È un’azienda fondata da scienziati genovesi (e svizzeri) che sviluppa una tecnologia così avanzata da essere impiegata per l’identificazione di nuovi farmaci per malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, ma che può condurre anche a studi su autismo, depressione e insonnia. Inoltre la tecnologia 3Brain (che collabora a Genova con IIT e l'Università) viene impiegata per studiare i meccanismi fondamentali alla base dell’apprendimento e della memoria. A spiegarci come è uno dei fondatori, Mauro Gandolfo.
C'è una forte componente genovese nella vostra azienda: perché, tuttavia, la sede è in Svizzera?
3Brain nasce da un progetto di ricerca finanziato dal 6° programma quadro per la ricerca creato dall’Unione Europea, che ha visto coinvolte l’Italia, la Svizzera, la Francia e la Danimarca. Partners fondamentali sono stati l’Italia con il dipartimento DIBE (Dipartimento di Ingegneria Biofisica ed Elettronica; oggi confluito nel DIBRIS) presso l’Università di Genova e la Svizzera con i contributi di due centri di ricerca di primo piano: lo CSEM, centro svizzero per l’elettronica e la microtecnologia, e l’IMT, istituto di microingegneria all’interno dell’EPFL. Al termine del progetto lo CSEM ha deciso di supportare l’iniziativa dei fondatori e ha contribuito con un finanziamento di avvio, seed funding, alla creazione dello spin-off 3Brain GmbH, ora convertita in 3Brain AG, società per azioni con sede a Wädenswil, Zurigo. La componente genovese è comunque rimasta sempre centrale e stiamo mettendo le basi per la creazione di una realtà anche a Genova.
In che modo?
Abbiamo una collaborazione proficua e che è andata a consolidarsi negli anni, con benefici per entrambe le parti, con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, una delle eccellenze italiane nel campo delle neuroscienze e della robotica. L’IIT è stato uno dei primi ad usufruire della tecnologia 3Brain, con la quale ha pubblicato risultati scientifici importanti su riviste internazionali di pregio, aiutando in questo modo anche a divulgare i benefici della tecnologia, creando così una forte sinergia tra ricerca scientifica e realtà industriale. Più recentemente, a gennaio, abbiamo inaugurato a Genova un ufficio di rappresentanza presso la facoltà di ingegneria in Albaro. L’idea è quella di portare avanti la ricerca nell’ambito dell’analisi dei dati neuronali, che a Genova ha una lunga tradizione: a partire dal lavoro pioneristico già negli anni ‘90 del Prof. Massimo Grattarola, uno dei padri fondatori della neuroingegneria in Europa, e continuato in seguito dal Prof. Sergio Martinoia del dipartimento DIBRIS. Se lavoreremo bene nei prossimi anni, l’idea è quella di creare una società che metta in campo le competenze dei giovani studenti e ricercatori in primis dell’Università di Genova e dell’IIT, ma anche di altre università italiane, nell’ analisi dati e nell’apprendimento automatico, il machine learning, applicato a dati neuronali.
In 3brain un team internazionale: come si è costituito?
Noi quattro fondatori, due svizzeri e due italiani, ci siamo conosciuti proprio durante il progetto europeo. Kilian Imfeld e Luca Berdondini erano ricercatori presso l’IMT svizzero, mentre Alessandro Maccione ed io eravamo dottorandi presso l’Università di Genova. L’esperienza del progetto ci ha permesso di conoscerci e di creare le basi per la nostra avventura imprenditoriale. Luca, dopo aver dato un contributo iniziale importante, oggi è team leader presso l’IIT di Genova con cui attualmente collaboriamo. Kilian, Alessandro ed io abbiamo creato un nucleo molto coeso che lavora insieme da quasi 15 anni, a cui si è aggiunto nel 2015 Marco Aquila, al tempo ricercatore biologo presso l’Università di Milano. Successivamente abbiamo avuto la fortuna di completare il team con ricercatori, dottori e manager di grande esperienza e bravura provenienti da diversi paesi quali USA, Danimarca, Svezia e Cuba, oltre ovviamente a Italia e Svizzera.
3brain è una start-up dedicata allo sviluppo di sistemi per la ricerca farmacologica e in particolare la tecnologia di 3Brain è basata su un sistema MEA (Multi Electrode Array): in che cosa consiste?
Un sistema MEA è una interfaccia neuro-elettronica, ovvero un dispositivo che permette di interfacciare e di far comunicare tra loro cellule neuronali e strumenti elettronici e quindi anche computer. Nel nostro cervello ci sono una moltitudine di neuroni, più precisamente circa 100 miliardi, interconnessi tra loro e deputati a diverse funzioni, quali l’interpretazione dei segnali visivi provenienti dalla retina, la direzione dei muscoli che muovono i nostri arti o la coordinazione del battito cardiaco. Tuttavia, la maniera in cui i neuroni trasmettono l’informazione è sempre la stessa: tramite impulsi elettrici detti “potenziali d’azione”. In un certo senso tutto quello che facciamo e percepiamo è il risultato di una miriade di impulsi elettrici trasmessi, come pacchetti di informazione, dal nostro cervello. I dispositivi MEA sono capaci di captare questi impulsi elettrici e quindi in qualche modo di “leggere” quello che i neuroni si stanno “dicendo”. Questo ha implicazioni molto importanti per la cura di diverse malattie neurodegenerative: analizzando i segnali scambiati dai neuroni è possibile individuare le disfunzioni e trovare cure. In 3Brain ci occupiamo di progettare e realizzare questi sistemi MEA, assieme ai dispositivi software per l’analisi dei dati dei segnali neuronali. Al momento ci stiamo concentrando su applicazioni in campo farmaceutico, per l’identificazione di nuovi farmaci per malattie neurodegenerative.
