamo e cerchiamo di capire come le tecnologie dovrebbero essere gestite per avere il miglior impatto possibile sulla società e sul futuro.
Intelligenza artificiale ed etica del lavoro: l’algoritmo di Amazon che decide i ritmi di produzione (inumani) ha suscitato molte proteste da parte dei lavoratori. Che cosa ne pensa dell’uso degli algoritmi in questo senso?
Chi lavora in modo serio e professionale dice che l’algoritmo rende più facile il lavoro. Ma non vuol dire migliore. Per esempio, posso assumere le persone facendole selezionare dall’algoritmo, ma se questo è costruito male e discrimina i candidati, come determinate minoranze etniche, non va bene. Se invece è un supporto utile a calmierare l’effetto personalizzato e, selezionando i meriti, sa individuare la persona che abbia le caratteristiche migliori per l’azienda, allora va bene. Sono le aziende che sviluppano gli strumenti tecnologici che devono porsi delle domande sugli effetti dei software: può creare condizioni negative? Potrebbe essere usato in modo negativo? Come evitarlo? Inoltre bisogna farsi le domande non solo in fase iniziale, in quanto i software si evolvono nel tempo e questo potrebbe creare criticità, per cui è necessario un processo di controllo continuo.
Sta prendendo anche la laurea in filosofia: quanto per il lavoro del futuro è importante?
È importantissima. Siamo di fronte a una rivoluzione che ci richiede di creare un ponte che integri materie che, in qualche modo, abbiamo deciso di separare secoli fa, cioè quella umanistica e quella scientifica, perché oggi le frontiere di scienza e tecnologia ci pongono di fronte a dilemmi etici che richiedono necessariamente di essere interdisciplinari, quindi di saper sviluppare tecnologia, ma anche, almeno a livello di team, capire aspetti etici, sociali, economici e politici e, magari, avere il coraggio di ripensare un sistema che non è detto sia il migliore possibile. Bisogna saper pensare in modo critico, creativo e collaborativo, e saper comunicare nel modo migliore quindi attraverso ‘soft skills’ da sviluppare fin da piccoli. Il nostro metodo può essere applicato a qualsiasi materia ed è in grado di svilupparle. Serve a portare contenuti che oggi entrano poco nelle scuole, ma che servono allo sviluppo dello scenario futuro. Infatti le società che assumono il laureato in filosofia, per integrare la visione etica col prodotto che si crea, vanno in questa direzione. Penso ci sia un ritorno a queste materie perché c’è bisogno per far sì che si scelga la via migliore e non solo quella più facile.
Tra i vantaggi della intelligenza artificiali può esserci la creazione di nuove professioni, come quella del Digital information manager: in che cosa consisteranno e che tipo di formazione richiederanno?
Si tratta di una domanda che ci poniamo tutti, ma non facile. Per le competenze più utili che possiamo immaginare, oltre a quelle d’ambito tecnologico, che ci permettano di rispondere alle esigenze del mercato, penso che, a breve termine, chi si sta laureando in blockchain, geoingegneria, energia e settori legati al clima, sarà avvantaggiato. Negli Usa tra i lavoratori più occupati ci sono gli installatori di impianti di energia solare, per esempio. Sono settori che si stanno sviluppando sia a livelli più tecnici che di ricerca e studio di nuove soluzioni, e quindi possono offrire molte possibilità. Sicuramente tra le competenze sono sempre utili la capacità di prendere decisioni in situazioni complesse, il saper creare architetture che funzionino a livello di sistema, come fanno i designer di sistema. E poi le capacità di cui ho parlato prima a proposito delle materie umanistiche della filosofia in azienda.
Richard Baldwin ha coniato il neologismo ‘globotica’, temendo, per esempio, che i robot sostituiscano i colletti bianchi: come i giornalisti e le receptionist androidi negli hotel giapponesi. Succederà così?
Sono cose fattibili, ma non significa che si debbano fare. Questi esempi allontanano l’utente finale, invece di avvicinarlo, anche se, per fortuna, certe soluzioni non sono adottabili velocemente. L’intelligenza artificiale farà sempre parte degli strumenti che usiamo nel lavoro come nella vita quotidiana, per vedere un film in streaming, per esempio, o fare una ricerca nel web, ma sta a noi capire come usare gli strumenti per migliorare il nostro lavoro, ma senza sostituirci. Ognuno continuerà a usarli, anche in modi diversi, ma sta al nostro buon senso, tipicamente umano, capirne l’applicazione.
A marzo ha pubblicato il libro “Benvenuti nel 2050. Cambiamenti, criticità e curiosità”: quali saranno nel 2050?
Saranno tantissime e ho immaginato un fiore di scenari per sollevare temi che, di fatto, sono già nel presente. Per esempio, penso che un passatempo sarà iscriverci a palestre di ‘neurofitness’, per tenere allenato il cervello, perché alcune attività, come appunto imparare una lingua, non saranno più praticate, perché il traduttore digitale tradurrà benissimo, ma, dal momento che sappiamo che imparare una lingua ha effetti molto positivi sul cervello, dovremo allenare la mente perché non perda le capacità sviluppate. Così come facciamo col corpo: non dobbiamo più correre dietro a una bestia per cacciarla, ma lo facciamo per tenerci in forma.