Si è ispirato a Tiziano Terzani per il suo giro del mondo senza aerei e potremmo dire che è l’equivalente, ma on the road, di Simone Paoletti, che per viaggiare in barca a vela ha lasciato la sicurezza, e il lavoro, della terra ferma. Si tratta di Claudio Pelizzeni, ospite il 13 luglio alla rassegna di incontri “Tigulliana Estate 2018”, a Rapallo, dove parlerà del proprio “trip therapy”, il viaggio condotto in mille giorni, quattro anni, attraverso 44 Paesi (che è anche un sito con video blog), che dopo il libro “L’orizzonte un po’ più in là”, è diventato anche un docufilm a puntate, “12 miles to happiness” (clicca qui per il trailer), della regista e produttrice di Lifestills Nicoletta Atzeni. Ce ne parlano Claudio e Nicoletta.
Come mai hai deciso di intraprendere questo viaggio e lasciare il posso fisso?
Lavoravo a Milano come vicedirettore in una banca, ma mi ero reso conto che la vita così mi stava stretta in termini di passioni e felicità e di vivere la vita che si aspettavano gli altri. Così non avendo moglie né figli né animali domestici ho deciso di provare a seguire le mie passioni, prendendo in mano la mia vita.
Come mai il tuo sito di viaggio si chiama triptherapy.net?
Il nome nasce dal fatto che sono diabetico per cui volevo un po’ giocare su quello, e essere testimonianza che anche un diabetico possa fare un viaggio così, visto che molti diabetici si fanno bloccare completamente dalla malattia, mentre volevo mostrare che ci sono le possibilità anche per noi e non siamo limitati. Consiglio di Non limitarsi oltre ai limiti quelli che già abbiamo fisicamente. Quindi sono partito senza aerei per restituirmi la lentezza di cui andavo alla ricerca e vedere le culture cambiare. È difficile viaggiare da un continente all’altro senza aerei, ma era una regola che mi sono data come mantra, e ce l’ho fatto, anche se non senza difficoltà. Nella home page c’è l’itinerario e la testimonianza con il videoblog, grazie a cui ho lavorato anche in tv con Licia Colò e ho fatto conoscere la mia storia a tante persone. Si è trattato di un viaggio low cost, a 15 euro al giorno circa, anche se nel frattempo mi sono arrivate opportunità lavorative inaspettate. Anche questo è servito a testimoniare che non solo diabetico, ma chiunque può fare questo tipo di viaggio se lo vuole.
Il docufilm si intitola “12 miles to happiness”, ma cos’è la felicità per te?
Quando ho deciso di partire, interrogatomi sulla felicità, ho cercato al definizione su internet: è lo stato e l’emozione che si provano sentendo realizzati i propri desideri. Ovviamente è una condizione temporanea, ma ho cercato di stare dalla parte del mio sogno più grande, che era viaggiare e fare il giro del mondo. Ho voluto provare se la definizione è vera ed è stato così, e la realizzazione di un sogno è vivere secondo le mie passioni quindi felicità toccata è diventato lo stato di viaggio costante In questo orizzonte che cambiava quotidianamente. Da qui il titolo del mio libro e poi il documentario "12 miles to happiness", che nasce dalle traversate oceaniche sui cargo mercantili. Ero sul ponte di comando di uno di questi quando chiesi al comandante quanto fosse distante l’orizzonte, ma lui mi rispose che la distanza è relativa, perché dipende da che altezza ti trovi mentre lo guardi. E siccome eravamo a 25 metri sul livello del mare, l’orizzonte era a circa 12 miglia da noi. Quindi pensare che è relativo, mi ha fatto capire che è relativo come lo è anche la felicità per ognuno di noi.
Come si affrontano le difficoltà da soli e lontani da casa?
