Argomento di gran moda la cannabis “light” in Italia, un fenomeno che, dalla sua comparsa nel 2016, ha mosso simpatie e antipatie, ma che certamente ha creato anche un mondo imprenditoriale molto vivace, fatto di produttori e di rivenditori. Di fatto nel nostro paese è possibile coltivare e vendere canapa, a patto che il contenuto di principio attivo inserito nelle tabelle delle sostanze stupefacenti (il Thc), non superi una certa soglia percentuale, e che i semi appartengano a particolari varietà, approvate dalle autorità europee; è naturalmente possibile commerciare tutte le parti della pianta, sempre alla condizione che il Thc in esse contenuto non superi lo 0,2%, anche se i fiori della pianta merceologicamente non sono considerati come un prodotto destinato al consumo umano, bensì un prodotto ad uso “tecnico”, chi acquista cannabis legale nel più dei casi lo fa per fumarla, berne infusi, o comunque consumarla in qualche maniera per il suo aroma e per le sue diverse proprietà. Non si tratta naturalmente di nessun effetto “stupefacente”, determinato nella cannabis proprio dalla massiccia presenza di Thc.
Per capire meglio come funziona il settore da un punto di vista imprenditoriale abbiamo incontrato Fabio, uno dei soci della società cooperativa agricola Green’s App, attiva nel settore con 6500 metri quadrati coltivati a cannabis light ad Albenga.
Che cosa vi ha spinto a sperimentarvi in questo settore e a fondare la vostra società?
All’inizio tutto è nato come una buona possibilità di lavoro. La legge 242 consente di coltivare la cannabis sativa, e noi l’abbiamo vista come un’opportunità, considerato che si tratta di una pianta che ha impieghi praticamente in tutti i campi che riguardano l’uomo. Siamo tre persone che nella cannabis hanno sempre visto una soluzione a parecchi problemi che ci affliggono, e quindi abbiamo colto l’opportunità commerciale, sia per provare a monetizzare e costruire una nostra azienda made in Italy, ma anche per far conoscere le potenzialità della pianta a tutti.
Di che genere di prodotto stiamo parlando?
Noi, tecnicamente, siamo una società cooperativa che produce biomassa, e di fatto coltiviamo cannabis sativa, comunemente chiamata “light” per il basso contenuto di thc. Parliamo di un prodotto in linea teorica non destinato al consumo umano, ma nella maggior parte dei casi sappiamo che chi lo acquista lo consuma in varie maniere: di solito chi va a comprare una bustina al tabacchino o dal canapaio non la usa per profumare gli armadi. Non dobbiamo essere ipocriti, io non vendo e non posso vendere per uso umano, ma l’acquirente del mio prodotto fa quello che vuole.
Che cosa consiglieresti a chi oggi volesse intraprendere un’attività simile alla tua, quali sono gli accorgimenti migliori per iniziare e i necessari adempimenti legali?
“Cominciamo a dire che da quando il fenomeno è esploso, e in particolare dall’anno scorso, in Italia si è scatenata la corsa al “sogno verde”. Tantissima gente, anche a tempo perso, ha cominciato a coltivare e provare a vendere le sue piantine. In questo momento c’è decisamente un eccesso di prodotto. Oggi la grossa scommessa potrebbe essere, piuttosto che piantare altra canapa, mettersi nelle condizioni di usarla in qualche modo. Ora tutti vogliono coltivare e vendere a tabacchini e grow shop, che ad oggi sono i soggetti che fanno la vendita al dettaglio: la nuova vera sfida economica, essendo gli usi della pianta veramente infiniti, sarebbe di dotarsi di impianti per la sua trasformazione. Tutto sommato materia prima oggi sul mercato ne esiste parecchia e relativamente a prezzi contenuti: per fare un esempio Fabriano – storica azienda italiana della carta - ha fatto degli investimenti per ricominciare a produrre carta di canapa, che, oltre ad essere migliore di quella comune, richiede anche un processo di fabbricazione meno dispendioso da un punto di vista ambientale. Ormai chi ha avuto la lungimiranza di partire per tempo è arrivato, basti pensare alla società Easyjoint, che per un periodo è stata sulla bocca di tutti; recentemente è stata comprata al 49 % da una multinazionale canadese per cifre davvero importanti. Se poi vogliamo proprio parlare di coltivazione occorre puntare più sulla qualità. Specialmente in Liguria dove gli spazi sono ristretti e la concorrenza delle ditte estere, in special modo le multinazionali, è molto forte. Poi in Italia abbiamo il fardello di una legislazione che lascia al coltivatore molta meno libertà rispetto ai colleghi europei di lavorare sulle genetiche, costringendolo a servirsi di una gamma di semi prestabilita. Questo è un grande regalo per i produttori esteri, che infatti esportano verso il nostro paese moltissimo. Viviamo in una situazione normativa molto lacunosa e in costante divenire”.
