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Cultura | 15 gennaio 2019, 18:00

Angelo, cane torturato e ucciso: al Teatro Govi il regista di "Life of a Street Dog"

“Angelo – Life of a Street Dog”, il cortometraggio di Andrea Dalfino, sarà proiettato per la prima volta a Genova giovedì 17 gennaio al Teatro Rina e Gilberto Govi alle ore 20.30. Abbiamo intervistato il regista, che ci ha raccontato una storia a lieto fine

Una scena tratta dal corto: "Angelo - Life of a street dog"

Una scena tratta dal corto: "Angelo - Life of a street dog"

Andrea Dalfino, 27 anni, originario di Bergamo, una laurea al Santa Monica College e un Master alla UCLA in regia, produzione cinematografica e televisiva, fa il videomaker tra l’Italia e gli Stati Uniti. Quando ha saputo della tragica e crudele storia di Angelo, il cane di Sangineto, in provincia di Cosenza, torturato e ucciso nel 2016 da quattro uomini, ha deciso di girarne un cortometraggio. Da lì è nato anche quello che definisce un “piccolo miracolo”: l’adozione di Lapo, il cane protagonista, appunto, di “Angelo – Life of a Street Dog”, un’opera di “Neorealismo canino”, che sarà proiettata per la prima volta a Genova giovedì 17 gennaio al Teatro Rina e Gilberto Govi alle ore 20.30.

Seguirà un dibattito sui diritti degli animali che vedrà la presenza, oltre del regista, di Pier Luigi Castelli, Presidente della Sezione LNDC locale, gli avvocati Michele Pezone e Alessandro Dondero di LNDC, e Piera Rosati, Presidente nazionale di LNDC. A moderare gli interventi ci sarà l’etologa Graziana Moretti. Abbiamo intervistato Andrea per farci raccontare com’è nato questo cortometraggio, dallo scopo anche benefico.

Come è nata l’idea di girare questo corto?

Circa un anno e mezzo fa, mentre ero qui, ho appreso, da un servizio delle Iene, di questo cane randagio seviziato e ucciso, che non è niente di nuovo, purtroppo, perché di casi così ce ne sono tanti ogni anno, ma quello che era diverso era il tocco in più di ignoranza di chi ha perpetrato questo delitto, che si sono ripresi e hanno postato sui social la loro azione. Questo ha permesso di individuarli e metterli sulla … gogna mediatica… ho pensato che sarebbe stata cosa utile, socialmente parlando, cavalcare l’onda mediatica che ha scatenato questo caso, anche perché ho forte passione animalista. Ho avuto cani e gatti, ora ho adottato Lapo, che ha interpretato Angelo.

Come è stato scelto il cane che doveva interpretare Angelo?

Lapo era un cucciolo nato in Puglia da una randagia, che è stato raccolto per strada, portato in canile, adottato in pochi mesi, ma riportato in canile quando ne aveva circa nove. Non si sa cosa abbia passato esattamente, perché i volontari mi raccontavano che era restio al contatto umano, non voleva farsi toccare e avvicinare. Poi grazie a Salvatore, che l’ha seguito anche durante le riprese, è tornato a essere un cane più socievole. Non è il cane domestico che si può intendere pensando a un cane domestico, infatti durante le riprese abbiamo avuto diverse difficoltà.

Come è stato lavorare con un cane non addestrato?

È stata un’esperienza molto formativa, ma anche faticosa. Inizialmente l’idea era quella di lavorare con cane già preparato alla recitazione, ma con Piera Rosati, che è stata la produttrice del cortometraggio, mi ha chiesto di provare a girare con un cane che, oltre ad assomigliare fisicamente ad Angelo, avesse anche le stesse origini. Io ho accettato la sfida. Da un lato si è rivelata molto difficile, perché non solo Lapo non era preparato alla recitazione, ma nemmeno alla vita: non prendeva la pallina, non aveva idea dei comandi di base. Infatti è stato un lavoro estenuante.

Chi lo ha seguito nell’addestramento?

È stato un lavoro di squadra di 8 educatori oltre ai volontari del canile dove stava, che da un certo punto di vista sono stati ancora più utili, perché in loro vedeva delle figure di riferimento. Per tutti noi è stato bellissimo questo lavoro, anche pensando, per esempio, alla scena finale, che in realtà è stata la prima che abbiamo girato: è stato portato dal canile, ad Altamura, sul Gran Sasso, dopo sei ore di macchina e nella gabbia. Quando nel fim si vede correre con occhi pieni di meraviglia in quello spazio immenso, è un “Neorealismo canino”, nel senso che è tutto vero, la sua reazione, anche in generale all’interno del film, è proprio naturale.

Perché non lo hai girato a Sangineto?

