Sanità - 29 ottobre 2018, 08:00

Imparare... in ospedale: la "missione speciale" degli insegnanti al Gaslini

Ospedale Gaslini, I.C. Sturla e Istituto Superiore Montale sono un esempio in Italia di come diritto allo studio e alla salute si fondino quotidianamente, grazie a "La Scuola in Ospedale", progetto avviato da oltre 40 anni

C’è un luogo in cui due dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, quello alla salute e quello allo studio, si fondano insieme quotidianamente. E da oltre 40 anni. Si tratta del settimo piano dell’edificio numero 10 dell’Istituto Pediatrico Gaslini. Un padiglione speciale, in cui ogni bambino e ragazzo, infatti, ha la possibilità di portare avanti il proprio percorso di formazione scolastica anche stando in ospedale per lunghi periodi (o a casa). E non a caso, infatti, lo scorso 15 maggio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto visitare proprio quella scuola particolare.

Eppure non tutti sanno di questo diritto che hanno gli studenti, grandi e piccoli. Specialmente di adolescenti malati. E adesso che l’anno scolastico è iniziato e hanno preso il via anche i programmi per le lezioni a domicilio, con lo sblocco dei fondi da parte del Miur, è bene ricordare che è dal 1975 che la scuola “va in ospedale”, grazie all’istituzione dei poli didattici statali convenzionati – ne esiste almeno uno per ogni regione italiana – con 167 sezioni ospedaliere e 765 docenti. Tanto che il progetto “La Scuola in Ospedale” costituisce uno dei punti d’eccellenza del sistema d’istruzione nazionale. E lo scorso anno a ricevere l’Italian Teacher Prize è stata proprio una docente, Annamaria Berenzi, che insegna in ospedale a Brescia e che porta in giro per l’Italia il progetto “In viaggio per guarire”.

Dunque, quello che “La Scuola in Ospedale” garantisce agli studenti di ogni ordine e grado è il diritto allo studio, che si traduce nel recupero dell’anno scolastico, nel reinserimento nella classe di provenienza della scuola d’origine e nella socializzazione tra coetanei, specie se si tratta di bambini. Il ruolo degli insegnanti, quindi, è tanto fondamentale quanto delicato, dal momento che sono loro a costituire il trait d’union tra i giovani degenti e le scuole, ma con quello che è il mondo esterno, da cui possono essere separati anche per mesi. E più l’età adolescenziale si avvicina e più questo è difficile, per diverse ragioni, che non sono solo psicologiche. Infatti il progetto del Ministero di garantire il diritto allo studio a chi è ricoverato in ospedale o in domicili ospedalieri, ha avuto inizio molti anni fa, ma in principio ha riguardato le primarie e la secondaria di primo grado, e solo più di recente le superiori.

Un esempio, come ce ne sono altri in Italia, sono appunto l’Ospedale Giannina Gaslini - di fama internazionale e dove giungono pazienti da ogni parte d’Italia e dall’estero - l’Istituto Comprensivo Sturla e l’Istituto d'Istruzione Superiore Eugenio Montale di Genova. Il Comprensivo Sturla ha festeggiato nel 2016 i quarant’anni di convenzione con il Gaslini, dove all’interno del reparto 10 si trova la scuola, con le insegnanti che, indossata la cappa colorata di giallo, verde o blu, ogni giorno fanno lezione ai bambini, dai più piccoli agli studenti di terza media, nell’aula allestita apposta per lo studio, ma anche per il gioco. Silvia Parigi è la coordinatrice con cui lavorano altri otto colleghi delle scuole medie, sei delle elementari e quasi una ventina dell’infanzia.

“Ogni anno abbiamo tra i 500 e i 700 studenti d’età compresa tra gli 11 e i 13 anni. Il numero si triplica considerando tutti i bambini d’età inferiore – spiega la docente – Si fa lezione a piccoli gruppi costituiti da chi è affetto da patologie che consentano di uscire dalla camera, altrimenti si fa da letto e anche per un giorno, se i genitori lo richiedono. Alcuni bambini, specie di terza media, arrivano già con i libri”. O si fanno le domiciliari, generalmente riservate a quei pazienti che arrivano da fuori Genova e che invece di essere ospedalizzati sono collocati in strutture esterne, insieme alle famiglie, perché la tendenza è quella di fare stare il meno possibile i pazienti all’interno del Gaslini, per poter vivere più serenamente la malattia.

E che sia a casa o in una camera di qualche reparto, i docenti fanno verifiche e interrogazioni, gli esami di terza media e di Maturità, e il polo scolastico rilascia un certificato di frequenza per la scuola di provenienza. Perché non solo è un diritto studiare, ma è anche fondamentale che bambini e ragazzi mantengano il contatto con quella che è la realtà. Nonostante non sia sempre facile, per gli insegnanti, affrontare la malattia dei propri studenti, specialmente se non si arriva preparati: “Al momento non ci sono corsi propedeutici, l’ultimo, online, risale al 2015, ma - spiega Silvia Parigi - annualmente incontriamo i medici, anche per ricevere istruzioni a livello di medicina preventiva e per adottare un corretto comportamento in ospedale. Perché ci sono dei ruoli distinti e vanno rispettati”.