In che modo consente di ottenere una quantità di informazioni sul farmaco analizzato maggiore, di migliore qualità e più rapido rispetto alle tecniche tradizionali?
L’analisi dei farmaci viene fatta a diversi livelli e, prima dei test clinici su uomo, viene fatta su colture cellulari. In pratica, è possibile coltivare una popolazione neuronale in provetta, ovvero al di fuori dell’organismo vivente. I neuroni così coltivati formano autonomamente una rete neuronale attiva, ossia che scambia messaggi elettrici proprio come nel nostro cervello. Una sorta di “mini-cervello”, ovviamente molto semplificato. Questi neuroni in coltura, una volta messi a contatto con il nostro dispositivo MEA, possono essere “letti” da migliaia di micro-biosensori presenti nel dispositivo, raccogliendo così una mole di dati centinaia di volte superiore a quella ottenibile con altre tecniche. Più informazione si traduce in migliore qualità dei risultati e in un minor numero di esperimenti necessari per individuare composti tossici o benefici, e quindi in tempi di sviluppo ridotti.
Possiamo fare degli esempi?
Al momento il sistema è principalmente utilizzato al livello della ricerca di laboratorio e prevediamo che possa essere impiegato correntemente dalle case farmaceutiche nei prossimi due o tre anni. Tuttavia, esistono già alcune società farmaceutiche che lo stanno testando. Una di queste è Evotec, un’azienda multinazionale tedesca attiva nel campo della scoperta di nuovi farmaci, che sta adottando la nostra tecnologia nei suoi laboratori di Verona.
Si evita anche la sperimentazione sugli animali?
In prospettiva, questo è uno dei vantaggi che crediamo verranno promossi dall’adozione della tecnologia 3Brain. Oggigiorno è infatti possibile lavorare su cellule umane, invece che provenienti da animali da laboratorio. In questo caso le cellule neuronali vengono “differenziate” a partire da cellule staminali indotte, ovvero da cellule staminali ottenute da fonti “etiche”, non originanti cioè dall’embrione ma, per esempio, tramite prelievo e modifica di cellule della pelle. Le colture neuronali da cellule staminali indotte hanno un potenziale enorme. Le cellule staminali possono riprodursi indefinitamente, rappresentando quindi un serbatoio quasi inesauribile di cellule per test. Ma soprattutto, studiare l’effetto di farmaci direttamente su cellule umane produce risultati più precisi e rilevanti dato che questi farmaci dovranno poi essere usati per l’appunto sull’uomo. Tuttavia, saranno necessarie nuove tecnologie per la lettura e l’analisi dei dati da queste popolazioni cellulari. La nostra tecnologia è stata progettata per questi scopi e quindi potrà favorire la riduzione degli esperimenti su animali. Ci vorrà ancora del tempo, però, perchè la standardizzazione dei processi di differenziazione delle staminali indotte, a cui stanno lavorando diversi laboratori in tutto il mondo, richiederà ancora anni di ricerca.
Inoltre la tecnologia studiata da voi permette di migliorare lo studio di organi come cervello e cuore: in che modo?
Oltre allo studio di farmaci, la tecnologia viene impiegata per aumentare le conoscenze scientifiche su organi quali cervello e cuore. Per esempio, riguardo al cervello, può aiutare a capire i meccanismi fondamentali alla base dell’apprendimento e della memoria, mentre per quanto riguarda il cuore, può aiutare a studiare i fenomeni che permettono a questo organo di contrarsi. Si tratta ancora una volta di analisi di laboratorio dove cellule neuronali e cardiache, anch’esse generanti segnali elettrici, anche se di altra tipologia, vengono “lette” dai nostri dispositivi.
In particolare per quali patologie?
In generale tutte le malattie neurodegenerative e cardiache possono essere studiate con i nostri dispositivi. Tra le prime, si va da studi su malattie altamente debilitanti quali Alzheimer e Parkinson, fino a studi su autismo, depressione e insonnia.
Questo sta portando a progressi significativi nell’ambito delle neuroscienze?
Il cervello, assieme alla fisica delle particelle e all’astrofisica, è una delle branche della scienza più affascinanti e dove c’è ancora molto da scoprire. Nell’ambito delle neuroscienze si stanno facendo progressi importanti grazie anche a iniziative pubbliche quali l’europeo “Human Brain Project” e il progetto “B.R.A.I.N.” americano. La comprensione dei meccanismi con cui opera il cervello è cruciale per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita di milioni di persone, oltre che per diminuire il peso sulla nostra società di malattie come l’Alzheimer che hanno un impatto notevole non solo sul paziente ma anche sui familiari e i sistemi sanitari nazionali. La nostra tecnologia sta dando un piccolo, ma crediamo importante, contributo in questi ambiti.
Dove si trovano i vostri macchinari?
Sono utilizzati in laboratori di tutto il mondo. Anche se al momento ci stiamo concentrando in particolare su Europa e USA, abbiamo ricercatori che utilizzano i nostri dispositivi in Cina, Giappone, Corea e Australia per citarne alcuni.