Il Guardian lo scorso marzo, dopo lo scandalo che ha coinvolto Facebook relativamente alla diffusione dei dati personali di 50 milioni di utenti, ha parlato di ‘oligarchi digitali’, sottotitolando: “le regole di Internet devono essere scritte da persone normali, non da corporazioni”. Ecco, proprio seguendo questo principio, di sostenibilità e accessibilità del web, Lorenzo Rosasco, 42 anni, genovese, professore del Dibris (Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei Sistemi) dell’Università di Genova e del Mit di Boston, ha vinto, primo e unico italiano nell’ambito del “machine learning”, l’Erc consolidator grant, col progetto “Efficient algorithms for sustainable machine learning”. E, lavorando a questo progetto che potremmo definire di rivoluzione digitale in senso democratico, è intenzionato a restare qua, “perché è una buona cosa aiutare le persone che sono qui, che sono estremamente brave e perché a Genova abbiamo iniziato a fare cose che a livello italiano sono molto importanti”.
Che cosa significa questo premio per te?
Si tratta di uno dei pochi stanziamenti che consentono di fare ricerca di base. Personalmente per cinque anni non dovrò preoccuparmi di trovare fondi e potrò portare avanti il programma di ricerca: è un’opportunità unica, perché al momento è il solo finanziamento, a livello italiano ed europeo, che dia la libertà di fare ricerca su ciò che si vuole, riconoscendo che alla base ci sono idee talmente buone e interessanti da poter essere portate avanti.
Il progetto “Efficient algorithms for sustainable machine learning” in che cosa consiste esattamente?
Il “machine learning” è una delle branche principali dell’intelligenza artificiale e prova a sviluppare sistemi che imparano da esempi: un po’ come si fa con i bambini. Dietro a tutti i “voice assistance” di oggi, per esempio, come Siri, Google Voice, Amazon Alexa, o i sistemi che riconoscono un volto o un oggetto scrivendone il nome, usano questa tecnologia. Tutto questo al momento funziona, ma richiedono una quantità enorme di calcolo e tempo di computer. Infatti quando parli a Siri la tua voce finisce in rete e viene rielaborata da un server molto grande, che capisce che cosa gli hai chiesto. L’obiettivo del progetto, invece, è fare la stessa cosa, ma in modo più efficiente, che non richieda, cioè, un grande server dall’altra parte del pianeta, ma un microchip, che idealmente potrebbe essere nascosto nel cellulare. Per questo uso il termine ‘sostenibilità’, in quanto quello che va spedito a un super computer, che va fatto andare per alcune ore, si può riuscire a farlo con risorse molto inferiori. E chiaramente questo permetterebbe di fare più cose e a più persone, perché il numero di quelle che hanno a disposizione un supercomputer è molto esiguo. Per questo il titolo del progetto è “Efficient algorithms for sustainable machine learning”: efficienza per rendere le cose più sostenibili e accessibili a tutti grazie a un pc, un portatile o un cellulare. Tra l’altro, un aspetto interessante e curioso, è dato dal fatto che le stesse tecniche che sviluppo nel progetto servono sia per fare funzionare meglio i robot sia per trovare la cosiddetta ‘nuova fisica’, da quando hanno trovato il bosone di Higgs, per capire se ci sono eventi non spiegabili con la fisica che conosciamo fino a oggi. Si può approfondire a lungo il tema dell’intelligenza artificiale, anche relativamente al pericolo esistenziale rispetto ai robot piuttosto che alla privacy, ma ci sono aspetti anche positivi.
A che punto siamo con la ricerca?
