Si definiscono electro/alternative-rock con influenze metal e amano esprimersi a 360°: i Fumonero, band genovese composta da Simone ‘Seth’ Borsellini (voce), Mirko Fallabrino (basso), Alessio Pucciano (chitarra e voce), Patrick Suffia (chitarra) e Marco Pendola (batteria), portano in scena un vero e proprio spettacolo, unendo sul palco teatralità all’energia rock.
Entusiasmo e voglia di gridare la propria visione del mondo. Ecco come appaiono a primo impatto: giovani talenti con il desiderio di relazionarsi a una città amata ma che molto spesso, da un punto di vista musicale, volta le spalle a chi osa allontanarsi dal classico cantautorato.
Un cantautorato che, contro ogni aspettativa, è facile da ritrovare anche all’interno dei brani firmati Fumonero e che li aiuta a comunicare le emozioni.
Perché - sfatiamo il mito - anche l’Alternative Rock tiene conto di esse. Ne parliamo con Simone Borsellini e Mirko Fallabrino.
Raccontateci una breve storia di voi…
"I Fumonero nascono cinque anni fa - racconta Simone Borsellini - In realtà nulla è avvenuto per caso perché ci conoscevamo già, fatta eccezione per qualche elemento. Inizialmente avevamo un sound rock classico, anche grazie alla chitarra acustica che addolciva il nostro stile, ma il tempo ci ha permesso di evolvere e trovare la nostra strada. Ad oggi siamo una band alternative-rock con influenze metal ed elettroniche, grazie alle quali siamo riusciti a realizzare il nostro secondo album di cui siamo molto entusiasti. Adesso, rispetto al passato, prediligiamo suoni più forti anche grazie alle chitarre, al basso e alla linea elettronica che contribuisce a dare potenza alla linea ritmica. All’inizio abbiamo effettuato qualche cambio all’interno della formazione ma senza stravolgere troppo l’anima e lo stile del gruppo".
Perché “Fumonero”?
"Fumonero inteso come lo smog che viene generato dai media e dalle fake news che oggi, purtroppo, vanno di moda. Il primo album aveva questo concetto come filo conduttore e l’idea ci piacque. Tutti i nostri testi lanciavano questo tipo di messaggio sociale volto ad invitare le persone a non fidarsi troppo di ciò che ascolta ma a ragionare con la propria testa. Dunque il fumo nero rappresenta quell’alone che ci si pone davanti e non ci fa percepire la realtà com’è realmente. Anche nel secondo album abbiamo ritrovato questa linea di fondo ma l’idea iniziale l’abbiamo avuta grazie ai primi lavori."
Siete passati da sonorità rock-metal unite al cantautorato a uno stile più elettronico e teatrale: com’è avvenuto questo passaggio?
MF: "Il primo disco, Note Ruvide, rispetto al secondo, è stato realizzato in modo più programmato. Innanzitutto è stato scritto da solo una parte del gruppo e per questo motivo non ha subito influenze miste ma possedeva uno stile più preciso. Il secondo disco, Dentro, evidenzia le differenze musicali di tutti, come le influenze della musica italiana, del Rock e dell’Indie. Queste caratteristiche di eterogeneità hanno permesso anche l’adattamento teatrale, avvenuto in un secondo momento".
SB: "Il cantautorato può stare anche nel Metal. Genova è la patria dei cantautori, di coloro, come De André, che mettevano in musica le emozioni; anche noi, nonostante la violenza sonora, lo facciamo, specialmente in Dentro dove seguiamo una linea piuttosto chiara: il concetto di prigionia".
Come riuscite ad unire un suono così forte come quello dell’Alternative Rock alla teatralità?
SB: "Il teatro mi ha sempre affascinato molto e ho sempre proposto al gruppo il progetto di un musical. Poi, una volta uscito il secondo album, ci siamo resi conto che il suo fil rouge poteva essere rappresentato benissimo attraverso il teatro e, grazie ad esso, poteva entrare in contatto maggiormente con il pubblico. Quello che è scaturito da questa unione è particolare e unico nonostante le difficoltà incontrate: non è stato facile unire Rock e teatro, credo che in pochi l’abbiano fatto. A questo proposito ricordo solo Gaber, rock a modo suo, che ha unito al teatro la canzone; noi lo abbiamo fatto con il Rock-Metal e il pubblico sembra aver apprezzato. È stato bello poter lavorare con gli attori, avere a che fare con la regia e con tutti quei dettagli a cui non si bada in situazioni di show classici".
MF: "L’anello di congiunzione tra la musica e il teatro è sicuramente il tema affrontato: secondo noi l’argomento sociale che proponiamo si adatta benissimo alla performance teatrale che talvolta passa in secondo piano".
