Morti bianche e infortuni sul lavoro: un argomento che ogni giorno, tragicamente, i fatti di cronaca pongono alla ribalta. La tecnologia e in particolare i robot di nuova generazione possono prevenire incidenti e decessi? Proprio ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in visita all'IIT di Genova, ha stretto la mano bionica Hannes, realizzata dal team di robotica riabilitativa in collaborazione con l'Inail. I robot e l'intelligenza artificiale possono anche intervenire prima degli infortuni, per scongiurarli?
La mano bionica, che deriva da quella di iCub, sarà immessa sul mercato nel 2019. Qual è, invece, il punto sulle tecnologie di prevenzione? Lo abbiamo chiesto a chi si occupa di realizzare robot per l’industria 4.0, ossia umanoidi in grado di aiutare fisicamente l’uomo, in fabbrica come a casa. L’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, infatti, sta lavorando da un anno al progetto Andy (Advancing Anticipatory Behaviors in Dyadic Human-Robot Collaboration), nato a questo scopo, ed è il giovane ricercatore Luca Tagliapietra a spiegarci i progressi fatti.
Come sei arrivato in IIT e a lavorare a questo progetto? Esattamente di cosa ti occupi all’interno di Andy?
Sono arrivato in IIT ormai l’anno scorso, a Giugno, mentre stavo ancora ultimando il dottorato in Ingegneria Meccatronica al Dipartimento di Tecnica e Gestione d’Impresa dell’Università di Padova. Sono da subito stato coinvolto nel progetto Andy prima sotto la supervisione di Francesco Nori e ora sotto quella di Daniele Pucci. All’interno di Andy mi occupo della modellazione dell’essere umano e della stima del suo comportamento cinematico e dinamico in tempo reale, ovvero mentre esegue qualsiasi azione, anche in collaborazione con il robot.
Spieghiamo la differenza tra le tre tipologie di robot: i “cobots”, gli esoscheletri, i robot “companions”.
Quando parliamo di “cobot” intendiamo un manipolatore industriale, ovvero un braccio robotico che aiuta l’essere umano collaborando con quest’ultimo allo svolgimento di una azione all’interno di uno spazio di lavoro condiviso. Un classico esempio è quello di una attività complessa di assemblaggio in un ambiente industriale. L’esoscheletro invece rappresenta un dispositivo robotico indossabile, che fornisce aiuto al soggetto che lo indossa e trova applicazione sia in campo industriale in attività tendenzialmente faticose per ridurre al minimo fatica e stress muscoloscheletrico della persona, sia in campo riabilitativo per fornire ai pazienti un trattamento riabilitativo continuativo e parzialmente autonomo. Infine i robot “companions” sono sostanzialmente robot umanoidi dedicati all’interazione con l’uomo, con i quali poter interagire ed effettuare attività quotidiane. Un classico esempio della loro applicazione è l’assistenza agli anziani.
In particolare, in base alla tipologia e al luogo in cui può essere impiegato, quali infortuni possono prevenire?
La prevenzione degli infortuni, secondo me, è sempre un tema delicato che deve essere affrontato caso per caso e deve essere supportato da ampie campagne di sperimentazione prima di poterne trarre conclusioni oggettive. I “cobots”, per esempio, potrebbero dimostrarsi efficaci nel miglioramento delle condizioni lavorative, migliorando l’ergonomia del posto di lavoro e riducendo, di conseguenza, lo stress muscoloscheletrico dei lavoratori di una catena di montaggio per esempio. Per gli esoscheletri in ambito industriale vale più o meno lo stesso ragionamento, mentre in ambito riabilitativo non e chiaramente quello lo scopo, perché la loro funzione sarebbe quella di migliorare l’efficacia dei trattamenti riabilitativi personalizzandoli sulle specifiche necessita del paziente ed aumentando drasticamente il numero di ore di trattamento di cui ogni paziente può usufruire. I “companion” robots, invece, potrebbero aiutare gli anziani nell’esecuzione di attività quotidiane rendendoli maggiormente autonomi e, da un punto di vista psicologico, meno soli.