Siamo in controfase rispetto a quello che al momento si sta facendo, perché in questo campo sono le grosse compagnie a che hanno approccio consumistico rispetto all’obiettivo, a fare ricerca: c’è molta spinta tecnologico-industriale per fare queste cose. Invece il progetto prova a cambiare le carte in tavola, perché non essendo vincolato da interessi commerciali e avendo libertà nella ricerca, posso provare ad agire diversamente. Quindi mi è stato dato il premio perché negli ultimi anni abbiamo raggiunto risultati ottimali, che dimostrano che quello che si faceva in una settimana si può fare in un’ora e quello che si faceva sul banco di computer lo si può fare sul laptop. Siamo a risultati preliminari che mostrano, quindi, che forse è possibile invertire la rotta e, con una frazione di risorse, fare quello che fanno i superpc.
Possiamo parlare quindi di sostenibilità, ma anche democratizzazione grazie al tuo progetto?
Sì, c’è un articolo del Guardian che parla di ‘oligarchia digitale’, in cui si dice che guardando il numero di persone che hanno accesso ai dati e hanno le risorse per poterli analizzare, il panorama è un po’ inquietante. E poiché le banche dati sono considerati la risorsa del nuovo millennio, il fatto che solo pochi abbiano accesso e possano manipolare i dati, senza sapere che cosa possano farne, fa temere che ci siano conseguenze potenzialmente drammatiche.
Il monopolio è in mano alle grandi compagnie mondiali?
Sì, sono Google, Facebook e Amazon, che sono i grossi player che stanno facendo cose bellissime, ma che possono portare avanti una ricerca fatta in modo brutale. Se guardi su Twitter, per esempio, possono fare un esperimento del costo di mezzo milione di dollari lanciandolo per una settimana sul supercomputer: la stessa cosa posso cercare di farla io in cinque ore. Per cui la situazione attualmente è sbilanciata e non è del tutto giusto.
Lavori anche al Mit di Boston: che esperienza è stata?
Ho iniziato là nel 2005, per qualche anno ho fatto avanti indietro tra Stati Uniti e Italia, poi sono stato stabilmente al Mit per 6 anni e nel 2013 sono tornato a Genova, dove passo la maggior parte del tempo, anche se ancora collaboro come “visiting professor”. Ho passato circa 10 anni al Mit, dove ero nel gruppo di Tomaso Poggio, genovese tra gli scienziati italiani più famosi al mondo, che si occupa di intelligenza sia dal punto di vista artificiale sia biologico, e là ho continuato a specializzarmi nelle cose che ho studiato all’Università di Genova.
Perché ha deciso di tornare?
La verità è che ‘sento’ che è una buona cosa stare qua e aiutare le persone, che sono estremamente brave, sia i ricercatori sia gli studenti. Quindi penso che ci siano i presupposti per fare cose molto belle. Ci vogliono risorse ed energie e quando sono tornato ho iniziato a lavorare in questa direzione: il progetto porta linfa vitale non solo a me, ma anche ai miei studenti, ai ricercatori e ai miei collaboratori universitari. Infatti la mia esperienza di vita è quella di chi è stato via quasi 10 anni ed è tornato non perché non potesse farne a meno o avesse malinconia, ma perché ho voluto scientemente provare a realizzare dei progetti. In questo momento l’intelligenza artificiale è di grande interesse: il governo italiano e quello europeo stanno promuovendo politiche di investimento di miliardi di euro, perché siamo molto indietro rispetto al resto del mondo. Questa, quindi, per me è una sfida e un’opportunità, nel senso che da una parte la vita sarebbe più facile altrove, ma se riusciamo a realizzare progetti importanti qui, avremo più soddisfazione e saranno ripagate persone che hanno lavorato duro negli anni.
E infatti hai lanciato una call: ossia?
Ritengo che a Genova abbiamo iniziato a fare cose che a livello italiano sono molto importanti e che è giusto che le persone interessate all’argomento, italiane e straniere, sappiano. In particolare per il progetto dovrò assumere 7 o 8 persone, quindi vorrei dare l’opportunità a ragazzi bravi e interessati di venire qua e lavorare su questi argomenti. Ci saranno call vere e proprie a breve e a disposizione borse di studio per il Dottorato, rivolte a informatici, fisici, ingegneri e matematici, che così hanno l’opportunità di collaborare a questo progetto a livello europeo.