Cultura - 18 novembre 2018, 18:21

Giorgio Terruzzi: “Racconto la paternità, un tema poco affrontato”

Il giornalista, assai noto in Formula 1 e Moto Gp, presenta martedì a Chiavari il suo ultimo libro, ‘Quando ridi’: la storia di un papà e del rapporto con la figlia. “Non è una vicenda personale. Le mie ragazze? Mi rimproveravano se passavo troppo tempo con Schumacher”

“Questo libro non è autobiografico, ma è anche vero che ogni libro lo è, almeno in parte”. Così, se sei un padre, se hai un cuore e dei sentimenti, se certe storie ti sanno toccare nel profondo, allora non puoi non leggere l’ultimo lavoro di Giorgio Terruzzi. Il giornalista e scrittore milanese, voce storica di Mediaset per quanto riguarda i motori, collaboratore del ‘Corriere della Sera’ e autore di vari libri e testi teatrali, ha dato da poco alle stampe il suo ultimo lavoro: s’intitola ‘Quando ridi - Parole sussurrate a una figlia’ e lo pubblica Rizzoli.

E’ la storia di un distacco, di un abbandono: una figlia che annuncia al papà che andrà a studiare all’estero. Ma è anche un percorso di maturazione reciproco, di sani e buoni sentimenti. Di emozioni sfiorate, come solo Terruzzi - uno dei giornalisti più ispirati e talentuosi nell’usare le parole (alcuni dei suoi ‘pezzi’ sulla Formula 1 sono ancora negli annali) - è capace di fare con la propria penna.

L’autore sarà martedì a Chiavari per presentare al pubblico il suo libro: appuntamento alle ore 17,30 presso la sede del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure (Sala Senatore Dallorso, via Martiri della Liberazione 123, ingresso libero). “La protagonista Giulia - afferma Terruzzi - pur essendo un personaggio della fantasia, deve qualcosa alle mie tre figlie: Nina, Maria e Anna. Ma non è nulla al confronto di ciò che devo io a loro. Amore e gratitudine, senza fondo, senza condizioni”.

Se è vero che le relazioni umane sono anche un fatto di chimica, quello tra Terruzzi e Giulia, nella narrazione, è un doppio scambio perfetto, un arricchimento, una catarsi. L’autore che torna nei luoghi dove portava la figlia a giocare da piccola, e la vede ancora lì, piange. Piange insieme ai suoi lettori. Perché questa è una vicenda comune a tanti, nella splendida poesia che è la vita.

 

Terruzzi, lei è conosciuto moltissimo per i motori. I libri dedicati ad Ayrton Senna e Valentino Rossi (‘Suite 200’ e ‘Grazie Valentino’) hanno avuto un enorme successo. Come mai un lavoro sulla paternità?

“Ho sempre avuto l’idea in testa di scrivere un romanzo di questo tipo. Ma il momento non lo decidi tu. Diciamo che arriva da solo. Oggi ho sessant’anni. Le mie tre figlie ne hanno, rispettivamente, 30, 27 e 18. Siamo arrivati a un punto da pensare che certe situazioni si sono definite. E il libro è praticamente venuto fuori in maniera del tutto naturale”.

 

Il tema della paternità è toccato con grande passione, senza retorica. Ma con moltissime emozioni. Come sempre nei suoi scritti. Lei sa dipingere con le parole.

“Mi fa piacere se riesco ad emozionare le persone. Questo è un libro che parte da una situazione sfavorevole, ovvero il papà che scopre la volontà della figlia di andare a studiare all’estero, ma che finisce con una speranza. Ho voluto fortemente parlare di paternità perché, al giorno d’oggi, è un argomento poco trattato. Non se ne parla più, neanche tra amici. Invece è una cosa splendida essere padri: un mestiere che s’impara in corsa, sbagliando, dicendo strafalcioni, arrivando spesso a scontri e incomprensioni. I padri di oggi, poi, sono molto meno decisi dei nostri. Sono figli di quest’epoca, fatta di incertezze, di domande non risposte, di precarietà”.

 

Il paragone tra ieri e oggi è un aspetto che ritorna sempre, nel confronto fra generazioni.

“Sì, però all’età di sessant’anni e dopo trenta di paternità ho capito che non devi sempre picchiare su questo tasto. Se una figlia ti fa ascoltare il gruppo del momento, è sbagliato rispondere ‘ai miei tempi c’erano i Beatles’. Perché c’è qualcosa di allettante pure in questa epoca. E’ sempre bello conoscere, incontrarsi, ascoltare i gusti dell’altro. Scoprirsi giorno dopo giorno. Come fanno questo papà e Giulia”.

