Abbiamo incontrato oggi la dottoressa Cinzia Leone, coordinatrice del progetto Risewise, con la quale abbiamo fatto il punto sulle prospettive di questa iniziativa dell’Università di Genova che coinvolge numerosi soggetti di sei paesi diversi fra enti pubblici, associazioni e imprese. Risewise nasce nel settembre del 2016 come un percorso scientifico quadriennale dedicato al superamento delle discriminazioni e dell’esclusione sociale delle donne con disabilità. La dottoressa Leone ha accettato gentilmente di farci conoscere più da vicino questa realtà.
Qual è il soggetto delle attività di studio e ricerca che caratterizzano Risewise?
Abbiamo scelto di mettere al centro del progetto la donna con disabilità, perché pensiamo che, oltre a patire le difficoltà legate ad un handicap, queste persone vivono anche le discriminazioni legate all’appartenenza di genere, sia per quanto riguarda la vita quotidiana, sia per quanto riguarda la vita lavorativa. Si tratta di una conseguenza di quello che è l’approccio intersezionale: la discriminazione e l’esclusione sociale che vive una donna disabile sono il risultato della sinergia negativa tra la sua appartenenza di genere e la disabilità, e non solo la somma. Missione di Risewise è individuare ed implementare buone pratiche, capaci di determinare una maggiore qualità della vita per le persone. Si tratta di declinare un approccio olistico al benessere delle persone, che in questo caso è rivolto alle donne disabili, ma che potrebbe essere usato anche ad altre categorie fragili della nostra società. Il fatto di osservare attraverso la lente olistica il gruppo sociale che abbiamo scelto può essere la base di partenza da cui utilizzare questo approccio per altri problemi e gruppi sociali, ed è questo che vogliamo proporre a livello europeo.
Quali sono gli interlocutori di Risewise e qual è la novità dell’approccio al tema della disabilità e delle pari opportunità?
Noi ci interfacciamo, oltre che naturalmente con i 14 partner che collaborano dall’interno a Risewise in sei paesi diversi, con enti pubblici, associazioni e imprese private che si occupino del tema delle disabilità e dell’inclusione sociale. Inoltre compito dell’associazione è rapportarsi con quegli attori politici in grado di determinare scelte e amministrare la cosa pubblica, per rappresentare i bisogni e le istanze delle donne disabili; ad esempio ad ottobre siamo stati chiamati per un’audizione al Parlamento Europeo per illustrare il nostro progetto, e quest’attività ci ha permesso di prendere contatto con altri soggetti, come la Commissione Europea. Il progetto è piaciuto molto alle istituzioni comunitarie, tanto che ora è stato inserito nella rotazione dei contenuti proiettati sugli schermi dei palazzi della Commissione Europea anche il video che illustra il nostro progetto.
Quali sono le prossime iniziative in programma per Risewise?
Nel prossimo futuro è previsto un interessante workshop in Portogallo focalizzato sulle donne e lo sport, curato da un nostro collaboratore dell’università di Genova. L’Unione Europea poi ci ha sponsorizzato per andare a una conferenza internazionale, che ogni anno raccoglie più di cinquemila persone e studiosi, per una serie di conferenze negli Stati Uniti, durante le quali Risewise darà il suo contributo nel dibattito su donne, disabilità e integrazione.
Dal suo punto di vista la priorità per combattere discriminazioni ed esclusione sociale è quella di creare una differente cultura fra le persone o di operare nella concreta realizzazione di un mondo a misura di disabile?
Il discorso è doppio, da una parte va fatta un profondo lavoro di educazione delle persone, basti pensare che se accendiamo la televisione non vediamo mai un disabile presentare un programma, al massimo può essere un ospite, e le trasmissioni sottotitolate sono pochissime. Dall’altra è chiaro che, oltre ad una rivoluzione culturale, occorre intervenire anche concretamente nella vita delle persone: per vincere l’esclusione non è sufficiente mettere una rampa dove ci sono dei gradini, ma bisognerebbe intervenire a monte, quando le scale si stanno ancora progettando, per ideare edifici accessibili a tutti, ma la stessa cosa dovrebbe valere se ci stiamo occupando della costruzione di un sito web, oppure di uno spazio pubblico o privato. Per fortuna almeno nelle nostre scuole i disabili o le persone straniere sono incluse e partecipano attivamente alla vita della comunità scolastica, ma non funziona così in tutti gli ambiti della società. Separare, e fare sempre la distinzione fra ciò che è normale e ciò che non lo è, significa non includere.