È, però, inevitabile che entri in gioco anche l’emotività: “Non possono insegnare tutti in ospedale, il coinvolgimento emotivo è molto alto, bisogna avere capacità relazionali che non sono necessariamente quelle di un docente, e bisogna saper filtrare le cose”, spiega Sofia Pacini, insegnante del Montale, che dal 2003 si occupa della “Scuola in Ospedale” per gli studenti delle superiori: una media di 1000 all’anno al Gaslini. “Noi non dovremmo nemmeno sapere che cosa hanno i ragazzi, ma i genitori e loro stessi sono i primi a coinvolgerci. E non è semplice elaborare i lutti, perché ci sono, è inevitabile – continua – ma si fa in modo che chi ha bisogno di supporto psicologico lo riceva sia all’interno del Gaslini sia con la psicologa del Montale. È già capitato che colleghi chiamati a fare docenza ai domiciliari non si siano sentiti subito di prendere altri ragazzi, ma abbiano deciso di aspettare anche un anno. Sono esperienze forti, condivise con i familiari, che si portano anche in classe”.

E anche per questo, per mantenere il giusto contatto con la realtà, gli insegnanti delle medie inferiori e superiori hanno cattedre spezzate, insegnando in parte nel proprio plesso scolastico e in parte in ospedale e ai domiciliari. In particolare per i ragazzi che non sono ospedalizzati si crea un progetto ad hoc, in base alle esigenze e al tipo di indirizzo scolastico cui sono iscritti e alla degenza, che può durare trenta giorni, alcuni mesi o per tutto l’anno scolastico. “Nomino persone che non sono solo del Montale, perché abbiamo ragazzi provenienti, per esempio, dal liceo artistico: in tal caso chiamo insegnanti delle discipline di indirizzo – precisa – e per farlo ho un elenco di colleghi disponibili”. E così sono coinvolti “tra i 40 e i 50 docenti. Dentro al Gaslini lavorano almeno 10 persone su tre cattedre. Quest’anno abbiamo avuto una cattedra in più di Scienze e adesso tutti fanno 6 ore e il resto a scuola. Per i domiciliari dipende dai progetti e dalle materie, ma sono da un minimo di 3 a un massimo di 5 insegnanti”.

Si tratta - cosa non facile - di riuscire a collegare e coordinare ragazzi e istituzioni diverse e “ognuno è un mondo a sé, con un proprio percorso e una propria realtà; abbiamo ragazzi che fanno triangolazioni continue tra casa, Gaslini e domiciliazioni a Genova, il che per loro è molto stancante”. Come è stato per Assunta: “Era una ragazza di Aversa, che fino al terzo anno delle superiori non era mai entrata in una scuola, ma che a Genova era riuscita a stare finalmente in classe e a fare anche l’esperienza su Nave Italia – ricorda con commozione l’insegnante – Purtroppo un giorno, a un anno dalla Maturità, mi ha scritto un messaggio per ringraziarmi e salutarmi, perché sapeva che di lì a poco non ce l’avrebbe fatta. Non ha voluto che l’andassi a trovare, perché voleva essere ricordata come nei momenti migliori”.

E nemmeno mentre sono in ospedale, talvolta trasformati psicologicamente e fisicamente dalla malattia, gli adolescenti vogliono farsi vedere dai compagni. Ma fortunatamente esiste la tecnologia, che permette di mantenere un costante rapporto con la classe: al Gaslini c’è l’aula con i pc e la rete Wi-fi, in modo da poter essere connessi e poter anche consultare il registro elettronico o magari fare lezioni via Skype. L’importante, appunto, è mantenere la normalità, cosa che lo studio permette di fare: “Vogliono essere trattati come tutti, perché hanno bisogno di questo, di una battuta o anche di un rimprovero. È un desiderio di continuare un percorso che si è spezzato per qualche motivo – spiega la docente del Montale – Difficilmente dicono di non voler fare lezione, altrimenti significa che stanno male. Alcuni, a seguito delle cure, si addormentano, ma ci provano”. Anche perché quell’ora di lezione individuale è molto importante: “Quando c’è il rapporto uno a uno, si riesce a fare di più di quello che si fa in classe, quindi laddove hanno perso tempo, possono recuperare. E i genitori ansiosi, che temono che i ragazzi interrompano l’anno scolastico, vanno tranquillizzati. Bisognerebbe solamente che tutti, da qualsiasi scuola provengano, sapessero che possono continuare senza interruzioni. E questo – conclude – si dovrebbe estendere anche ad altre strutture, non solo al Gaslini, per esempio a quelle in cui si cura l’anoressia o si fa riabilitazione ai lungodegenti”.

A Genova come in altre città d’Italia.

Medea Garrone