 

Lei è tra i giornalisti televisivi più stimati in Italia. E’ un mestiere senza orari, senza feste comandate, spesso si fa lontano da casa. I giornalisti sono padri ‘sui generis’?

“Sento spesso molti padri ‘assenti’ provare un debito verso i figli. Può capitare. Direi che capita o è capitato a tutti. A me, quando erano piccole, le mie figlie mi rimproveravano dicendomi che trascorrevo più tempo con Schumacher che con loro. Poi, però, arriva il tempo a mettere ordine in tutte le cose. A restituire il giusto equilibrio, a far capire alle figlie che le tue assenze non erano per giocare partite di biliardo, ma per permettere a loro, anche attraverso il mio lavoro, di fare delle cose. Io non ho mai chiesto di essere riabilitato. So di aver fatto tutto secondo coscienza”.

 

‘Quando ridi’ è uno dei suoi lavori più intimi.

“Sì, direi che è un lavoro molto intimo. E’ partito da una storia vera dal mondo del rugby, l’altro sport che seguo con grande intensità. Poi, a poco a poco, è uscito fuori. Chi fa il nostro mestiere, corre i cento metri tutti i giorni. Qui, invece, si tratta di fare la maratona. E’ una gestazione lunga, un percorso di avvicinamento articolato”.

 

Il suo papà letterario soffre, ma alla fine trova consolazione. Ci sono tanti padri, nella vita reale, che soffrono e basta. Sono quelli separati. Un pensiero per loro?

“Dentro la storia di una separazione c’è sempre una sofferenza enorme. Non è vero che i figli di genitori separati sono felici come gli altri. Non saranno mai contenti di come sono andate le cose tra la loro mamma e il loro papà. Quello che si trovano a pagare tanti padri separati è un conto salatissimo: morale, sentimentale, economico. Spesso c’è superficialità nello sposarsi. Altrettanta nel dividersi. E’ un tema strettamente legato a quello dell’emancipazione femminile. Ci sono molte situazioni in cui la responsabilità è piuttosto chiara, tant’è chi deve subire di più è l’uomo. L’attribuzione delle responsabilità è sbilanciata”.

 

Nei giorni scorsi, i giornalisti sono scesi in piazza con i tesserini professionali in mano, per protestare contro alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle che li hanno definiti ‘puttane’ e ‘infimi sciacalli’. Lei di che parere è?

“Io sono di quelli che in piazza non c’è andato. Come tanti altri, ho preferito evitare. Non ho molti motivi per difendere la mia categoria. Come tutte le altre, ha vizi e difetti. I giornalisti non sono difendibili in toto. Molti avrebbero bisogno di un bel ripasso sull’etica professionale. Vedo in giro cose macroscopiche, atteggiamenti di spocchia, fiancheggiatori del potere. I giornalisti sono una categoria criticabile, come tutte le altre. Io sarò una mosca bianca, ma non ho mai chiesto uno sconto in vita mia”.

 

Conosce la Liguria? Le piace?

“Da milanese, conosco benissimo la Liguria. Ci ho passato le vacanze spesso, ho molti amici, si mangia benissimo. Ho una grande passione per centri come Finalborgo e Zoagli. Mi spiace tanto per i danni della mareggiata. Questi sono paesaggi che non hanno prezzo”.

 

Non è una gran terra di talenti dei motori.

“Motori no. Ma rugby sì: sia il Cus Genova che la Pro Recco. Ho scritto diversi libri insieme al collega e amico Marco Pastonesi sull’argomento. Siamo cresciuti insieme, è come un fratello”.

 

I suoi prossimi lavori?

“Scrivo articoli per il ‘Corriere della Sera’, ho ancora un contratto con Mediaset. In gestazione c’è pure un progetto che avevo pensato insieme al pittore Giancarlo Vitali, un fumatore incallito. Purtroppo è morto in estate, all’età di 86 anni. Avevamo in mente di fare una raccolta di racconti, intitolata ‘Pro-fumo’: venti storie, tante quante le sigarette in un pacchetto. Ogni scritto accompagnato da un lavoro dell’artista. Giancarlo è mancato, ma sono venuto a sapere dalla figlia Sara che la sua parte l’aveva terminata. Quindi penso che riusciremo a completare il progetto”.

 

Alberto Bruzzone

Alberto Bruzzone