“Autostrade per l'Italia sta lavorando alacremente alla definizione del progetto di ricostruzione del viadotto, che completerebbe in cinque mesi dalla piena disponibilità delle aree”. Sono le 18.41 di mercoledì sera, quando la società concessionaria dell’A10 dirama questa dichiarazione, al termine di una giornata dove i suoi vertici sono finiti fortemente nel mirino della politica, dei media, dell’opinione pubblica.
Il premier Conte parla senza mezzi termini di “revoca della concessione”, e Autostrade prova a ‘rintuzzare’ predicando la fiducia “di poter dimostrare di aver sempre correttamente adempiuto ai propri obblighi di concessionario”.
Poi l’annuncio: 150 giorni per il nuovo ponte. Una prospettiva che, si dice in gergo, ‘fa titolo’, anche perché spiazza tutti. S’era parlato di anni e anni, per riavere una situazione di normalità. Cinque mesi fanno sobbalzare un po’ tutti. Ma sarà vero? O sarà la solita boutade?
Soltanto il giorno prima, Autostrade ricordava di aver bandito la gara per il ‘retrofitting’ di Ponte Morandi (ovvero le operazioni di consolidamento e di adeguamento statico di infrastrutture spesso costruite con materiali e normative non più vigenti): si prevedevano 784 giorni di lavori. Due anni e due mesi per un restauro contro cinque mesi per un’opera da zero? Sorge più di un dubbio.
Prova a dare una risposta Donatella Mascìa, ingegnere civile genovese, specializzata in strutture e trasporti. E’ la figlia di Luciano Mascìa, uno dei progettisti della Sopraelevata di Genova e anche lei, nella sua carriera, si è occupata proprio della strada Aldo Modo, in particolare per il raddoppio nella zona di piazza Cavour.
“In parte - afferma - il periodo di cinque mesi può essere plausibile. Ma solo per il ponte in senso stretto. Non certo per i raccordi, che sono l’operazione più difficile e delicata. Fare un ponte nuovo interamente in carpenteria metallica in 150 giorni non è impossibile. Ma tutto dipende, anzitutto, dalla volontà politica, poi dalle verifiche strutturali, poi dalle scelte che si vogliono adottare. In Italia, per ogni gara c’è un ricorso, il che rallenta ‘normalmente’ tutte le opere pubbliche. Figuriamoci per un appalto così grande come un nuovo ponte delle dimensioni del Morandi”.
Secondo Mascìa, per accelerare tutto al massimo “servirebbe una sorta di ‘fiduciario’, incaricato per via straordinaria, in grado di sviluppare il progetto e di farlo realizzare. Ci sono delle nuove metodologie che consentono di studiare una costruzione passo dopo passo, in modo tridimensionale. Tutto in via preliminare. Poi si arriva sul posto e si monta”.
In altri paesi, queste opere si vedono realizzate, con tempistiche eccezionali: “Per questo - prosegue Mascìa - dico che a livello tecnico è possibile. Ma è il piano pratico che mi spaventa. Dove appoggerà questo nuovo ponte? I piloni non potranno certo essere nuovamente attaccati alle case. Qualche palazzo andrà sicuramente sacrificato e dovrà essere buttato giù”.
Secondo Donatella Mascìa, “la nuova struttura può essere costruita interamente in acciaio e senza tensostrutture né calcestruzzo, anche perché dura decisamente di più. Due pile fuori dall’alveo e nessuno strallo. Una campata unica di 150 metri è fattibile. Ma, ripeto, il problema sono gli ancoraggi. E, poi, i raccordi con l’autostrada. La parte più delicata e più lunga. Se comprendiamo tutto questo, allora il tempo di cinque mesi lo vedo veramente molto difficile”.
Tornando indietro nel tempo, la progettazione di un ponte interamente in carpenteria metallica non è una novità. Lo avevano proposto negli anni Novanta la stessa Donatella Mascìa e il padre Luciano. “Già trent’anni fa - ricorda l’ingegnere genovese - si parlava di alleggerire il Ponte Morandi, affiancandogli una struttura analoga da destinare ai mezzi più pesanti. Mio padre ed io facemmo una prima bozza di progetto. Ma ci furono polemiche a non finire: gli ambientalisti, molti residenti dei palazzi sottostanti, i nostalgici del Ponte Morandi. Ognuno per i suoi motivi, avversarono il raddoppio. E non se ne fece nulla. Già allora, comunque, emerse la necessità di abbattere alcuni caseggiati di via Fillak. Poi cambiò l’orientamento politico e s’iniziò a parlare di tunnel sotto il Polcevera. Tutti bei discorsi. Ma rimasti tali. E ora ne risentiremo le conseguenze molto a lungo”.
A restare lettera morta non ci fu solo il raddoppio del Morandi. Ma anche un interessante progetto di studi che si prefiggeva di ‘catalogare’ tutti i ponti della Liguria, dal punto di vista tecnico, strutturale ed economico, in relazione ai costi delle manutenzioni.
“L’assessore di competenza in Regione era Vittorio Adolfo, presidente Sandro Biasotti. L’ente acquistò un bellissimo software direttamente dagli americani dell’Aashto, ovvero l’American Association of State Highway and Transportation Officials. L’ente che si occupa di mantenere le strade negli Stati Uniti. Con questo programma, denominato Pontis, avremmo potuto studiare tutti i ponti e i viadotti, la loro tenuta, la loro durata. Probabilmente ci avrebbe fornito dati interessanti. Ma, anche qui, cambiò il colore politico e tutto finì nel cassetto. Ricordo che ne ho riparlato di recente con un funzionario regionale. Magari questa tragedia servirà a far tornare la sensibilità sui temi della prevenzione. Io me lo auguro vivamente. Almeno quello”.