Un itinerario lungo 200 chilometri. Una prova per scoprire e scoprirsi. Un percorso che sa di strade comunali, sentieri e asfalto. Di salite, di discese, di edifici abbandonati e di villette residenziali. Di freddo e di fango. Di pioggia e di nebbia. Ma anche di sole e di colori. Un cammino per tornare alle origini, passo dopo passo. Per stabilire, di nuovo, un contatto con la terra in un saliscendi di emozioni contrastanti. Un viaggio che diventa non-viaggio attraversando paesini di poche anime e cittadine isolate per arrivare alla metropoli, osservando tutto ciò che l’uomo ha pensato e realizzato nel tempo. Risalendo, a poco a poco, dalla campagna alla città.
È la storia - durata sei giorni - di Maurizio Carucci e Martina Panarese, due giovanissimi contadini che, con la spontaneità che tinge le loro giornate di montagna, hanno deciso di sfidarsi...fidandosi delle proprie gambe, fino a Milano città. Un “non-viaggio” - come lo definiscono loro - che ha il sapore amaro di rivalsa e ribellione nei confronti di una società che, anziché soppesare il tempo dandogli il giusto valore, lo combatte costantemente cercando di annullarlo. Un’esperienza fine a se stessa che si concentra sulla curiosità e sul desiderio di conoscenza, due peculiarità, oggi, in lenta eclissi. I due ragazzi, genovesi ma residenti ad Albera Ligure - un comune nella provincia di Alessandria - portano Genova nel cuore e non mancano di dedicare questa loro vittoria alla città che oggi sembra in ginocchio più che mai. Arrivare a Milano a piedi, nonostante tutto. Una protesta “camminata” per dimostrare che a contare sulle proprie gambe non si sbaglia mai. Maurizio, sul treno di ritorno, ci ha raccontato com’è andata.
Com’è nata l’idea? Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a intraprendere questo “non viaggio”?
“L’idea è nata in modo molto spontaneo. Ci capita spesso, infatti, di avere delle intuizioni particolari in situazioni totalmente informali. Pensavamo già da un po’ di intraprendere un cammino importante e l’idea di andare a Milano rappresentava più un’indagine che un viaggio vero e proprio. Eravamo curiosi di vedere con i nostri occhi che cosa separa casa nostra da Milano: dal recondito al centro urbano. Una scelta insolita, controcorrente ma molto concreta”.
Perché “non-viaggio”?
“Scrivendo canzoni amo molto giocare con le parole e, in tutta onestà, l’idea di “non-viaggio” mi piaceva e credo che abbia rispecchiato in pieno quello che intendevamo comunicare. È comune pensare che il viaggio sia qualcosa che preveda l’utilizzo di mezzi veloci. Prendiamo l’aereo per raggiungere più velocemente possibile una meta e risparmiare tempo per dedicarlo ad altro. Questo non rispecchiava la nostra visione di viaggio. Volevamo fare l’esatto contrario: dedicare le nostre energie e le nostre attenzioni allo spostamento stesso, intendendo il viaggio non come meta da conquistare ma come percorso da scoprire e assaporare lentamente. Un viaggio all’antica, sicuramente poco diffuso oggi”.
Questo cammino può essere letto come “protesta” nei confronti di una situazione difficile che oggi Genova si trova ad affrontare?
“Tutto quello che faccio - come ho raccontato in uno dei miei ultimi post sui miei canali social - lo collego a quello che è successo alla nostra città. Ogni cosa ha un legame intrinseco ad essa e saperlo comprendere è la chiave di tutto. Io nel mio piccolo, ogni giorno e in modo concreto, cerco di contrastare questo modo di vivere il mondo che ci sta avvelenando piano piano. Sicuramente questo viaggio ha a che fare con ciò che è avvenuto”.
Quali sono state le tappe del percorso e qual è stata la più difficile?
“La tappa più difficile è stata sicuramente la prima: c’era molto freddo, pioveva e la visibilità era poca a causa della nebbia. Abbiamo percorso 30 chilometri con 3000 metri di dislivello tra salite e fango e, a causa di un ritardo sulla tabella di marcia, abbiamo dovuto percorrere un tratto quasi completamente al buio e molto ripido nei pressi del Monte Chiappo. Eravamo stanchi e la lucidità iniziava a calare ma, fortunatamente, - e grazie all’aiuto del GPS - siamo riusciti a raggiungere la strada e a terminare la prima giornata di cammino. Il primo giorno abbiamo percorso parte dei crinali del Monte Ebro, che separa l’Appennino dalla Pianura e, dopo il primo giorno, il viaggio è stato addolcito da campagne e sentieri. Dal Monte Ebro siamo arrivati a Varzi, poi a San Ponzo fino a Voghera, dove abbiamo attraversato un pezzo della vecchia ferrovia. Da Voghera siamo arrivati a Pavia e poi a Milano, fino a Piazza del Duomo. Avevamo il timore di dover spezzare alcune tappe obbligatoriamente, ma alla fine abbiamo rispettato i nostri piani e siamo arrivati nel capoluogo lombardo in sei giorni. Siamo entrambi amanti delle camminate e delle escursioni ma è stato comunque un viaggio che ci ha messi duramente alla prova”.
Avete documentato tutto sui vostri canali social: quest’ottica di condivisione vi ha aiutati durante il percorso? Avete avuto tanto supporto da amici e conoscenti?
“È stato interessante vedere l’interesse al nostro non-viaggio da parte di amici e conoscenti che si sono dimostrati presenti sui social. Il nostro messaggio di rivalsa è arrivato forte e chiaro anche grazie al mondo virtuale e di questo ne siamo felici. Il sostegno arrivato dalla rete ci ha aiutato molto: penso che sia sempre piacevole avere intorno persone che dimostrano affetto e calore, qualunque sia la forma. Diffido dalle persone che separano la vita reale da quella virtuale: ritengo che sia corretto coltivare di più quella reale ma è anche vero che le relazioni online, se ben gestite, possono portare dei benefici”.
Avete in mente di ripetere quest’esperienza con altre destinazioni?
“Non ne abbiamo ancora parlato ma, dato il successo degli scorsi giorni, penso che non sia nemmeno il caso di chiederlo. Assolutamente sì! I benefici, fisici ma soprattutto psicologici che abbiamo riscontrato, sono stati così tanti che sicuramente organizzeremo altri non-viaggi. Quello che a noi interessa, tuttavia, non sono i cammini storici e conosciuti ma quelli nascosti, insoliti. Ad esempio...Genova-Cuneo!”.
Ma soprattutto… la vera domanda è: dopo 200 chilometri, avete trovato un vino più buono del Timorasso?
“Da amanti della biodiversità abbiamo scoperto tante realtà interessanti. Non penso che ci sia un vino migliore in assoluto, ma esiste quello più buono per ogni luogo. Il Timorasso è un ottimo vino dei nostri luoghi al quale siamo molto legati ma amiamo cambiare e scoprire sempre cose nuove”.