SB: "Cantando in italiano, inoltre, i testi raggiungono meglio il pubblico presente in sala e il messaggio arriva chiaro. Certo, l’inglese fa scena ma è meno diretto, mentre l’italiano ti permette di dire davvero quello che vuoi, unendosi bene al teatro".
Il genere si presta molto bene alla lingua inglese ma voi riuscite a comunicare perfettamente in italiano…
SB: "Penso che l’inglese rappresenti la via più semplice a livello musicale perché suona bene e spesso cambia addirittura la sonorità dell’intero pezzo. Anche noi abbiamo tradotto alcuni brani in inglese, tra cui il prossimo che uscirà a breve. Tuttavia - sospira - l’italiano ha qualcosa in più. Cantare in italiano sopra generi come Metal e Rock non è mai facile poiché non sono generi che mettono le radici qui, in Italia. Ricordiamoci - scherza - che quando qui si ascoltava Celentano, in Inghilterra regnavano gruppi come i Led Zeppelin. Quindi sì, scegliere l’inglese è certamente la via più semplice: è facile fare le rime ma è difficile, qui, arrivare alla gente".
Il vostro album 'Dentro' mette in scena il concetto di prigionia anche grazie al teatro…
MF: "L’idea del teatro, come dicevamo, è nata in un secondo momento. Così come il concept stesso di prigionia. Fondamentalmente questo concetto è qualcosa che tutti proviamo o abbiamo provato nella nostra vita. Qui noi la esprimiamo sotto diverse forme: prigionia fisica, come la detenzione o prigionia mentale, data da schemi e preconcetti imposti dalla società o dalla famiglia. Questo tipo di lavoro ha avuto, come conseguenza, l’adattamento teatrale".
SB: "Il concept del disco è nato in un secondo momento, ed è questa la particolarità. I pezzi sono stati scritti tutti singolarmente, senza pensare ad un possibile collegamento. Ogni brano, a suo modo, parla di un tipo di prigionia a sé stante, a volte anche in modo sottile; per questo ci piace definirlo open concept. Il brano Piove, ad esempio, affronta il tema dell’alluvione che ha colpito Genova più volte, descrivendo un particolare tipo di prigionia. Quando vieni devastato in quel modo a causa della mancata presa di precauzioni, significa essersi già chiuso in una prigione. Una prigione che ti condanna".
Anche i vostri videoclip sono molto rappresentativi: come nascono? Li ideate voi?
MF: "Sì, le idee di base sono le nostre ma, non essendo noi esperti del settore, abbiamo la fortuna di essere instradati e supportati da professionisti. Il prossimo video che uscirà, sempre appartenente al secondo album, avrà un’idea di base molto più forte rispetto a quello di Cella 52 e, per questo motivo, ci aspettiamo un impatto molto più diretto sul pubblico. Anche in questo caso siamo partiti da un’idea interamente nostra, seguiti poi da un regista esperto, Christian Verzino".
A chi vi ispirate? C’è qualcosa dei Subsonica nella vostra musica?
SB: "In realtà non vi è un legame con le band di cui realizziamo le cover ma, al contrario, abbiamo cercato di rendere i Subsonica più rock e aggressivi. Ascoltando i nostri brani si possono facilmente evidenziare varie influenze da diverse band ma non sono mai tutte volute. Cerchiamo di fare quello che ci viene: quando arrangiamo i pezzi uniamo le sonorità diverse che ci contraddistinguono. Ritengo, comunque, che il nostro stile sia più accomunabile al filone americano piuttosto che a quello italiano".
MF: "Il nostro stile è la conseguenza del bagaglio musicale che ognuno di noi si porta dietro. Avendo percorso strade diverse è naturale che il risultato sia qualcosa di eterogeneo".
Quali sono i vostri progetti futuri?
SB: "Attualmente stiamo lavorando ai nuovi brani che faranno parte del terzo album, ma prima di tutto siamo in attesa di lanciare il nuovo video. Inoltre è in piedi un altro progetto: prossimamente faremo uscire uno spin-off di Dentro in versione acustica. Io e Mirko proponiamo spesso i nostri brani in versione elettro-acustica in giro per i locali e da questa esigenza è nata l’idea di arrangiare l’intero disco".
Chi è per voi la voce di Genova?
SB: "Facile: la voce di Genova è certamente Fabrizio De André: può piacere o non piacere, essere lodato o ritenuto banale, ma la voce dell’intera città è la sua. Grazie a Faber e alle sue canzoni Genova oggi ha la visibilità che merita".
MF: "Sono assolutamente d’accordo con Simone, ma mi permetto di citare anche un’altra persona, sicuramente meno conosciuta, ma che per me ha significato tanto, da amante dell’acustico quale sono: Beppe Gambetta".