“Avrei fatto, che ne so... la ballerina o la pattinatrice su ghiaccio”. Quante volte pensieri come questo sono passati e passano per la mente di bambine e ragazze? Ma se poi i sogni svaniscono sul nascere, perché “non ho potuto scegliere di non essere handicappata”, allora è diverso. E ti senti diversa. Sono queste le parole che usa, senza mezzi termini, Alessandra Fabbri in: “È l’imperfezione che ci rende vivi”. Sottotitolo: “Manuale di sopravvivenza per disabili” (Castel Negrino), appena uscito in libreria.
Si tratta del primo libro di Alessandra, che in precedenza ha pubblicato, insieme ad altre autrici, “L’invenzione delle personagge” (Iacobelli), in cui racconta la storia di Babette, l’”handicappata cattiva”. Oltre a numerose pubblicazioni accademiche: "La condizione di disabilità: interazione tra caratteristiche individuali, sociali e ambientali. In L. Battaglia, a cura di, uomo, natura, animali", "Per una bioetica della complessità", "Scuola e disabilità: dall’inserimento all’inclusione. In F.Manti, a cura di, il patto di corresponsabilità educativa- per una scuola socialmente responsabile" e "Donne disabili. Dentro e oltre la diversità, quale possibilità di scelta. In L. Battaglia, a cura di, Potere negato - approcci di genere al tema delle uguaglianze".
Genovese, insegnante in una scuola primaria a Sampierdarena, Alessandra, infatti, ha la Laurea in Filosofia, Dottorato e un Master in Bioetica, e fa parte di quel milione e settecentomila italiane disabili, ossia il 6,1% delle donne nel nostro Paese. Il doppio rispetto alla percentuale maschile. Il che significa anche doppie discriminazioni e doppie difficoltà da affrontare.
Perciò l’autrice ha voluto scrivere questo manuale, che ha lo scopo, attraverso uno stile ironico e non politicamente corretto – “io preferisco handicappata a disabile” - di parlare con onestà intellettuale di sé e della propria esperienza, che può diventare, in modi differenti, quella di ognuno, perché, come scrive nella prefazione Franco Manti, “le sue storie di vita non sono rivolte alle persone disabili, ma a tutti noi”.
Gli argomenti, infatti, non si limitano al problema delle barriere architettoniche, fisiche e mentali, “sopravvivere a Genova non è facile” - o alle leggi in vigore a tutela dei disabili (non sempre rispettate né conosciute), ma riguardano anche grandi temi dell’esistenza, dalla relazione con l’altro, alla visione e l’accettazione del proprio corpo, al concetto di autonomia, che è un traguardo sempre difficile da raggiungere. Ma ovviamente più complicato se si ha un handicap fisico, che comporta dolore al corpo e alla psiche. E quindi comporta anche il diritto di essere tristi e di affermare: “la cristiana immagine dell’handicappato felice poiché ha ricevuto il dono della sofferenza non credo sia appropriata, almeno non lo è per me”.
E poi ci sono le sue esperienze di vita, in famiglia e fuori (che non sono quelle che qualsiasi donna disabile, purtroppo, si può permettere, dagli studi ai viaggi), gli episodi divertenti – “il taxista mi ha detto che ho le stampelle della Barbie: dovrebbero pensare di fare una Barbie con le stampelle” - e le storie di altre donne disabili e i progetti per loro, come Risewise, dell’Università di Genova e coordinato da Cinzia Leone, che prevede che viaggino all’estero per tenere seminari e trovare risposte ai loro problemi. Per avere, insomma, “la possibilità comune di vivere una vita piena”, perché “quello che mi piacerebbe è essere nella normalità, non fare cose che fanno in pochi e che quindi danno visibilità. Io vorrei fare le cose che fanno tutti”. Perché, come ammette con sincerità,“puoi sviluppare altre abilità, ma c’è sempre qualcosa che ti manca”.