La difficoltà nasce dall’essere lontano, conscio di dover fare conto su te stesso, anche se io con me stesso sto bene, che è una buona base di partenza. Poi subentrano situazioni in cui contrai malattie, anche potenzialmente mortali, come mi è successo con la Dengue in Colombia, e quindi ti senti solo e vorresti un abbraccio o lo sguardo di una persona cara. E c’è lo sconforto se ti perdi eventi importanti a casa. Questa è una scelta egoistica per poi autorealizzarsi e darsi in modo incondizionato agli altri. Ma comunque le scelte si pagano in termini di confronto e quotidianità. Il bilancio finale è positivo, ma ho avuto anche momenti difficili in cui la condivisione con i cari avrebbero potuto alleviare certi problemi.
Sei partito solo, ma hai sempre sottolineato il sostegno ricevuto da chi incontravi. Non hai fatto come Christopher McCandless, di “Into the Wild”, che rifiutò la civiltà.
Non posso rifiutare la civiltà, anche grazie al progresso io vivo con la mia malattia; io cerco di prendere il meglio che c’è nel mondo. Stimo Christopher, mi dispiace tanto averlo perso perché penso che a livello intellettuale avrebbe avuto tanto da dire e il sacrificio ha ispirato tanti di noi viaggiatori. Io, però, ho deciso di aprirmi al mondo, più che stare solo. Non ho rifiutato gli altri, ma ho rifiutato di partire con altri. Decidevo quando volevo stare solo e quando con qualcuno, questa è stata la mia grande libertà. Da quel viaggio come ti è cambiata la vita e cosa stai facendo? Il libro è andato molto bene, per cui ho in progetto di scriverne un altro, ma sul Cammino di Santiago, dove andrò partendo da Bobbio, in Valtrebbia, pensando di raggiungerlo in ottanta giorni circa, ma in silenzio, per riportare l’attenzione all’ascolto. Inoltre, mentre oggi è una “golden age” per i blogger, sto ancora raccontando tanto dei viaggi, con foto, video, collaborazioni in tv. E per viaggiare organizzo viaggi di gruppi per tornare in luoghi che ho amato o scoprirne di nuovi. E’ un modo fantastico per conoscere nuove persone.
Nicoletta, come vi è venuta l’idea del docufilm “12 miles to happiness”?
Come gruppo di Lifestills abbiamo deciso di auto produrre questo docufilm, sia per il format particolare rispetto alle altre produzioni che si vedono in Italia, sia perché essendo un’opera prima, come lungometraggio, abbiamo pensato fosse difficile proporlo alle case di produzione e distribuzione. Inoltre, avendo vinto un concorso a Cagliai, ho deciso di investirli in un altro progetto e siccome Roberto Pinna, editor del gruppo e filmaker, seguiva Claudio dall’inizio del viaggio, ho pensato che sarebbe stato bello fare un documentario su di lui. Così ci siamo chiesti come una piccola casa di produzione sarda potesse destare l’interesse di una persona così: abbiamo provato a contattarlo e Claudio ha risposto con entusiasmo alla nostra proposta di progetto.
Siccome Claudio faceva videoblog, come avete girato questo viaggio?
Lo abbiamo raggiunto in Brasile a settembre 2016 e poi di nuovo a Gennaio del 2017 in Marocco, facendo tutto il viaggio di ritorno attraverso Spagna, Francia e Italia, con arrivo a a casa l’11 febbraio 2017. Nel docufilm ci sono interviste a Claudio, riprese di contesto e anche una ricostruzione del viaggio con le clip girate da lui.
Perché si tratta di una serie online?
Innanzitutto ho pensato alla serie e ho evitato il lungometraggio per rendere tutto più smart e fresco, perché chi vuol vedere un episodio può farlo in tranquillità in qualsiasi momento. Inoltre è un tipo di serialità che, per com’è realizzato, è come le ciliegie, una puntata tira l’altra! Sono cinque e già online visibili su Vimeo e non superano i 20 minuti l’una. La possibilità è di noleggio a 3,99 euro o di acquisto a 4,99, di cui un euro è devoluto per la ricerca sul diabete al Centro cardiologico Monzino e centro di ricerca del San Raffaele di Milano. Vogliamo sensibilizzare da quel punto di vista: il diabete non è così invalidante come si può pensare. E per una questione etica vogliamo si crei un movimento attorno a chi si alza la mattina e fa di tutto per andare verso la propria felicità. “12 miles to happiness” sarà presentato a diversi Festival.