La tragedia del Ponte Morandi è troppo grande per essere passata sotto silenzio. E’ enorme. I bambini non possono rimanere nella campana di vetro. E’ difficilissimo e, per certi versi, inopportuno.
Così questo è uno dei classici casi d’attualità destinati a entrare nelle scuole. Alla ripresa delle lezioni, dalle elementari in su, se ne parlerà nelle varie classi, con metodologie differenti a seconda dell’età dei bambini. Una sorta di ‘rielaborazione’ del trauma a livello collettivo, ma anche un percorso di condivisione di stati d’animo, paure, ansie, dolori ed emozioni che sarà utile per tutti, grandi e piccini. E’ la funzione sociale dell’istruzione, oltre a quella meramente didattica. Il mondo è anche fuori dai libri e ogni occasione, anche quella più catastrofica, serve per crescere. Tutti insieme.
Luisa Scafidi e Andreina Cecchi insegnano alla scuola elementare ‘Vittorio Alfieri’ di Multedo. Il 17 settembre, giorno d’inizio dell’anno scolastico 2018/2019, si troveranno di fronte i 17 bambini della loro terza classe.
Come affrontare con un piccolo di otto anni un disastro che ha segnato e segnerà per lunghissimo tempo la storia di Genova? E’ il caso di affrontarlo? Secondo le due insegnanti sì: “Premetto - afferma Luisa Scafidi - che si tratta di situazioni assolutamente personali. Nel senso che, in questi casi, non esiste una didattica apposita e specifica. Ogni coppia di maestre si coordina per come ritiene più opportuno, anche a seconda dell’età dei ragazzi. Io sicuramente lo farò con la collega Andreina”.
L’idea, comune, è quella di partire dal disegno. “E’ un percorso specifico all’età di otto anni. I bambini trasferiscono sulla carta le loro emozioni. E’ un modo per far uscire quello che hanno dentro. Poi, in base ai loro elaborati, inizieremo una discussione comune”.
Le insegnanti sono d’accordo con quanto sostengono gli psicologi: “Occorre dire ai bambini la verità, nella maniera più adatta in base agli anni e alla loro sensibilità. Ma loro sentono sicurezza, quando parlano con un adulto”.
La scuola ‘Alfieri’ da tempo svolge percorsi dedicati all’autoprotezione, specialmente in casi di eventi alluvionali. “Ma abbiamo fatto - ricorda Luisa Scafidi - pure qualche lezione su come comportarsi in caso di incendi o di terremoti, in collaborazione con il Corpo Europeo dei Volontari dei Vigili del Fuoco, che ha sede proprio a Multedo. Solo che si trattava di catastrofi naturali, per quanto la mano dell’uomo possa incidere in certi casi. Il crollo del Ponte Morandi è un fatto completamente diverso”. Che però va analizzato a tutte le età: “Il rischio di non parlarne - osserva Andreina Cecchi - è anche peggiore. Primo, perché sono sicura che tutti i bambini sappiano cosa è successo. Secondo, perché senza l’aiuto di un adulto possono nascere ansie e fobie, che sono assolutamente da evitare. Ai bambini insegniamo ad affrontare le questioni, a conoscerle, a metterle in luce nella maniera più corretta, dando comunque, alla fine, dei messaggi rassicuranti”.
“E’ un evento raro - aggiunge Scafidi - e questo fatto va sottolineato con fermezza. E comunque i bambini sanno sempre sorprendere. Hanno un atteggiamento positivo, propongono strategie risolutive. Quando sanno che i grandi li tengono per mano e sentono di potersi appoggiare, allora affrontano tutto con serenità. E’ anche in queste occasioni che si rafforzano. Nel provare emozioni, anche se qualche volta ci sono sofferenze, sviluppano il loro carattere”.
La scuola della vita. “Già in passato - ricorda Cecchi - i grandi fatti d’attualità sono entrati in classe. A Genova, in particolare, lo abbiamo fatto con le alluvioni. Studiamo i fenomeni naturali e come bisogna comportarsi in caso di allerte, attivando i percorsi di autoprotezione che ormai tutti devono conoscere, sin dalla tenera età. Viviamo in un territorio estremamente fragile dal punto di vista idrogeologico e questi concetti vanno trasmessi a cominciare dai bambini. E poi, un problema affrontato insieme è sempre un po’ più ‘leggero’. Se mi rendo conto che le mie paure e le mie ansie sono anche quelle del mio compagno di classe, provo un po’ di consolazione e inizio a tranquillizzarmi”.
Rielaborare è la parola d’ordine, in questa città ferita a morte. Trovare uno straccio di senso, dentro la disperazione degli sfollati, la fatica dei pompieri, il dramma dei parenti delle vittime. Riflettere. E crescere tutti insieme. Dentro una di quelle immani sciagure che hanno l’effetto miracoloso di rendere una città più orgogliosa e unita di quanto non lo fosse prima.