Si parla spesso dei robot che possono portarci via il lavoro: questi devono solo agevolarci nel lavorare, senza correre mai il rischio che, appunto, sostituiscano gli operai o le colf o altre tipologie di lavoratori?
Sinceramente non lo ritengo un rischio. Potremmo, da un certo punto di vista, dire lo stesso guardando alla storia della rivoluzione industriale con l’introduzione delle macchine. Anche in quel caso le preoccupazioni erano le stesse, eppure, ora, sapremmo immaginare un mondo senza macchine? Il concetto, a mio parere, è lo stesso. Sta alla nostra società “evolversi” per rispondere alle nuove sfide, per aprire nuove possibilità lavorative e sfruttare in modo positivo queste nuove ed emergenti tecnologie. Non ritengo che i robot siano una minaccia, quanto piuttosto una risorsa. Non troveremo mai, infatti, un robot che si rifiuti di effettuare la stessa operazione della durata di due secondi per 24 ore al giorno tutti i giorni. Credo, invece, che conveniamo su fatto che sia disumano pensare di riservare lo stesso trattamento ad una persona. Quindi, perché non trarne beneficio?
In che modo stanno collaborando al progetto gli altri istituti di ricerca coinvolti?
Nel contesto di un progetto europeo ampio e ambizioso quale Andy, che si pone l’obiettivo di avanzare l’attuale stato dell’arte in termini di cooperazione tra essere umano e robot per portarli ad un livello di cooperazione quasi simbiotica, è necessario che ciascun istituto coinvolto partecipi al meglio delle proprie possibilità portando la propria esperienza e il proprio know-how in ogni aspetto. Per esempio alcuni partner stanno lavorando sull’aspetto dell’ergonomia, altri sulla classificazione delle attività e sul riconoscimento delle intenzioni della persona, e così via. Ma ci tengo a sottolineare che, anche in questo caso, collaborazione, condivisione ed integrazione dei contributi sono le parole chiave.
In quattro anni è prevista la realizzazione del “cobot”, dell’esoscheletro e del robot “companion”: a che punto siamo?
Per quanto riguarda il primo passo, possiamo dire che i risultati stanno cominciando ad emergere in termini di capacita di interpretare il movimento della persona. Sia in termini di tecnologie, ad esempio siamo riusciti a sostituire le pedane di forza con delle scarpe sensorizzate da noi sviluppate capaci di misurare forze e coppie scambiate dalla persona con il terreno, sia in termini di algoritmi che ad oggi ci consentono di stimare lo sforzo esercitato dalla persona su ogni sua articolazione. Anche dal punto di vista del controllo i primi risultati cominciano ad arrivare, come dimostrato dalle ottime valutazioni ottenute nel corso della prima revisione di Andy da parte della commissione europea, sostenuta a Marzo di quest’anno. Per il resto, posso dire che ci stiamo lavorando il più intensamente possibile, e siamo fiduciosi sui risultati che potremo ottenere in futuro, grazie alla preziosa collaborazione di tutto il consorzio di Andy.
Pensando a quest’ultima tipologia di robot, dall’intelligenza così avanzata, c’è già chi teme che un giorno invece di aiutarci possano rivoltarsi contro di noi. Cosa ne pensi?
Sinceramente, ritengo che il problema non siano tanto i robot dotati di intelligenza artificiale sempre più avanzata, quanto piuttosto chi li programma e li controlla. Chi, sostanzialmente, ha il potere di decidere e regolamentare come questi robot possono o non possono comportarsi. E, chiaramente, questo qualcuno deve essere all’altezza di questo compito fondamentale, il che non è sempre scontato né tantomeno garantito. Io credo ancora nella validità delle Leggi di Asimov, ben lungi dall’essere minacciate dall’attuale stato della tecnologia.
Si può ipotizzare quando e quanti “cobots” troveremo normalmente nelle industrie?
Io credo che non sarà una rivoluzione istantanea quanto piuttosto un progressivo cambiamento. Nel corso dei prossimi anni ne vedremo comparire sempre di più nelle aziende ai quali verranno affidati compiti sempre più complessi e in grado di collaborare sempre meglio con l’uomo. E, parallelamente, ne verranno sviluppati di sempre migliori. Ci sarà di che divertirsi insomma.