Quali sono gli adempimenti legali a cui siete andati incontro?
Diciamo che è necessario fondare una cooperativa, o un altro soggetto giuridico, come per una qualsiasi impresa agricola; dopo di che non ci sono particolari adempimenti da svolgere per aprire, fatta salva l’opportunità di una serie di indagini chimiche sul terreno, in particolare secondo me è importante sondare l’eventuale presenza nel terreno di metalli pesanti: infatti la canapa tra i mille usi può essere impiegata per effettuare bonifiche ambientali, perché assorbe molto gli inquinanti. Per scrupolo noi siamo andati presso il posto di pubblica sicurezza più vicino, carabinieri o polizia, per avvisare della nostra attività. Dopo un po’ di giri, siamo stati indirizzati alla forestale: abbiamo messo per iscritto l’autodenuncia, in maniera tale da essere poi più tranquilli nel caso di controlli. Presso la nostra azienda ad esempio sono arrivati i carabinieri, perché hanno avuto segnalazione di odori “sospetti”, e siamo stati in grado di fornir loro tutti i documenti che ci hanno chiesto. I militari sono andati molto tranquillamente a fare gli accertamenti del caso, senza crearci nessun tipo di problema, come invece si sente succeda in giro per l’Italia. L’unico obbligo di legge è quello di comprare dei semi certificati dall’Ue e conservare il cartellino relativo per un anno, o almeno fino a che si hanno i semi sul campo. Se arrivano controlli e tu non hai il cartellino prescritto c’è il rischio che sequestrino tutto, senza contare la possibilità di ulteriori problemi legati alla presenza di thc oltre le soglie consentite.
Come si sono articolati i controlli?
Le forze dell’ordine sono nei fatti in difficoltà, perché non arrivano sufficienti indicazioni dall’alto su come si devono comportare. Al momento mancano anche strumenti adeguati per fare le analisi, ma rapportandoci in maniera trasparente con le persone siamo riusciti a trovare una quadra senza grossi ostacoli. C’è anche da considerare che stiamo parlando di un fenomeno particolarmente diffuso nella piana tra Albenga e Ceriale, in tantissimi si sono buttati in questo business”.
Quali secondo te sono gli ostacoli maggiori che limitano il mercato e lo rendono in qualche misura ancora opaco?
Si parla tanto dell’impatto che potrebbe avere sull’economia pubblica il mercato della cannabis, e così tanti imprenditori nostrani si sono trasferiti oltre confine per lavorare meglio. C’è il grosso problema dell’ambiguità rispetto al consumo umano, che non significa banalmente consentire la vendita della cannabis light per il fumo, ma aprire, ad esempio all’immenso mercato dell’edibile. Nel mondo esistono poi i nuovi sviluppi legati anche ad un uso altamente tecnologico della pianta, come l’estrazione dei terpeni – particelle chimiche responsabili dell’odore e del sapore delle sostanze -, applicati al mondo dell’alta cucina, dei profumi, della cosmetica e ultimamente anche a quello medico. Oggi a New York producono nuovi cocktail e piatti di alta cucina ogni giorno usando i terpeni di canapa, ma anche cannabinoli come il cbd e il thc. Qui invece siamo fermi per un’assurda criminalizzazione di tutto ciò che è legato alla cannabis. Riconoscere la destinazione al consumo umano consentirebbe una vera tutela del consumatore: se nessuno controlla come viene cresciuto e messo sul mercato un prodotto, che tutti sanno essere in larga parte consumato dalle persone, c’è il rischio che qualcuno prima o poi si intossichi a causa di eventuali pesticidi o inquinanti nella terra di coltura. Noi, come tantissimi altri produttori, ci impegniamo al massimo per offrire un prodotto genuino e sicuro da ogni punto di vista, ma in assenza di leggi che tutelino maggiormente la qualità il rischio che qualcuno possa approfittarsene esiste.