Per diversi motivi, tra cui il fatto che si tratta di un paesino molto omertoso. Così abbiamo scelto un paese in Abruzzo, Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, che è molto simile a Sangineto. Abbiamo girato tutto lì e in un’altra frazione della provincia di Pescara, in un’oasi dell’associazione che ha patrocinato il film, dove sono tenuti tanti animali che vengono recuperati – pensare che lì abbiamo girato la scena dell’impiccagione -. Invece la scena finale, come ho detto, si svolge nel Parco Nazionale del Gran Sasso a Campo Imperatore.

Quanto tempo ci hai messo a girare “Angelo – Life of a Street Dog”?

Le riprese sono durate circa 10 giorni, molto intensivi, per realizzare circa 30 minuti di cortometraggio, che nono sono neanche pochi, ma la durata totale del girato superava le 32 ore. Era una sfida andare a recuperare quei pochi secondi in cui Lapo riusciva a fare esattamente l’azione che si inseriva ad hoc nel montaggio. Ma è stato il prezzo da pagare per lavorare con un cane così: per quello che tutti noi abbiamo ricavato in termini di emozioni ne è valsa assolutamente la pena e lo rifarei subito.

Come hai fatto a ricostruire la vita di Angelo a Sangineto? Hai seguito anche gli atti processuali?

Da un lato c’è il mio “fantasticare” su quella che fosse la vita tipo di un cane randagio su come trasformarla in film, dall’altro c’è stata la forte influenza da parte di volontari della associazione LNDC calabrese che ha seguito tutta la sua vicenda e che ha a che fare con altri randagi di cui conosce la vita. Inoltre il loro avvocato ha seguito la parte processuale, quindi ho avuto modo di avere un resoconto preciso. Per questo il film è molto veritiero. A Sangineto, nonostante quello che è successo, Angelo era considerato il cane del paese, adottato un po’ da tutti; infatti il film vuole evidenziare che c’è anche la parte buona delle persone. Infatti è toccante la parte in cui Angelo, mentre viene torturato, ripensa alle persone ai sui amici cani, che gli hanno fatto del bene in contrapposizione ai carnefici. Sì, si tratta di un modo per parlare della grande dignità che hanno i cani randagi di vivere una vita di stenti e affrontare anche una morte ingiusta. E lui alla fine, anche di fronte alle facce dell’odio e della violenza ricorda le cose belle che ha avuto, per quanto siano state poche. Il cane randagio non chiede niente se non il rispetto per la sua stessa vita.

Che idea ti sei fatto dei carnefici?

Penso siano estremamente disturbati, perché credo che quando hai di fronte un essere vivente, che sia uomo, cane, gatto, uccellino, e riesci a fargli del male e ridere delle sue sofferenze, che tu stesso hai inflitto, hai problemi seri e sei un pericolo sociale. La persona che fa del male, perché così priva di empatia, può poi fare lo stesso anche su chi è più debole, come i bambini. Le pene vanno inasprite non solo per salvaguardare gli animali, ma per reprimere certi istinti.

Tu che hai deciso di fare il videomaker di professione, cosa pensi di chi, come i carnefici di Angelo, gira video col cellulare e li posta sui social?

Penso che anche queste siano problematiche psicologiche che hanno risvolti diversi. Ma se fai del male e te ne fai anche vanto, hai bisogno di aiuti seri o comunque di andare in galera. La viralità dei contenuti è un’arma a doppio taglio, perché possiamo vedere cose che non vorremmo mai vedere, ma in alcuni casi, come in questo di Angelo, può aiutare, perché l’ignoranza di queste persone ha permesso di farlo diventare un simbolo e di riparlare della violenza sugli animali, che altrimenti passerebbe in sordina come spesso succede quando c’è una vittima, ma non si trovano i colpevoli.

Pensi che lavori come il tuo possano sensibilizzare le persone?

Gli obiettivi principali del progetto sono sempre stati due: la sensibilizzazione e fare arrivare proventi alla sezione calabrese di LNDC, calabrese e trasformare la triste storia di Angelo in aiuto materiale per i suoi simili. Prima ancora c’è, appunto, la sensibilizzazione. Il mio non è un film particolarmente grafico; anche la scena dell’uccisione è stata girata con scelta molto poetica e poco visiva, perché non vuol essere un film che cerca le lacrime facili, ma che vuole fare riflettere soprattutto le persone un po’ meno sensibili sul perché questa creatura che aveva la sua vita, non ce l’ha più e senza motivo. Inoltre stiamo già lavorando a organizzare eventi nelle scuole, alle medie e nei licei sarebbe interessante, perché l’educazione deve partire dal basso. L’obiettivo è educare al rispetto della vita in ogni sua forma.

Che cosa ha rappresentato per te questa storia?

Per me questa storia un piccolo miracolo lo ha già fatto, perché probabilmente Lapo avrebbe passato la maggior parer della vita in canile, visto che difficilmente cani così grossi e già adulti vengono adottati. Se non ci fosse stato Angelo non ci sarebbe stato il film né una famiglia per Lapo, per cui mi piace pensare che il suo angelo custode sia stato proprio Angelo.

Medea Garrone

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